When Two Overqualified Fingertips Have Something to Reveal...
"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)
"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)
domenica 19 dicembre 2010
Buon Natale
dare ad ognuno un dolcino
Forse farebbe piacere
il Bambinello vedere
Forse peró ognuno dovrebbe meditare
su tutto ció che ci sarebbe da fare
Smetterla di puntare il dito
e accettare con un sorriso
Di amore e pazienza é colmo il cielo
non cosí é in terra
Forse a nessuno importa niente
di ció che dice la gente
Forse qualcuno crede
di darla sempre a bere
Forse ognuno é speciale
Forse ognuno é solidale
Io volevo augurare a tutti
solo un Buon Natale
lunedì 18 ottobre 2010
venerdì 20 agosto 2010
Immigrant's lucubration
Why am I writing in English?
First of all, because I’m a newcomer and I should practice my writing skills; second, because that’s the way the thought captured my attention.
Anyway, my thinking cap is determined by that situation which, in some way, involves not the emigrants (my condition) but those who remained on their native land.
There must be a hidden reason why some of the emigrants’ relatives, friends or even simple acquaintances are sure that your way of living abroad must be devastating, terribly sad and overwhelming. For the same reason, even though you are hearty laughing describing some interesting thing you saw during your last hilarious trip, you can feel that they’re in somehow looking forward to hearing about the sad side of your story. Yes! They are not interested in your hilarious descriptions of places and people, but they’re waiting for that terrible element in the story which would allow them to say something like this, “Seeeeeeee, I wassssssss righttttt! You should have listened to my advice! Why are you there? You could be so lucky here! Come on, Guys! Consider it as if it was a long vacation and COME BACK TO YOUR WONDERFUL, AMAZING, FANTASTIC LAND!”
Believe me. I’m not emphasizing anything. That’s the sensation and that’s the majority of people’s expectation.
Let’s assume that I’m going to tell about my last wonderful interview. The way the interviewer looked at me in devotion (don’t be bad! It’s just a dream), and the offer the company (the most important in the world!) proposed me at the end of the meeting. What would be your natural expectation? Mine, would be to hear they are so happy for me; or, at least, they are sure that, despite the big change in my life, I was right saying that everything could have been better than there where they still live.
Unfortunately, that’s just a dream and I’m especially talking with reference to my expectation. If I told some of them of the above mentioned hypothetical interview, they would look for the most worried tone of voice before to say to me something like this, “Don’t worry Claudia! That’s just the first step to go in the job market. In 20 years, I’m sure you will find something closer to your professional profile!”
Please, don’t go back to read again because you have perfectly understood what I wrote (or, preferably, I’ve perfectly written what I meant). The truth is that they haven’t heard a single word of what I was trying to tell. The truth is that the majority of people needs to know that you were wrong thinking that your life abroad could have been better and, meanwhile, that the best choice in their life was to remain there.
That’s the starting point of this post: Why do people, to better accept their own fragilities, need to think that you are terribly sad? It wouldn’t make sense to try to explain them thousands times that you’re happy, satisfied, that the only thing you need is time to become more comfortable with the pace of your new life and time to have the opportunity to enjoy more things as possible.
My opinion is that some people were born to experience their lives (mentally and physically speaking) despite the place, the race, the age and all possible changeable elements in their adventure through a crazy world. Those people are part of an endless-flowing stream of any kind of inputs. It could sound as a paradox, but they know that they can relax everywhere because the only thing they need is to feel as a part of a big painting. They belong to the world and they don’t want love to be close, but they want Love to be in!
Other people need quieter lives. They need to stay where they were born because they feel better considering themselves as a piece of a puzzle. They feel comfortable living in that piece, with the things they already know. Maybe, they fought to achieve that piece and given that they don’t like to consider themselves as a part of a stream, they never would change the state of things. They’re not wrong! They’re different. They want Love to be close.
They are wrong when they start to think that anything which is different is even worse.
Finally, could you imagine me taking the subway with two bags, a smart -casual attire, completely lost in this kind of lucubration? In English?
The fact is that the only thing I should do when someone is evidently distorting the meaning of my story, is to cry, and cry, and cry to make him/her feel so bad to try to figure out a way to encourage me and my decision. Inverse psychology.
It would be great! It would be really hilarious, wouldn’t it?
mercoledì 18 agosto 2010
giovedì 29 luglio 2010
domenica 18 luglio 2010
Parole di Miranda e visioni di Claudia
Ora, non è il caso di iniziare a scervellarsi sul riferimento da me appena fatto al cane, nè tanto meno per questo mettersi a fare ricerche su internet su ciò che può simboleggiare nella cultura cinese. Dulcis in fundo spero che gli animalisti non mi accusino ingiustamente di abuso e maltrattamento.
Basti tenere in considerazione che per me è un termine come un altro che nella frase mi serve a dire che difficilmente possiamo cambiare la nostra condizione.
Nel caso in cui poi ciò possa avvenire, avremmo bisogno soltanto di una vita, o addirittura un paio di reincarnazioni.
Bella storia la reincarnazione! Quando da piccola ho iniziato a studiare la storia volavo con la fantasia nel tempo trasformandomi in una bella dama del Medioevo, oppure una duchessa imparruccata e incipriata dell´ Ottocento. Andando avanti nella storia il mio sogno è infine divenuto quello di poter vivere negli anni ´60, in particolare di essere adolescente durante il ‘68 partecipando alla mitica manifestazione di Woodstock. “Hair”. Il musical, divenne presto la mia bibbia e così chiudendo gli occhi potevo diventare una bella ragazza color cioccolato con i capelli ricci e folti, tra cui, come imprigionati in una ragnatela, si trovavano minuscoli gelsomini. Inutile dire che nella mia visione io avrei avuto anche una voce magnifica e all´occorrenza il mio cervello, non solo riusciva ad immaginare tutte queste cose contemporaneamente (colore della pelle, caratteristiche dei capelli, il prato verde, gli astanti vestiti secondo i dettami della moda del tempo che mi guardavano ammaliati, etc, etc,...), ma anche ad accendere lo stereo immaginario fornendomi il soundtrack sulle cui note io avrei cantato. Per chi conosce il musical non dovrei aver bisogno di dire che il pezzo da me interpretato era “Aquarius”, ma lo dico per chi non dovesse ancora conoscerlo.
Si, se la storia della reincarnazione è vera io sono morta giovane nel ´68, probabilmente durante una manifestazione sotto le manganellate di un pubblico ufficiale per rinascere qualche tempo dopo. (Ecco, così ci siamo spiegati subito subito com´è possibile che io oggi viva e contemporaneamente abbia desiderato di vivere a quel tempo, che poi, come evidente, non è lontano).
Oggi quella bambina è cresciuta, ed è lungi da lei immaginarsi di poter vivere in altri periodi storici.
Disillusione? Troppa amarezza? La piccola Trilli che era in lei è morta? O forse il Nulla è riuscito a sconfiggere Fantasia? No, cari lettori, è ancora una volta molto più semplice. Quella bambina adesso che è adulta ha deciso di non farsi fottere più!! Proverò ad essere più chiara, e Dio solo sa se ci riuscirò!
Se un individuo nella vita attuale conduce un´esistenza di merda, secondo voi avrebbe potuto essere altrimenti in altri periodi storici??? No cari lettori, infatti oggi quella bimba sa benissimo che nel Medioevo lei altri non sarebbe stata che la contadina povera costretta ad occuparsi dei campi già con il sorgere del sole, e nel XIX secolo sarebbe stata la povera popolana, e così via, senza avere la minima possibilità di riscatto. Almeno ai nostri giorni anche se non è facile, non è del tutto escluso!
E nel ´68? Già vi vedo tutti agitati nel tentativo di immaginarmi cantare e danzare, perchè in quel momento storico per nessuno poteva essere così terribile come durante i secoli bui. E invece...mettiamola così: io nel ´68 non lo avrei neppure saputo che eravamo nel ´68!!!
2010: io sogno di vivere come Lady Gaga. (Non so perchè “Gaga” mi fa pensare a “dada” da cui poi nacque il termine “dadaismo”...forse la nostra società non è così vuota come continuiamo a dire...il senso c´è ma ci sfugge...).
Nella realtà io lavoro e lavoro, e la cosa più gratificante che ci sia è che tutte le persone care che mi circondano mi appoggiano e sostengano. Ma noi esseri umani siamo imperfetti e i confini sono labili. In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro “ti appoggio” si trasforma in un “mi appoggio”. Prendetevi pure la libertà di prendermi alla lettera.
Non ricordo più quante volte sia successo che io mi sia lamentata dello stress e della fatiche del momento, e in tutta risposta mi sia stato proposto di dare una mano a traslocare, o di trovare un secondo lavoro, così da poter avere più soldi e quindi meno preoccupazioni.
A proposito del lavoro, credetemi se dico, che tutti i lavori da me svolti si sono sempre rivelati la gigantografia di quello che normalmente avrebbero dovuto essere, o implicano per qualsiasi altro individuo. Perché? Perché non appena assumono me all´improvviso i colleghi si ammalano, arriva la crisi, o cambiano le leggi.
Mano d´opera, questo mi si chiede, e non solo. Credete forse che io non sia capace di offrire conforto e lavagnette esplicative con l´analisi attraverso simpatiche vignette della realtà?? Insomma, un tesoro, quella che si dice una perla rara.
Sto cercando di resistere...A dire il vero da qualche giorno temo di impazzire. Tutto quello che oggi io riesco a vedere con la fantasia è un ´immagine di me che in una situazione formale piena di gente ben vestita (consideratela una situazione ambita), che rappresentano il raggiungimento di tutti i miei obiettivi, quando finalmente la fatica dovrebbe diminuire, ecco che al centro della stanza mi abbasso i pantaloni e...e piscio, mi faccio la pipì addosso sghignazzando come un Malach!!
N. d. A. Con “Malach” si intendano 4esseri dai poteri sovrannaturali, che non sono una mia inventione, ma che ho incontrato in un libero di L.J. Smith.
domenica 20 giugno 2010
giovedì 10 giugno 2010
Il vecchio Mc Donald prima della catena di fast food possedeva una fattoria
Nel tentativo di integrarmi quanto prima nella civile società canadese, lo scorso Martedì ho accettato l’invito di una vicina di casa per partecipare a uno di quei progetti della città volti a coinvolgere in attività ludico-culturali le mamme con i tots, ossia quei bambini col pannolino di una fascia d’età compresa tra gli undici mesi e i due anni e mezzo che, per ovvi motivi, deambulano in quel modo talmente inquietante da far stare in apprensione continua anche il piu’ rilassato dei genitori. In italiano non credo che esista un corrispettivo. Se esistesse sarebbe forse “patatelli”. Mi sa di rotondo e paffuto, di paperella e di cadute continue. (Poiché siamo in una semi-democrazia – vi ricordo che il blog è mio –potete sceglierne uno migliore).
Ad ogni modo, l’esperienza è stata altamente positiva, rilassante e formativa. Più per me che per Maia.
Al momento non mi va di dilungarmi troppo nella descrizione dei bellissimi ambienti, dei cuscinoni per terra, dei tappeti soffici, dei computers con le tastiere per i bimbi e forse per i nonni dei bimbi (con i tasti giganteschi e colorati); o di quanto fosse rassicurante per me vedere la mia piccola interagire con gli altri bimbi con quella spontaneità che comincia ad abbandonarci intorno agli 11 anni. Tutto sembrava perfetto, tutto sembrava irreale.
Ad un certo punto, con una puntualità sconcertante, ecco arrivare una ragazza dallo sguardo sereno e dalla gestualità buffa (soprattutto per una persona come me che ha alle spalle anni di coda alla Posta di Partanna Mondello ) che con un silenziosissimo “hellooooo” ( devo ancora abituarmi al fatto che qui non grida nessuno eccezion fatta per mio figlio, mio marito e i figli del vicino indiano)è riuscita ad attirare su di se l’attenzione di tutti i patatelli.
Ecco il primo minilibro, il secondo, il terzo. Il problema è subentrato al momento delle canzoncine: mentre tutti i tots presenti esultavano certi che le loro mamme li avrebbero in qualche modo aiutati a cantare o ballare; la piccolo Maia ed io ci fissavamo nell’attesa che una delle due prendesse l’iniziativa.
Se il problema è stato presto superato dinnanzi a canzoncine quail: “Twinkle, Twinkle Little Star” o meglio ancora, “If You Are Happy”; il peggio è arrivato al momento di cantare “Nella vecchia fattoria”.
Molti di voi già sapranno che nella versione anglofona ad essere vecchio è il fattore e non la fattoria. Tuttavia, il problema non è stato rappresentato neanche da questo, dato che la mia piccola bimba non conosceva né l’una né l’altra versione. Cercando di aggregarmi al coro di mamme per non far sfigurare la mia piccola patatella, a un certo punto mi sono decisa a intonare pure io le famosissime note.
Dal mio “Ia ia oooooooo” s’intuiva la provenienza italiana rispetto al più canadese “ Eee – eye – eee – eye –o”, ma questo è niente se avrete la bontà o la curiosità necessarie per continuare a leggere.
Old Mcdonald aveva una mucca che faceva moo –moo…e ancora una volta mi è andata bene per cui fatta eccezione per una leggera inflessione sicula, mia figlia poteva essere fiera della sua mamma.
A partire dall’arrivo del maialino sono cominciati i miei problemi e i miei occhi hanno potuto assistere al crollo virtuale di quei pilastri della conoscenza cheogni individuo si porta dietro dai tempi dell’asilo. Assolutamente disinibita, in preda all’entusiamo per essere riuscita dopo anni di strana timidezza a cantare in pubblico, avrei voluto sorprendere gli astanti con un grugnito degno della più famosa fiera del porco. Uno di quelli talmente nasali che si incontrano a metà strada con la gola provocando quel prurito fastidioso che nemmeno dieci litri di acqua riescono ad eliminare.
L’effetto è stato quello di un tonfo secco durante un concerto per piano. Che cazzo è quello? Quello sarebbe un grugnito? Ebbene sì! I maiali anglofoni dicono: OINK! (letto proprio così!)
La stessa Maia mi ha guardato perplessa cercando una spiegazione che non ero in grado di offrirle. Mi sono limitata ad abbassare di molto i decibel della mia voce lasciando di nuovo spazio alla timida canterina che vive in me. Per fortuna.
In ordine:
• La mucca fa MOO (muu)
• Il maiale fa OINK (oink)
• La pecora fa BAA (ba)
• La gallina fa CLUCK CLUCK (clo clo)
• Il cavallo fa NEIGH
• Il cane fa BARK
• L’asino fa HI- HO (per fortuna)
• Il gallo fa COCK A DOO ROO DOO (coccadurudu)
A questo punto ci sarebbe da chiedersi: “E il coccodrillo? Il coccodrillo come fa?” Per fortuna, nemmeno in Canada, c’è qualcuno che lo sa.
mercoledì 12 maggio 2010
Profumi e Colori
Non saprei dire esattamente quando ha avuto inizio quell’abitudine che mi porta ad attribuire un colore e un odore ad ogni nuova città visitata, Paese o persona. Sta di fatto che ormai è qualcosa che mi appartiene tanto quanto il piacere per la lettura o scrittura.
Quest’esperienza canadese, ovviamente, non poteva essere diversa. Anche se, a dire il vero, qui è quasi inevitabile che ciò non accada. Tutto mi sembra più profumato, più colorato e non credo che dipenda solo dall’entusiasmo per la nuova esperienza, quanto dalla probabile esigenza, tipicamente locale, di enfatizzare qualsiasi cosa finanche la più banale. Ѐ così che magari mi viene in mente che un nostro voto scolastico tipo “Bravissimo” sia sostituito da un più enfatico “Super Wow” con tanto di faccina che strabuzza gli occhi e rivolge i pollici verso l’alto.
I colori e l’enfasi vengono sempre accompagnati da tentativi, a volte un po’ maldestri, di diplomazia. Ma, per quanto maldestri, suscitano in me una certa tenerezza e una certa amarezza. Quest’ultima in realtà è più che altro provocata dalla consapevolezza del fatto che per quanto gli italiani siano convinti di essere uno tra i popoli più gentili al mondo, scopro (ma non troppo) che avevo ragione nel pensare che trattasi di un luogo comune, un topos che può unirsi a quelli ben più noti del mandolino, della pizza, degli spaghetti. Ѐ grazie alla suddetta diplomazia che un compito fatto benino è un “ci stiamo lavorando sopra”; che un curriculum terribile “non è male ma io lo scriverei così” e via dicendo con una serie infinita di opzioni.
Qui ho conosciuto gente veramente cortese e persone veramente scortesi. In entrambi casi, questo fa la differenza tra una società civile e una meno civile, nessuno al momento si è permesso di aggredirmi verbalmente, di provare in tutti i modi a convincermi di essere più furbo di me.
Finanche la rinomata freddezza dei Paesi Nordici mi pare più rassicurante del caldo saluto del posteggiatore abusivo che mi dà il benvenuto con un “comandi signora” e mi dà il benservito disprezzando quei venti centesimi che nemmeno ero tenuta a dargli.
Adesso comunque non voglio scrivere il trattato su quanto sia stata saggia la mia scelta di venire a vivere in questo Paese. Quello sarà il tempo a dirlo e un’esperienza sicuramente più completa e più matura. Tutto ha avuto inizio con gli odori e i colori.
Palermo è rosa e non perché la sua squadra di calcio abbia quel colore nella maglietta ufficiale, ma perché come lo stesso Goethe scrisse i giochi di luci e ombre le fanno assumere quella tonalità (vedi nota) .
Trapani, per me, è di un arancione abbagliante. Il colore della città è quello che nasce dal magico riflesso di un sole accecante sulle vasche delle saline durante un normalissimo quanto inimitabile tramonto che sa, mi sa, di sale. Mi sa di pizzicore sulla schiena, sulle braccia, dopo una giornata di mare. Mi sa di Amore e di Fastidio. Mi sa di qualcosa che mi appartiene e che in pochi possono percepire.
Erice è Bianca. Napoli, verde muschio. Praga, giallognola e misteriosa. Londra, rossa. Toronto, azzurra.
Toronto è decisamente di un azzurro chiaro. Un azzurro che mi sa di pulito e di profumo di ammorbidente. Un azzurro che mi sa di lenzuola fresche sulle quali allungare i piedi alla ricerca di quella sensazione gradevolissima che mi porta a fare un sospiro profondo di serenità e pienezza. E quandanche il cielo è grigio e appesantito da da una pioggia imminente, Toronto rimane nella mia mente un cielo azzurro tapezzato di nuvolette bianche. Quelle stesse che il mio piccolo Lorenzo ha deciso, di sua spontanea volontà, di immortalare dopo aver chiesto la macchina fotografica.
Ma che odore ha Toronto? La città, senza ombra di dubbio, sa di canella. Toronto è alla cannella. E la canella mi sa di biscotti e i biscotti sono buoni da mangiare.
Toronto è decisamente una torta alla canella, con un retrogusto di anguria (l’essenza delle caramelle, non quella reale del frutto) e una spolverata di zucchero a velo su una copertura di marshmallow turchese.
NOTA. Ma anche: “Nel capoluogo siciliano si meraviglia della sporcizia che riempie i corsi principali, ma sa comprendere anche l'umoristica rassegnazione degli stessi palermitani (che già allora dimostravano di conoscere la corruzione nell'amministrazione della loro città).” http://ospitiweb.indire.it/~mipm0001/goethe/palermo.htm
foto scattata da Lorenzo
martedì 4 maggio 2010
E' ridiamocci su!
Tuttavia, non vuole essere questo l’argomento di discussione di oggi. Tutto nasce da un’e-mail ricevuta ieri sera (la mia di sera) che ha suscitato in me una simpatia immensa. Ho sorriso e poi riso con le lacrime agli occhi mentre i cugini canadesi dei miei folletti mi guardavano sbigottiti e confusi non sapendo se ridere assieme a me o chiamare un medico.
Di seguito riportero’ l’e-mail così come l’ho ricevuta:
“Gentile Cliente Visa Card,
Per motivi di sicurezza, La tua Carta di credito e stata bloccata.
A seguito di una attivita anomala, dobbiamo constatare che qualcuno ha usato la carta di credito senza il vostro permesso,per la tua protezione, abbiamo bloccata la tua carta di credito.
Il tuo caso ID Number : PWER478DR7WE
Per riattivare la carta di credito ,CLICCA QUI e seguire il passo di aggiornare le informazioni contenute nella tua carta di credito.
Nota : Mancata verifica i tuoi record comportano la sospensione della carta di credito.
La tua protezione e la nostra responsabilita a voi Grazie ..
Support Customer Service.
Copyright 1999-2010 VerifedbyVisa. Tous droits riserve.”
Quando l’ho comunicato ad Ale, giustamente, si è innervosito perché evidentemente trattasi di un tentativo di truffa ai danni di povera gente che non ha molta dimestichezza con le carte di credito. Insomma, effettivamente, sono due le cose: 1) trattasi di scadente tentativo di furto
2) La Visa e la Master Card hanno qualche problema col personale e non potendosi permettere impiegati dal Profilo Alto come il mio, si sono ridotte ad assumere semi analfabeti di cui comunque è pieno il mondo.
Tuttavia, la mia testolina folle è andata oltre e appurato che non avevo alcuna intenzione di dare i dati della mia carta (che peraltro non possiedo nemmeno visto che ancora la Visa non me l’ha mandata) a Mr. Ioconoscobenelitaliano, mi sono potuta permettere di ridere e soffermarmi sia sulla forma della comunicazione piuttosto che sul contenuto.
La prima cosa che mi ha fatto sorridere è stato quel “La” scritto con la elle maiuscola. Chi ha impostato quella lettera forse non ha capito che scriviamo “Lei” con la maiuscola ma non abbiamo ancora riconosciuto alcuna superiorità alla elle per il semplice fatto di essere una elle.
Bellissimo anche il fatto che mi abbiano assegnato un numero di pratica: “Il tuo caso ID Number : PWER478DR7WE”
Questo sì che mi dà la certezza di una comunicazione seeeeeriaaaa.
“Nota : Mancata verifica i tuoi record comportano la sospensione della carta di credito.” Dinnanzi a questa minaccia la mia colonna vertebrale è schiacciata dal terrore. Vi prego, noooooo! Non mi sospendete una carta di credito che non possiedo per non aver comunicato i miei “record”.
“La tua protezione e la nostra responsabilita a voi Grazie ..’ A questa frase la mia mente in automatico fa seguire un “Amen”. “A voi”, chi? Oppure mi fa pensare al professore di latino al liceo che dinnanzi a un Oh etc... diceva: “Vocativo!”
Ma la cosa più tenera. Ciò che davvero può aiutarti ad andare oltre la rabbia è quella simpaticissima e geniale conclusione: Copyright 1999-2010 VerifedbyVisa. Tous droits riserve.”
Ha questo punto Signori non o altro da aggiungiere...
lunedì 3 maggio 2010
Dandelions & friends...
To say the truth, I don’t know who could be really eligible to be considered a Canadian given that, most of the people here derives from other Countries all over the world.
However, here in Toronto (Vaughan to be precise) everything looks so different and even those things which in old days made me ironically laugh sound in a different way. As I was saying, I went to Lorenzo’s school riding my bike with that nonchalance which is ours only when one’s is on vacation. I mean, while living in Palermo I wouldn’t have never worn a helmet to ride my bike even if, probably, it could have been safest than among the quite streets around my house here. But it’s too cool to send your relatives and friends some pictures where you can show how integrated you are!
To create a perfect image of our wonderful integration, maybe, we should buy one of those basket hoops which decorate the driveways of many houses. No doubt, I wrote “decorate” not for a lack of vocabulary, but because, since I’m here I’ve never seen human being play basketball. So I interpret that it’s a kind of decoration, mandatory in those houses populated by at least a teen ager.
Now that is Spring Time you can choose among a basket of tulips, a basket hoop to play virtually basketball, a big stone (which reminds the Flintstones’ style) situated close the main door of your house, a stone happy girl statue who holds two stone baskets full of nothing (I know that I could write “empty” but “full of nothing” gives more the idea of usefulness), two roaring lions and that’s it. That means that you’ve been living in this Country at least for five years.
This is the reason why if you decide to pass close to my house, you will see just a carpet of grass with not even the shadow of some flower (dandelions included!), trees, pots or whatever else but a happy girl. Yes, that’s for sure! You will see a happy mom, with two happy kids, a Sopranos style husband with his inseparable hat (no matter the weather!) and, definitively a happy just landed family able to be enthusiastic even without a job!
venerdì 30 aprile 2010
Herpes
Quel giorno dovevo preoccuparmi di cucinare qualcosa per la cena, perché poi non ne avrei piú avuto il tempo.
Munitami degli ingredienti inizio a tagliare le verdure quando il mio orecchio sempre allerta lo sente... “Zzzzzzzzzzzzzzzz”. Un´ape!! “Aiutooooooooo”, io grido, ma subito devo correggermi se voglio che qualcuno venga a soccorrermi: “Heeeeeeelpppp!!!!”.
Panico: a casa non c´é nessuno. Eccomi allora lí in pigiama, con gli occhi gonfi e le labbra di chi ha appena subito un intervento al silicone, pezza in mano, che con un “AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAaaaaaaa, MUORIIIIIIIIIIIiii!!!!!!!” mi avvento sulla mia vittima. Ho dovuto ucciderla, non avevo scelta...
Ora la domanda é, cos´é che rende una donna piú isterica di un abuso edilizio sul labbro superiore, altrimenti detto herpes?? Un herpes accompagnato da una reazione allergica dietro l´orecchio!!!
Cinque minuti dopo dietro il mio orecchio sinistro infatti ardeva il fuoco: un numero infinito di puntini rossi cresceva in maniera inquietante sotto gli occhi della mia amica che intanto era arrivata. Reazione allergica, o punizione divina??
(Oh guarda, un insetto si é appena schiantato contro il vetro della mia finestra CHIUSA...Ha fatto “ttacc”, il che significa che doveva essere bello grosso!! ).
Fondotinta e via: si va nel mondo.
Neanche arrivo al lavoro che lungo la via incontro un amico... “Ciao, come stai?”, domanda di rito la cui risposta non ha nemmeno aspettato perché subito mi si é precipitato addosso con l´indice puntato verso il mio ospite per chiedermi “ma cosa hai lí?”.
Qualsiasi donna che si rispetti a domande del genere avrebbe risposto con una buona dose di aciditá mescolata ad isteria. Mentre il mio cervello rispondeva dicendo che quella cosa indecente aveva deciso di mettersela lí lui, con lo stesso principio con cui stabilisce di indossare un paio di orecchini, pallina dopo pallina, dalla mia bocca uscí solo, automaticamente, “herpes”. Inutile aggiungere che un vero Gentleman avrebbe fatto finta di non vederlo...
La gente proprio non ti capisce, e a dirla tutta, ti emargina.
Vogliamo poi parlare del fatto che appare sempre nei momenti meno indicati?
Ricordo ancora di un appuntamento per andare a vedere un concerto, ricordo ancora la faccia divertita della mia rivale... Quello di allora fu un herpes mostruoso!! Davvero non avevo chance!
Oh beato chi non ne é affetto!!
N. d. A. : Consiglio a tutti i lettori interessati al tema herpes, “ Sola come un gambo di sedano” di Luciana Littizzetto.
lunedì 26 aprile 2010
Introduction to the strange case of an OVERqualified Italian!!!
Please, read before complaining!
I know. I really know that it would be better if I were so wise not to write in English. But, unfortunately, the fact that I’m one of the most brilliant person you’ve ever met, doesn’t necessarily make me wise too.
This is the reason that pushes me towards that solution according to which I understood that if I wanted to become a famous writer, no matter the subject, I would have been writing in English to make Canadians understand what resourceful genius I am.
If someone had told me that I would have been living in Canada, no doubt, now things would be pretty different. First of all, I wouldn’t have spent too much time to do all my best to make Italians figure out how open-minded and brave I was. Moreover - If only I had known! - I wouldn’t have spent my spare time (most of the time due to the economical situation in the South of Italy) to improve my Italian writing skills.
However, never say never, I’m young enough to improve my capability without bother you. What I want you to know now is that, thanks to your precious help and collaboration, I will improve my language skills while providing you a good dose of humour through the extravagant adventure of a New Millennium Italian Immigrant.
It’s a pity that you couldn’t hear my accent...maybe it would be funnier. However, to better understand please, think of the Sopranos or the Godfather and that’s it!
Aigaragoooo, Aigaragoooo!!!
venerdì 16 aprile 2010
Perdono!
Voglia Sua Grazia perdonar la mia mancanza
Ma e’ bene che Lei sappia
Che non fu latitanza
Men che mai fu vacanza !
Il problema a dire il vero
e’ che pur con tanto Amore
spesso il cuore fa un dispetto
mandando il cervello a letto.
Fu cosi’ che a un certo punto
Mi svegliai con disappunto
Ricordando all’improvviso
Del suo dolcissimo bel viso
E degli Auguri non fatti in tempo
Me ne dolgo e me ne pento
Ma vorra’ sua Maesta’
Con immensa Bonta’
Perdonare alla scrivente
Questo scherzo della mente…
Io le auguro pertanto un felicissimo Buon Compleanno
E se per caso dovesse esser stato magro
Le prometto con affetto
Che rimediero’ presto al misfatto.
Tanti auguri mia cara Tata
Meno male che sei nata
Altrimenti senza te
Chi avrebbe riso con me
Di quelle cose sceme
Che non fan ridere la gente
Ma, non si capisce come,
Per noi son come Pane !
Meno male che ci sei,
Meno male che ci fai,
Meno male che ci sarai
Cosi’ una rima mi troverai
Per concludere entro l’anno
Questo mio componimento
Nato solo per scusarmi
E non certo per dilungarmi
Alla ricerca di una rima
Che mi aiuti a finir prima!
giovedì 15 aprile 2010
lunedì 12 aprile 2010
Tuttiglialtricentrico
Molti pare siano convinti che in tutto ció che scrivo ci sia un riferimento ad ognuno. Le interpretazioni variano... c´é chi si identifica, chi crede di aver colto il riferimento o la denuncia, e via di seguito.
Qualcuno mi ha addirittura detto di aver capito chi fosse nella realtá uno dei personaggi dei miei raccontini. É notevole, anzi miracoloso, sfida le leggi della natura un fenomeno del genere, dal momento che io per prima non ne ho un´idea...Insomma veramente non conosco nessuno che sia alto pochi centimetri di nome Folie. Voi? Forse é un personaggio famoso e lo sa tutto il mondo tranne me? Perché se é cosí diventa tutto chiaro, é come se uno chiamasse il suo personaggio Che Guevara, e poi gli si andasse a dire “Si il Che! Mi ricordo!”.
Bando alle ciance, non scrivo tutto questo per giustificarmi o cose del genere, é solo che per me la vicenda é stata spunto di riflessione. Infatti mi ha fatto riflettere su una cosa che giá sapevo da tempo, ed é un segreto di cui oggi voglio rendervi partecipi: il mondo é tuttiglialtricentrico.
Ognuno é convinto che il mondo ruoti intorno a se stesso. Questa é una cosa diffusa. A questa componente talvolta se ne aggiunge un´altra: l´insicurezza. Se poi le persone cosí hanno un amico scrittore é fatta: “di certo lui racconterá la mia storia” oppure “sicuramente in questo passaggio si riferisce alla discussione dell´alra sera” (= se il luicentrico ha la coda di paglia). La gente cosí puó perdere ore a trastullarsi il cervello cercando di cogliere riferimenti a destra e a manca.
Ora é chiaro che io non sono neppure lontanamente una scrittrice, e la cosa incredibile é che ciononostante c´é chi si mette lí a leggere credendo di essere il protagonista. Vi immaginate in quest´ottica le paranoie degli amici di Isabel Allende?? Perché di sicuro almeno uno dei suoi conoscenti é cosí!
Mi viene in mente un altro episodio. Un mio datore di lavoro di tanto tempo fa, un giorno chiacchierando, mi chiese cosa volevo fare nella vita... Non avendo molta voglia di riferirgli nulla dei miei reali progetti, la risposta fu che avrei voluto fare la scrittrice. Allora subito mi domandó con aria preoccupata cosa volessi scrivere... Ma cosa temeva? Temeva forse che scrivessi la sua biografia, o che denunciassi le condizioni di lavoro a cui dovevo sottostare? No, lui non temeva che il mondo sapesse delle sue capacitá imprenditoriali-schiaviste, o di quanto fosse incommensurabilmente ignorante e insicuro. Io credo di aver capito il suo punto debole...Lui temeva che io svelassi la sua scoperta scientifica, e cioé che quelli di statura bassa oltre a differire da quelli alti per la caratteristica di gridare (gridano perché pensano che altrimenti i giganti non possano sentirli: é fisica!), hanno il vantaggio di sviluppare i muscoli piú velocemente. Perché? Perché i loro muscoli sono chiaramente piú piccoli, o per usare le sue parole “corti”. Il suo motto era “il muscolo corto si sviluppa prima”. Poi continuava spiegando che mentre un individuo di un metro e ottanta cm ha bisogno di molto allenamento, cosí non é per un altro di un metro e cinquanta cm. Peccato che non avesse nessuna teoria per quel che riguarda lo sviluppo del cervello, cioé come si sviluppa il cervello in quelli alti (lui) e come in quelli bassi (io).
Io non ho mai sentito parlare di niente del genere per cui ne deduco che la sua sia davvero una scoperta innovativa. Interessante no?
Buona giornata!
giovedì 8 aprile 2010
Una giornata per non dimenticare
Per chi non ne avesse un´idea ogni consolato persevera nel mantenere usi e costumi del paese che rappresenta. Mi verrebbe da pensare che questo serva a permettere alla gente che vi si reca a non dimenticare le proprie origini (tutti noi sappiamo quanto siano importanti!), oppure a ricordarsi perché uno se ne sia andato, facendo una cosí “scelta triste”. “Ma che sceelta tristee” continuava a dirmelo l´impiegata con tono piagnucoloso.
È un peccato che io non sappia scrivere bene, perché mi risulta molto difficile rendervi partecipi di ció che ho visto e sentito...
Continuavo a pensare all´unica risposta logica che era in realtá una domanda (retorica?): ma le sembro triste, io??
Superato questo “tristeee” siparietto, e cioé l´ufficio informazioni, vado nell´edificio principale.
Entrata fu il teatro piú totale, non nel senso di caos, infatti noi italiani spesso amiamo cimentarci in allegre rappresentazioni e di solito il tema é “tristeeee”. Anzi si fa una gara a chi é piú distrutto dalla vita, in un crescendo che potrebbe concludersi con un´affermazione che non é mia, dunque cito, “io sono piú morto di te”. Non é una metafora.
In sala d´attesa ognuno era impegnato a stare al centro dell´attenzione e a rubare la scena all´altro. Il modo piú semplice per prendersi la scena é la finta solidarietá- altruismo verso il nuovo arrivato...
... “Signoorina ma lei che deve fare?” . Una voce da baritono, che peró é abituato a cantare in dialetto, stava gridando questa domanda. Ma chi io?
Intanto mi aveva giá tolto il biglietto del turno di mano e con aria furba cercava di sbirciare nei miei documenti.
Mi é stato spiegato senza averlo chiesto dove dovevo aspettare, e mi sono anche stati svelati i “trucchetti”, perché pare che ce ne sia sempre uno...Mah!
Sbrigata questa prima parte lo show puó iniziare.
Per prima cosa loro cercano di far parlare te, ma se opponi resistenza si rassegnano e va anche bene cosí: ho fatto la parte del pubblico. Loro erano contenti.
Sorvolo sul caos del levarsi delle loro voci (il vincitore é quello che parla a voce piú alta!) e provo a dirvi dei temi delle loro conversazioni.
Avete presente quelle barzellette che iniziano tipo un inglese un francese e un russo si incontrano in Nepal?
In quest´ottica immaginate uno di Enna un altro di Roccapalumba e un tale di Andria che si incontrano al consolato... Secondo voi come potrebbe continuare la barzelletta?
“Io??” Un signore senza essere mai, nota bene MAI, interpellato raccontava ma soprattutto spiegava agli astanti la vita.
“Io sono venuto qui nel 61, avevo 18 anni e tre mesi (“miii si ricorda pure i tre mesi???” fa uno) e la gente non sapeva né leggere né scrivere: eranu tutti in alfabeto!”. Un signore che era lí, nato come lui stesso ha detto nel 33, dice che non é vero, che dove é nato lui c´erano ben otto scuole ed erano tutte piene. “Seeeeeeeeeee, chisstu u rici lei, lei che é stato fortunato: io andavo a zappare e lo sa quanti venivano a zappare cú mia?? Maaaaaaa!! Nní mannavanu tutti a Verona, ci facevano gli esami ci controllavano i denti e se andavamo bene ci dichiaravano venduti, e allora e poi venivano quelli del paese straniero e ognuno diceva cosa gli serviva: venti zappatori, quindici operai, e accussí ní espatriavano. C´era gente che restava lí anche settimane ad aspettare!! Poi ho capito!! (indice puntato alla tempia). Aspettavano perché non riuscivano a compilare i formulari, gente che neanche sapeva quando erano nati i propri genitoriii!!”. “Seeeeeeee, tu rici genti che mancu sapianu quannu eranu nati i genitori, ma tu u sai zoccu ti rispunni me má si c´iaddumanni quannu nasciu so figghiu?? E cchí nní sacciu iu!!!” , cosí si intromette nella conversazione uno dei presenti che per dare maggiore enfasi al discorso fece seguire la sua frase da una fragorosa risata. Intanto un ragazzo mingherlino stava in un angolo a fare sorrisi e sghignazzi di assenso.
Il signore del 61 continuava a parlare e straparlare...
“Io??? Io sono qui da cinquant´anni e parlo sempre in italiano anche con gli stranieri, e poi faccio attenzione a quello che dicono, tendo l´orecchio e se mi rispondono male, allora io gli dico una parolaccia nella loro lingua, cosí li fotto!! E leeei che dice che non é vero che la gente é in alfabeto, ma lo vuoi capire ora o no che é cooome dicoooo iooo”, “Certo certo, si si, e che sto dicendo”, risponde il poverino del 33 che forse ha giá iniziato ad avere paura.
Per fortuna peró andó via.
Il tipo mingherlino allora si alza e se ne esce con un “mii un mma firava cchiú, ma quantu parra chiddu??”. Si, é lo stesso che abbiamo visto prima fare sorrisi di approvazione!
Un uomo vestito tutto di bianco continuava a passare e a dire “vado dal notaio, vado dal notaio, vado a vedere se c´é il notaio, vado dal notaio”.
Dopo un pó il signore del 61 torna e mi fa: “Ha visto un uomo vestito di bianco?”, “No”. Perché ho mentito? Non é un tipico caso di omertá, é solo che ero troppo impegnata a chiedermi come facesse il signore che mi stava di fronte a farsi quel riporto che partiva dalla base dell´orecchio sinistro, unico punto in cui c´era un ciuffetto di capelli, e riuscire a coprire tutta la pelata. Come glie lo spiega al barbiere?
Finalmente fu il turno del signore del 33 che dopo tre quarti d´ora esce dall´ufficio senza aver risolto il suo problema, mi si avvicina e mi fa: “Signorina, é come quella barzelletta che da un ufficio ti mandano ad un altro”. Riidere, quasi piegato in due dalle risate, che mi contagiarono per inerzia, dato che la storiella di fatto non me la disse, ma fece come se.
Tutti andarono via e restai col tipo mingherlino: “Io sono andato via da undici anni”, “da solo? Ma quanti anni hai?” , “28”, “a 17 anni da soolo?”, “si, da solo, cioé no con i miei genitori. Comunque mi sono sposato e ho divorziato, ho una figlia di 5 anni”. “Ah, bello quindi é bilingue.” , “no no, parla peró parla due lingue tranquillamente. In pratica sono venuto qui per registrarmi all´anagrafe, perché cosí non pago piú la tassa sui rifiuti in italia, altrimenti mica sono scemo che mi registravo qui!”.
Tutti i presenti, forse tranne me, erano lí a risolvere cose ingarbugliate ai limiti con la legalitá come nel caso del giovincello, quindi poi diventa chiaro perché io abbia dovuto aspettare tre ore per un disbrigo pratiche di dieci minuti!!
Il penultimo era dentro e presto sarebbe toccato a me: ero riuscita ad essere da sola in sala d´attesa e c´era silenzio. Che bello é finita!
Finita sto cazzo: la donna delle pulizie aveva acceso l´aspirapolvere. Si sa che alcune volte é meglio starsene a casa, e per me era uno di quei giorni.
Giunto il mio momento l´impiegata nel compilare la mia scheda ad un certo punto dice qualcosa tipo “volendo qui potremmo scrivere la veritá”... Addirittura, sicuro?? Cari lettori oggi vi do un consiglio non invischiatevi mai in affari loschi, perché se a me hanno detto che potrei compilare un documento scrivendo la veritá, non oso immaginare come si fa a gestire la burocrazia con un malfattore!
Un tipo allucinante, un impiegato, che mi disse vada fuori a comprare i francobolli, mi rivolse uno sguardo di rimprovero quando di ritorno gli dissi che fuori non c´era nessun distributore , e mi disse che la macchinetta era lí dietro la porta. Ergo nella stessa stanza e non fuori!! Ma allora perché cavolo mi fai uscire, cosa che tra l´altro hai visto???
Non troveró mai una risposta...e non solo a questo quesito:)
mercoledì 10 marzo 2010
Le Allegre Comari
una strega di cui non vi diró,
ma che raccontar ora voglio
in onor di quel sogno
che un giorno in Villaggio
del misfatto mi informó.
Incantesimi e segreti furono ben celati
a quel tempo in cui tacquero gli stessi prelati.
“Giustizia sia fatta” la folla gridava
che di averle giá mandate all´inferno sperava.
Condannate le Comari furono a quel rogo,
ma nessuno degli astanti fece conto
di quel ghigno furibondo
che aveano ben stampato in volto...
Le tre gioivano del fuoco
come di un gran bel gioco.
Il resto lo scriveró
cosí come la cara strega
a me lo raccontó...
Questa é una storia di milioni di anni fa, che avvenne in un tempo lontano, quando al Villaggio tre Allegre Comari vivevano. Loro cucinavano per tutta la gente, ed il loro aspetto suscitava grande rispetto. Mai nessuno poté mettere piede nella loro cucina, noto era solo che tutti potessero deliziare di succulenti piatti grazie ai quali le ore del riposo erano scandite da dolci sogni d´oro. Impossibile sapere gli ingredienti, ancora meno intuire quel che davvero si celava dietro quei bei visi. Erano davvero incantevoli, ed ognuna caratterizzata da una particolare sensualitá: solo tre donne offrivano cosí una certa varietá, che sembrava essere indistricabile...Nessuno avrebbe saputo scegliere: sembravano insieme, un solo essere raro.
Grandi risate provenivano dalla cucina, e tale gioia era davvero contagiosa. Per molti anni la pace e l´armonia regnarono nel Villaggio, e l´insorgere di problemi sembrava essere impossibile. Pietanze deliziose, allegria, conforto e giustizia offrivano le tre donne senza chiedere mai nulla in cambio. Niente ahimé é per sempre...
Una vecchina attenta non si fidó mai delle tre, e cosí le spió a lungo senza esporsi ad inutili pericoli. Indagando scoprí che le Allegre Comari riuscivano nella miracolosa impresa solo con l´inganno. Fingendo infatti di rispettare i diritti di tutti e portando avanti principi quali la lealtá e la giustizia, nessuno si accorse che in realtá attraverso incantesimi e strani rituali, facevan sí che la Veritá venisse dimenticata... Sembrava dissolversi tra i profumi delle prelibate pietanze e tra le note di magnifiche melodie tribali. Tutti confortati dall´idea di non essere colpevoli, gli abitanti erano giá cosí soddisfatti, e agitando gli arti come ossessi si scrollavano di dosso responsabilitá e preoccupazioni a piú non posso...
L´attenta vecchina notó l´inganno e con l´imbroglio riuscí nel suo intento...Le tre non prestavano molta attenzione a quel che in giro si diceva, giacché se pure un´infamia qualcuno avesse proferito, loro prontamente l`avrebbero polverizzata con un rito. Sottovalutarono quella dolce vecchina che un giorno chiedendo conforto da loro si recó...Con il cuore a pezzi la poverina diceva del suo dolore, mentre le tre giá indaffarate in una pozione, la facevano sedere su un grosso seggiolone. La vecchina furbamente si addormentó e cosí nella proibita cucina restó. Le Allegre Comari pensarono di andar a dormire che tanto l´ innocua vecchina male neppure ad una mosca avrebbe potuto fare. Ma non appena furono lontane con un balzo lei il seggiolone lasció e in dispensa si recó. All´inizio non riuscii a credere ai suoi occhi: la Veritá non spariva nel nulla!! Milioni di barattoli e bottiglie riempivano gli scaffali, e milioni erano anche le etichette: “ Le bugie dei veri infami”, “La vera storia del signor M.”, “Il dolore per il figlio scomparso della signora J.”, “L´odio per la moglie del signor T.”, “La bontá dell´uomo ragno”, “La perversione rubata a un farabutto di passaggio” e via di seguito. Tutto era raccapricciante molto piú di quanto l´attenta vecchina si era immaginata, e quasi credette di svenire quando in una delle etichette lesse la scritta ““Il vero assassino della mamma di Bambi”...Incredibile di cosa le tre fossero capaci!!
Ripresasi prontamente da quanto appena scoperto, la vecchina capí il senso di tutto ció: le Allegre Comari rubavano i sentimenti della gente per usarli e combinarli a loro estremo piacimento...Ecco scoperto come facevano a sostenere tutto e il suo contrario al tempo stesso...
Cosa si poteva fare per dare loro una lezione? La vecchina decise di rimettersi subito sul gigante seggiolone e far finta di dormire, che intanto le tre sarebbero anche tornate. Avrebbe nel frattempo deciso il da farsi...
Dopo tante ore di meditazione le fu tutto chiaro: le tre Comari rubavano i sentimenti agli altri perché in realtá ne erano prive, ma siccome i loro animi non erano buoni, mischiavano tutto con malignitá...Dunque bastava far sparire tutti i barattoli e le bottiglie della Veritá, anzi meglio ancora, romperli tutti e lasciargli liberare il loro contenuto per sempre. Quella sera stessa, dicendo che le sue povere ossa non le avrebbero mai permesso di sollevarsi e addirittura scendere dal seggiolone, riuscí a restare in cucina di nuovo. Le tre andarono via, e non appena divenne impossibile sentire i loro passi allontanarsi, la vecchina di nuovo con un balzo saltó dal seggiolone e si precipitó nella dispensa: inizió a lanciare le milioni di bottiglie e di barattoli fuori nel cortile, le quali cosí facendo si ruppero anche molto facilmente...
Tutti si destarono allora in un risveglio doloroso, mentre le tre streghe si contorcevano con un urlo contagioso.
Fu cosí che al´improvviso la Veritá poté regnare e si poté le tre Comari giustiziare...ma la loro anima era da tempo venduta e non bastó arderle vive per eliminare il loro male. Cosí le fiamme recavano loro solo un nuovo dono, certe che la loro arte avanti nei secoli sarebbe andata, perché dalle genti fortemente amata...Questa fu la vera storia delle tre Allegre Comari le cui anime dannate non bisogna dimenticare per poterle sempre con coraggio affrontare.
martedì 9 marzo 2010
-56
Se dovessi riassumere in poche parole le giornate appena trascorse userei senza dubbio le seguenti: “stand-by di rincoglionimento acuito da un incontrollabile aumento dei decibel con manifesti segni di squilibrio e altalenanti stati dell’umore”. In una sola parola: DELIRIO!!!!
Se mi si chiedesse inoltre di descrivere i giorni trascorsi facendo riferimento agli oggetti che più ne hanno fatto parte, mi verrebbe subito in mente una divisione in tappe con un'unica costante: le valigie.
La prima fase la chiamerò : GORMITI.
I gormiti, dell’aria, della terra, dell’acqua e del vulcano, mi hanno tenuto compagnia per gran parte dei giorni trascorsi. Tutti, o quasi, attorno a me, sembravano essere assillati dalla presenza di questi piccoli e fantasiosi pupazzetti dai nomi improbabili. In primis il piccolo uomo di casa che, eccezion fatta per un brevissimo revival carnevalesco in terra dei Power Rangers, svegliandosi ogni mattina mi augurava il buongiorno con un pesantissimo: “Vuulcaaaannnnuuuuuus, io ti sconfiggerò con le mie “bucazioni” perforanti congelanti che con il fuoco non si spengono perché sanno volare e ti tirano palle di acqua infuocata (non chiedetemi né chiedetevi come sia possibile)”. A seguire, la piccola principessa selvaggia che con i suoi passetti ancor troppo incerti, mi seguiva con dei ruggiti il cui volume era direttamente proporzionale alla quantità di pupazzetti sotto mano.
Fin qui non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che anche qualche adulto ha cominciato a soffrire di sdoppiamento della personalità scoprendo il gormita che viveva in lui dal nome ancor più improbabile. E così ho scoperto che nell’albero genealogico abbiamo pure un “Gormita piritus” e un “gormita solleticus”. Mancava all’appello un “gormita cacculus e uno pus” per vomitare fino al landing in terra canadese. Inutile dire quanto sia stato arduo il compito di non disperdere in terra di Gorm quattro anni spesi a cercare di far diventare un bambino un esserino civile e poco volgare.
Nella fase “Gormiti” c’è stata sempre la valigia. Abbiamo cambiato ben tre case, preso un’unica volta il pullman per spostarci da una città all’altra (esperienza che non ho più voluto ripetere dopo aver costretto 40 passeggeri a sentire 100 volte che “I soooogniii son desiiiideeeeriiii, di feeeeliiiicitàààà…” nel vano tentativo che la piccola gormita-cenerentola prendesse sonno), adempito a tanti doveri in previsione dell’imminente partenza e fatto e disfatto le valigie una ventina di volte.
Le giornate sono trascorse in questo modo e così mentre le cartelle dei documenti si riempivano di fogli raccolti a destra e a manca, i miei telefoni squillavano quasi sempre inutilmente nella speranza che io rispondessi, la mia gola e le mie orecchie andavano in tilt nel ripetere dalle 100 alle 200 volte le frasi: “Bambini calmatevi. Scendete dalla poltrona. Scendete dal tavolo. Non litigate. Gioco di mani, gioco di villani. Baaaasta. Baaaaaastaaaa. Baaaaaaaaaaastaaaaaaa!”
A un certo punto, non saprei indicarne l’esatto momento cronologico, al gormita piritus si è sostituita una cosa che agli occhi ingenui di una mamma impegnata a organizzare l’espatrio del secolo poteva sembrare una semplice pallina. Una cosa a metà tra una pallina da ping pong ( che si potrà pure chiamare tennis da tavolo ma sempre ping pong è!) e una volgarissima biglia.
Sembrava una pallina. Quella piccola sfera in realtà nascondeva come solo un’ostrica saprebbe fare una perla di universo. Un universo fatto di nomi ancor più strani, di quelli che non si possono ricordare, tipo: brick gate che per un gioco di assonanze ti ricorda il più famoso Bill ma che, ahimé!, non ti fa guadagnare neanche un centesimo.
Per chi non avesse avuto il piacere di conoscerli, qui si parla di BAKUGAN!!!! Da qui il nome della seconda fase.
Le differenze tra la prima e la seconda non sarebbero poi così tante se non fosse che queste cazzo di palline, oltre a piccoli mostri, celano al loro interno ancor più piccoli magnetini in grado di far rimbecillire anche il più paziente dei genitori. Alle urla prima descritte, dunque, si sono aggiunte frasi del tipo: “Non trovo più il mio bakugan!!!”, “Cercalo!”, “ma non lo trovo! E’ caduto sotto il frigo e non lo trovo più” E allora, ecco sei adulti impazziti con i culetti a ponte a cercare un bakugan sotto il frigorifero armati di cucchiaio di legno nel vano tentativo di far staccare dalla base del frigo una pallina che più sorda di un bradipo anziano non ha la minima intenzione di staccarsi dall’unica vite che trattiene tutto l’impianto. Un paio di volte avrei voluto essere quel simil bradipo.
O peggio ancora, guardare il bambino che seduto a tavola si lamenta per aver perduto il suo prezioso amico e non riuscire a capire cosa ci sia di strano in quell’immagine di tuo figlio che dovrebbe invece risultarti familiare per poi scoprire che non è normale che alla forchetta di acciaio inossidabile sia spuntato un mega porretto… Trovato il bakugan!
E i giorni nel frattempo sono volati fino ad arrivare al 25 Febbraio, data nella quale da mesi era previsto il vaccino, l’ultimo vaccino della piccola principessa: MPR+V. Ci si potrebbe chiedere per quale motivo abbiano deciso di dividere quell’acronimo aggiungendo un insulso segno +. E’ in quella crocetta che si racchiude l’arcano mistero. I medici non te lo dicono per timore che si possa decidere di non sottoporsi a quella piccola iniezione.
Quello non è un +, ma una vera e propria Croce. E’ un segno, un simbolo di come la tua vita potrebbe prendere una brutta piega nei 15 (quindici giorni) che seguono la somministrazione del vaccino. Innanzitutto, spiego subito che MPR sta per Morbillo, Parotite e Rosolia. + sta per croce e V sta per Varicella.
Svegliatami dopo appena tre ore di sonno, ho caricato i bimbi in macchina (valigia sempre al seguito)per recarmi a Palermo, al centro vaccini per essere più esatta. Qui una ridente signora sulla cinquantina, prima di sottoporre la piccola principessa al suo trauma mattutino, mi ha spiegato per benino cosa ci accingevamo a fare. Poi, ridendo sotto i baffi, ha aggiunto che nell’arco di 15 giorni (“come pure no!”)si sarebbero potuti presentare i seguenti sintomi: febbre, irritabilità, mancanza di appetito, dolori articolari, puntini sparsi in tutto il corpo. Infine: “Se dovesse spuntare la pustolina sul lato del vaccino per la varicella, sappia che la bimba è contagiosa!” Bene. Tra gormiti, bakugan, valigie e chilometri percorsi come se niente fosse, il mio cervellino ingenuo ha deciso di soffermarsi sull’unica frase “come pure no!”
Trascorsa la prima settimana, seppur in mezzo al delirio ampiamente descritto, ho tirato un primo sospiro di sollievo. Tuttavia, essendo i miei sospiri di sollievo simili a dei boomerang aborigeni, ecco che mi sono ritrovata addosso tutto il peso di quelle parole inconsciamente evitate. Alle giornate così diverse eppur tutte uguali si è aggiunta una prima notte quasi insonne della piccola vittima sacrificale. In ordine sono spuntati: la febbriciattola, i dolori articolari, la conseguente irascibilità, una serie di macchioline sparse per il viso di colore e grandezza diversa e dulcis in fundo LA PUSTOLINA DELLA VARICELLA!!!! Cazzo! La bimba non solo è contagiosa ma ha pure problemi di stomaco!
Ed eccomi qui, da poco più di 5 minuti, a meno otto giorni dalla partenza a rendervi partecipi di questa rilassante parentesi nell’attesa che la grande avventura abbia inizio pure per noi. Chi di voi mi immaginava tra una lezione di acqua gym, una seduta di massaggi, e un “fancazzismo” diffuso sappia che la vita mi ha confermato una grande lezione: “Mai fare progetti perché al peggio non c’è mai fine e le vie della provvidenza sono infinite”.
domenica 7 marzo 2010
domenica 21 febbraio 2010
Cosí per condividere...
Spinti dall´arroganza di sapere ció di cui gli altri hanno bisogno, pretendiamo non solo che le nostre parole siano risolutive per l´altra persona, ma che la linea da noi IMPOSTA sia l´unica possibile, tra l´altro giusta. Iniziamo sempre con frasi tipo “posso darti un consiglio?”, oppure “io al tuo posto farei cosí...”, che sembrano essere dettate, a partire poi dall´estrema logicitá con cui vengono sviluppate, solo dalla nostra rationalitá. Qualora il nostro interlocutore dovesse interrompere questo processo di causa-effetto grazie al quale possiamo fargli capire quanto la soluzione al problema X sia chiara, allora diventiamo fatalisti. Mi spiego. Il nostro amico potrebbe dirci che al di lá della cosa giusta, o meglio logica, c´é per esempio un malessere, (quello che noi tenderemmo subito a definire disturbo mentale, o incapacitá), allora ecco il fato: “che vuoi farci é cosí!”. Fin qui niente di strano, cioé un modello di conversazione come questo lo adottiamo tutti tutti i giorni: non abbiamo sempre una spiegazione per tutto, ed é anche umano. Il problema si manifesta infatti nel momento in cui il nostro amico “depresso” avrá trovato una soluzione in autonomia. Una soluzione non necessariamente giusta, non necessariamente logica, opinabile, egoista, ma pur sempre una soluzione valida e possibilmente risolutiva per se stesso. “Te steesso??” , e io?? A me ascoltatore fedele ed amico, non pensi? Forse non stai tenendo in considerazione i miei consigli? E i miei sentimenti non contano nulla? IO, capisci?? Ecco quindi che iniziamo ad infamare il nostro amico, quello che, e non scordiamolo, volevamo aiutare!! Lo accusiamo di egoismo nonostante noi si stia continuando a parlare solo e soltanto in prima persona, gli lanciamo addosso un container di responsabilitá verso l´intero universo e di sensi di colpa, perché deve sapere che quello che ha deciso di fare (in realtá non importa che cosa!) avrá delle conseguenze permanenti, di cui solo lui sará il responsabile. Possibilmente minacceremo di tentare il suicidio, e sveleremo di soffrire di un insufficienza cardiaca mai dichiarata sino a quel momento (segreto mantenuto per anni per un´occasione speciale come questa!). E credetemi non necessariamente ci fermeremo a questo, e non esagero se dico che alcuni di noi potrebbero davvero iniziare a fare come quel tale che infastidito dal gioco di Amelie Poulan, le disse che il flash della sua macchina fotografica causava incidenti, e cosí la piccola si convinse, guardando il telegiornale, che tutto ció che stava accadendo nel mondo fosse solo e soltanto colpa sua.
Io posso ben immaginare come ognuno di noi creda che tutto ció non ci riguardi, che mai abbiamo fatto niente del genere, ne tanto meno lo faremo, che é Follia!! Cari signori é arrivato il momento di smentirci, di non prenderci piú in giro, di smetterla di scaricare sugli altri le nostre paure e le nostre incapacitá, sostenendo che le incapacitá siano invece proprio dell´altra persona. Del resto essendo tutti sostenitori del karma e del fato, come detto, smettiamola di intralciare il destino, dato che siamo anche molto bravi a proferire frasi, molto spesso vere, come “io non posso aiutarti, anche se mi dispiace moltissimo per te!”. Quindi? Niente oggi mi girava di dire queste cose. Buona domenica cari!
mercoledì 17 febbraio 2010
Nostradamus
Mi resi anche conto del fatto, dato il terrore nei suoi occhietti da roditore, che Nostradamus bluffasse intenzionalmente. Infatti quella delle capacitá paranormali era giusto una strategia per avere un pó di potere sugli altri, ovvero quella schiera di Creduloni che al calar delle tenebre gli chiedevano di leggergli le carte, le quali venivano interrogate con domande tipo, “ma lui lascerá sua moglie per tornare da me?” .
La cosa che io trovai sempre esilarante erano non tanto i quesiti, per quanto opinabili, ma le risposte. Per esempio una conversazione tipo tra Nostradamus e i Creduloni era: “Che puoi dirmi riguardo questa sera?”, “Allora, io ho una forte sensazione...Secondo me con questa persona, che tu stai pensando in questo momento, questa sera puó succedere una cosa bellissima o una cosa bruttissima, dipende da te”. Incredibile!! Cioé, rivolgersi a Nostradamus poteva davvero rivelarsi fondamentale e risolutivo! Ogni tanto qualcuno, coraggiosamente si intrometteva nella conversazione con un ironico “E quindi?” seguito da una risata. A quel punto lo stregone iniziava a roteare gli occhi aggiungendo che quella sera avrebbe fatto bene a ritirarsi, perché aveva giá capito che i suoi demoni gli avrebbero dato del filo da torcere: “ Purtroppo io percepisco solo le energie negative!”. Una sera mentre tornavo in camera mia sento: “Curú, curú!!”. Non essendo il mio nome non mi venne neppure in mente di voltarmi...”Curúúú! Curú aspetta!”. La voce si fece piú vicina...“Curú, mi accompagni alla Recepc?” . Nostradamus mi correva incontro...Curú ero io...Cuore!! Quella volta che la bottiglia cadde, (in realtá sappiate che si trovava nel posto sbagliato perché dimenticata da qualcuno), davvero si era preso un bellu scantazzu!!Ihihahahahahahahahahahahahah!!
giovedì 4 febbraio 2010
Folie
Anche se non restó molto tempo con noi, di certo non mancó di lasciare il segno, soprattutto a chi riusciva a vederlo...
Folie, cosí veniva chiamato, aveva un aspetto senza pretese. Oltre ad essere alto solo pochi centimetri, vantava un grosso naso a cipolla capitolato da due occhietti guizzanti, i suoi capelli erano lunghi e ondulati, e una schiera di orecchini riempiva tutto il suo orecchio destro (indicatore indiscutibile di una sensibilitá punkabestia) . L´abbigliamento poi era abbastanza neutro: maglietta di cotone verde militare abbinata a jeans semplici un pó rovinati dall´usura del tempo...Non lo vidi mai con altri vestiti che non fossero questi. Quando invece andava a fare un bagno al mare, a Folie piaceva farlo nudo...E questa diciamo che non fu mai una mirabile visione: il nostro Folletto non era esattamente fit. Se dobbiamo dirla tutta, bella non era pure quell´enorme chiazza verde scuro sotto la pancia flaccida, che sembrava volesse continuare a scendere giú non si sa fino a dove, ovvero quello che restava di un leone ruggente un tempo tatuato sulla pancia ben stirata di Folie. La veritá é che lui non era piú giovane come un tempo, e anche i capelli iniziavano ormai a diventar color dell´argento, insomma grigio topo.
Folie. Folie non era un tipo esattamente socievole, ma nonostante questo ogni tanto gli piaceva tenere banco con discorsi di ogni tipo che miravano ad infervorare le masse, convincendole della veritá delle sue parole. Mi ricordo ancora di quelle volte. Lui saliva su un tavolo, e affinché tutti potessero vederlo chiedeva allo Scenografo di puntargli un faretto addosso. Tutto questo perché, anticonformista com´era, si rifiutava di esibirsi nell´anfiteatrino di cui disponeva il Villaggio.
Folie nei suoi discorsi pubblici portava avanti delle teorie, che mai nessuno degli astanti condivise. “Borghesi bigotti” , diceva in tutta risposta Folie.
Il suo credo era supportato da alcuni argomenti fondamentali, almeno cosí mi sembró di capire durante quella settimana:
- Ateismo;
- Abolizione del denaro e del lavoro;
- Abolizione delle carceri;
- Boicottaggio della TV.
Per quel che riguarda il primo punto, a Folie sembrava chiaro che ammettere l´esistenza di qualsiasi tipo di divinitá servisse solo alla gente comune per infiocchettare e abbellire la realtá: “Ma non capite che tutto é determinato da reazioni chimiche???” .
Dunque si passa subito ad “Abolizione delle carceri” e su questo non si transige: un individuo entra Uomo ed esce Bestia! Ergo, venendo meno la funzione che la prigione dovrebbe avere, ovvero riabilitare l´essere reo alla societá, non dovrebbe proprio esistere. Come si fa allora con i malfattori? Ma non capite?? Se ad un essere umano non mancasse tutto ció che é un suo diritto, come la casa e la cultura (non pensateci neppure al lavoro!!), egli non sarebbe costretto a diventare un criminale! Semplice!
“Boicottaggio della TV” e di tutto ció che ad essa é legato.
Questo principio pare rientrare in quella che i critici (se tirati in causa) definirebbero LA TEORIA DELLO SVILUPPO INFANTILE, o semplicemente dell´IMPRINTING.
Secondo tale teoria i bambini non dovrebbero vedere la televisione sino all´etá di cinque anni, nel corso dei quali potrebbero dedicarsi invece ad attivitá piú stimolanti ed intelligenti come ad esempio sellare un cavallo. E dopo i cinque anni? Dopo i cinque anni un bambino normale inizia le elementari per cui l´esistenza della tele deve assolutamente scoprirla affinché non sia un disadattato.
Peró dovere dei genitori é metterlo in guardia di continuo contro il nemico. In tal senso Folie parla di METODO POWER RANGERS, che prende il nome da un telefilm, in voga al momento, che viene seguito da milioni di piccoli fans sfegatati (si va dai due ai dieci anni circa!), che si piantano davanti alla TV subito dopo pranzo. Ma torniamo al metodo, e piú propriamente al Power Rangers. Quest´ultimo bisogna renderlo ridicolo agli occhi del bimbo affinché si possa convincere del fatto non solo che a carnevale é meglio vestirsi da Skin, degli Skunk Anansie, ma che tutti i suoi compagnetti di classe sono idioti!
Resa l´idea possiamo anche passare al prossimo punto.
“Abolizione del denaro e del lavoro” . Ognuno dovrebbe produrre ció di cui é capace e metterlo a disposizione della comunitá. Cosí se io per esempio so fare il gelato, metteró il prodotto a disposizione di tutti, e in cambio avró lo stesso...Insomma ognuno si prende ció di cui ha bisogno da ciascuno individuo...
La domanda é, ma se tutti ambissero ad occuparsi della stessa cosa? In tal caso la speranza sarebbe che almeno la branca prescelta sia la medicina, cosí combattere le pestilenze diventerebbe piú facile...(???).
Folie Folie...chissá che fine ha fatto. Pare che nessuno del Villaggio abbia piú avuto la possibilitá di sentire parlare di lui...Pare che il nostro Folletto Punkabestia Folie, fosse in realtá scappato da Fantasia di Qualcuno, e che meditasse di non farvi piú ritorno...Dopo la sua partenza nel Villaggio fu il caos: la Scema del Villaggio, continuava a ripetere che “I rutti di Folie al chiaro di luna sono capaci di far sognare!!” ; Testolina prese ad ubriacarsi regolarmente; Sterminator non la smetteva piú con “What is love? Baby don´t hurt me, don´t hurt me, no moore...” . Sesta, completamente impazzita, continuava a strapparsi i capelli e, quando possibile, a dare testate su tutte le pareti in cui si imbatteva. Alcuni si organizzarono in gruppi, e si riunivano con lo scopo di contattare Folie telepaticamente, e cosí via. Il delirio!!
Io cercai di farmene una ragione, e tutto ció che credo oggi, é che quel Villaggio era un pó troppo persino per Folie, penso che ci considerasse tutti pazzi... “Fooooooooooolieeeeeee tornaaaaaaaaaaaaaa, troveremo una soluzione!!!” , Concordia gridava, ma ahimé, vanamente!
sabato 30 gennaio 2010
Ullallààààààààààà!
… “il divertimento è assicurato!”, mi ripetevano imperterriti i folletti della mia fantasia. Ogni giorno, stranamente, oltre ad essere un giorno nuovo (la Natura si sa, difficilmente cede ai capricci di noi mortali!), è stato anche e soprattutto identico al precedente. Ogni sera il pianto di Maia e la sua inconsolabile nenia caratterizzata da un “Papààààà, papàààà, papààà!” che, ringraziando il cielo, dall’al di là dell’Oceano ci aggiornava sui suoi progressi da diciottenne. “Ho preso la patente!”. “Braaaaaaaaaaaaaavoooooo!”. “Ho trovato casa!”. “Braaaaaavoooooooo!”. “Ho fatto il test e ho preso 8”. “Braaviiiissiiiiimo!”
E la consorte? Non mi riferisco, ovviamente, alla sposa che probabilmente un troppo diligente governo canadese gli ha affiancato al momento del “landing” per evitare che il nostro overqualified newcomer si sentisse troppo solo, ma alla sottoscritta. La consorte, continuando seppur vanamente a consolare la piccola fiammiferaia palermitana, si è sbattuta a destra e manca nel tentativo complicatissimo di svuotare una casa enorme dove gli oggetti, come gremlins continuavano e continuano a moltiplicarsi. L’amia mi darà un premio speciale per la sovrapproduzione di immondizia che sono riuscita a racimolare nel giro di una sola settimana. Non c’è stata sera infatti nella quale il mastro lindo che vive in me non abbia scaricato e caricato e scaricato sacchi condominiali dapprima in macchina e poi direttamente nei cassonetti di Partanna. In pratica, secondo me, tutta Partanna Mondello si chiede ancora come fosse possibile che dei sacchi neri della spazzatura fossero in grado di guidare una Citroen C3 senza che la polizia facesse qualcosa per scoprire l’arcano.
Ma questa, tuttavia, è solo la punta di un iceberg (non mi riferisco questa volta all’appartamento che mi accingo a lasciare). Non bisogna dimenticare che la “portualla” in questione è anche madre di due splendide creature. Ogni sera arrivando a casa, dunque, dapprima sono stata (e continuo ad esserlo) accolta da Maia con un sonoro “Papàààà!” e, poi, da un Lorenzo al quale sono evidentemente spuntati i tentacoli. Ogni sera dunque, prima di concedermi una doccia bollente fissando il vuoto e dondolandomi avanti e indietro, mi sono dovuta accollare le cene dei bimbi che avevano bisogno della loro mammina…una lunga passeggiata nel lungo corridoio di casa dei miei suoceri sempre con il suddetto Polpetto Lorenzo avvinghiato alla gamba che, avendo scoperto il divertimento insito nello stare appiccicato alla gamba di qualcuno per farsi trascinare in giro per il mondo, ha voluto mettere alla prova la mia prestanza fisica e quella del mio gastrocnemio e, dulcis in fundo, preparare la torta per la festa all’asilo con tanto di smarties e decorazioni di zucchero a velo celeste!
Sti cazzi!...direbbe un filosofo greco. Qualcuno di voi, leggendo quanto scritto e volendomi immaginare all’opera, probabilmente mi vede comodamente seduta davanti al pc e tutta concentrata a mettere in ordine le idee. Nulla di più sbagliato. Al momento, mi trovo in piedi in quella che rappresentava la lavanderia di casa i cui segni del suo precedente uso possono solamente dedursi dagli unici due amici rimasti a tenermi compagnia: una spugna e un detersivo per i piatti. Inutile dire che anche la loro esistenza, al momento, ha cessato di avere un senso, uno scopo. Piatti da lavare non ce n’è! Né tantomeno ci sono suppellettili, mobili, sgabelli a disposizione. In questa casa siamo rimasti in pochi e mi permetto di usare il plurale solo perché al netto del totale sono inclusi gli spifferi. Quando me ne sarò andata anche io, rimarranno solo loro.
Oggi è un giorno importante dal quale mi pare di intravedere un piccolo barlume di luce…un guizzo, uno scintillio al termine di un lungo tunnel che, se tutto va bene, dovrebbe portarmi al di là dell’Oceano. Ma prima di arrivare alla fine, si sa, la strada è stata e mi pare ancora un po’ lunghetta e non vorrei che quel luccichio fosse in realtà la torcia a pile di qualcuno che si è perso anni or sono e, come me, vaga alla ricerca della meta.
Come già detto precedentemente, le lezioni apprese in questo tour de force nel mondo degli spostamenti transoceanici sono state innumerevoli e poiché ritengo che uno degli aspetti di maggiore rilievo sia rappresentato dalle relazioni interpersonali con brevi ma intensi excursus di natura socio antropologica, ritengo sia il caso di dedicare un post a parte a tutte le persone conosciute in questi giorni di puro sbattimento.
Tuttavia, vorrei lasciarvi con una riflessione che da un paio di giorni attanaglia la mia mente: perché un uomo, traslocatore di professione, sente l’esigenza di portare con se un parrucchino brizzolato? Rifletteteci mentre io, sotto una pioggia battente, mi auguro di non dover assistere all’ultimo allagamento della lavanderia. Sarà che la spugnetta di cui sopra è solo un segno inviatomi dal cielo per prepararmi a una nuova grande avventura?
giovedì 28 gennaio 2010
Poche parole...
Il “quasi” dipende solo dal fatto che “al peggio non c’è mai fine” anche se “cchiu scuru ri mezzanotte un po’ fari”.
Premesso ciò ci tengo subito a precisare che giungo dalla camera da letto dove, dopo una lunga lunghissima giornata di lavoro vissuta nella spasmodica attesa di rivedere le stelle, la piccola Maia si è appena addormentata dopo averci deliziato con un angosciante pianto da sindrome d’abbandono.
Perché è così che trascorriamo le nostre giornate. Tra uno scatolone e lo smontaggio di quattro, dicasi quattro condizionatori d’aria non c’è volta in cui un lamento, un pianto, un sospiro o un singhiozzo della nostra piccola sedotta e abbandonata non ci tenga compagnia.
Prima che il marito, compagno di avventura, si mettesse in viaggio verso la terra le cui strade, come tutti ben saprete, sono lastricate d’oro e miele, si è lavorato tanto in casa. Scatolone dopo scatolone (150 per l’esattezza), pagina dopo pagina per stilare la lista bilingue dei nostri averi, sembravamo essere giunti quasi al termine (o all’inizio a seconda dei punti di vista) di un lungo, lento processo cominciato all’incirca due anni e mezzo fa.
Strano, furba e brillante come sono, che non abbia in realtà colto quei campanellini d’allarme che avrebbero dovuto mettermi in guardia su ciò che in realtà mi aspettava. Uso quel “mi” non per una questione di egocentrismo (qualità per la quale non mi reputo avara) ma perché, di fatto, la cosa riguarda solo me rimasta al di qua del confine nell’attesa che il pioniere di casa trovasse un giaciglio per l’allegra combriccola.
Eppure, a pensarci bene, avrei dovuto capire tutto (impedendo quindi il viaggio in solitaria del consorte) lo scorso 17 Gennaio, giorno seguente ai mega festeggiamenti per il compleanno della nostra piccola principessa…posseduta.
Erano appena le nove del mattino, una di quelle mattine in cui ci si sente particolarmente sbattuti e inutili per la società, quando mi ritrovai la casa invasa non più solamente dagli scatoloni, dai festoni, dalle briciole di torta al cioccolato e i palloncini sgonfi di una Cinderella post sbronza, ma da un vero e proprio sciame di cavallette. Una delle piaghe d’Egitto era stata dirottata direttamente su Partanna Mondello ed io, testimone oculare di siffatto evento, non potevo che assistere impotente a quanto avveniva sotto i miei occhi.
Volevo solo scaldare il caffè e mettermi al lavoro. Mi ritrovai con una tazzina di caffè gelido in una mano e un cacciavite a stella in un altro. Non capii molto di ciò che stava accadendo. So solo che nel giro di un paio d’ore mi ritrovai senza, in ordine: un forno a microonde (da qui il caffè gelido), tutte le plafoniere di casa, sostituite da lampadine impiccate a tristissimi fili neri, una piantana, un impianto home theatre, un lettino da campeggio e, dulcis in fundo, l’angoliera della cucina.
In quell’istante avrei dovuto comprendere che mi aspettavano tempi bui e … gelidi.
E così, piano piano, è arrivato il giorno della partenza del marito e mentre tutti eravamo preoccupati per la reazione che il figlio quattrenne avrebbe avuto a seguito della partenza del suo caro Papà… il piccolo angelo di casa mi preparava un pacco colossale!!!
In altre parole, è dallo scorso venti Gennaio che in questa casa il tempo pare essersi fermato. In questo senso è un po’ colpa anche del maritino il quale, inspiegabilmente, ha pensato bene di staccare l’orologio dalla parete della cucina lasciando al suo posto l’ombra che questi ha lasciato nel corso degli anni.
Cioè, io proprio non capisco cosa abbia spinto Ale a preoccuparsi di staccare l’orologio a parete piuttosto che contare, che so, il numero di valigie che lo attendeva davanti la porta di casa. Dopo la sua partenza si è discusso a lungo di questa sua strana manovra diversiva. Volendo ricostruire i fatti, le nonne hanno stabilito che: il nostro espatriato alle ore 3 e 5 minuti (l’ultimo avvistamento dell’orologio da parte di una testimone risale alle 3 a.m.) abbia deciso di staccare quell’orologio. Una delle nonne volendo assicurarsi che non fosse passato troppo tempo dall’ultima “occhiata”, guardando la parete in questione si ritrovò davanti solamente la sua sindone. Cerca di qua e cerca di là, l’orologio venne presto rinvenuto sul pavimento della cameretta dei bimbi (anche qui atroci dubbi sul perché l’emigrante abbia ritenuto opportuno collocarlo sul pavimento al centro della stanza con le lancetta rivolte verso il soffitto!). Nel sincerarsi che stesse bene e che potesse essere rimosso dal luogo del delitto, le nonne detective dovettero presto arrendersi all’evidenza: l’orologio era morto! Deceduto! Forse per un improvviso attacco cardiaco o forse per assideramento. No! Il nostro Robinson Crusoe canadese, alle 3 del mattino, al freddo e al gelo voleva superare se stesso e, per questo, aveva deciso di staccarne finanche la pila!...quest’ultima, INTROVABILE!!!!
Ed è per questo che, ribadisco, io avrei dovuto capire tutto. Arresami dinnanzi all’evidenza ho voluto far finta di niente, accettare la piccola inconscia marachella del maritino e proseguire, alla meno peggio, nell’organizzazione di questa mobilitazione transoceanica!
mercoledì 27 gennaio 2010
Sesta
A Sesta piaceva: indossare camicie perfettamente stirate; piacere al prossimo, averne il domino, e poterlo considerare inferiore a se stessa; ascoltare Michael Jackson; menarsi da sola.
A Sesta non piaceva: essere contraddetta; l´insubordinazione; quando il suo menarsi da sola non sortiva l´effetto desiderato sul prossimo.
Nessuno capii mai il suo ruolo all´interno del Villaggio, chiaro era solo che lei intendeva governarlo.
Ricordo ancora con compassione, di quando mi riferí di come le facessero male i piedi a causa mia. Si, a causa mia, perché se io avessi adempito a tutti i miei doveri, lei non avrebbe dovuto sbatterli piú volte per la disperazione. La piccola Sesta nel raccontarmi ció, di certo non consideró il mio paese di provenienza, ovvero un paese in cui le donne molto spesso amano pestarsi da sole, per far sentire gli altri colpevoli dello stato delle cose. Ricordo ancora la telefonata di una donna disperata che aveva minacciato di togliersi la vita con il solo aiuto di un antidolorifico. Naturalmente nessuno le credette mai.
Quindi per riassumere, mi limiteró a dire che la povera Sesta cascó un pó male.
Sesta.
Sesta Sestina, come sei bellina,
ma perché non usi anche quella tua testolina?
Di ingiurie e maledizioni son pieni i tuoi discorsoni.
La gente non ti vuol ascoltare,
ma tu non lo vuoi accettare.
Allora corri corri e vai, che la strada tu la sai.
Nessun piú ti troverá, ma giá questo basterá!
Sesta, Sistuzza, no, non piangere! Dai, vedrai che un giorno riuscirai a governare il mondo, o almeno il tuo minuscolo cosmo.
Intanto una macchina esce dal parcheggio, volume dello stereo al massimo: “What is loveee? – Baby don´t hurt me – Don´t hurt me, no moree!!”. Sterminator ha finito il suo turno, e sta andando via ascoltando, e condividendo con noi, il suo pezzo preferito!
giovedì 21 gennaio 2010
La Scema del Villaggio
Io, anche se non l´ho ancora ufficialmente detto, sono stata sempre una persona molto fortunata.
Dunque, fortunata come sono, La Scema del Villaggio non poteva che essere la mia, e solo mia, compagna di stanza.
Io non capii subito di trovarmi “a letto col nemico”, ma lei perseveró sino a che non dovetti rassegnarmi. Tempo massimo consentito tre mesi, tre mesi per capire, per capire che La Scema del Villaggio, oltre che essere degna del suo nome, era pure un pó psicopatica.
Ricordo ancora di quanto le piacesse spogliarsi, restando completamente nuda, per salire sulla scala e risistemare il suo armadio. Noi, che eravamo solo donne in stanza, eravamo non solo obbligate a vedere mal volentieri le sue grazie, ma anche a muoverci in quella stanza di pochi metri quadri, come se non fosse.
I nostri piccoli screzi iniziarono a causa dell´italiano. Si dia il caso che lei parlasse solo quasi in dialetto, e che da sola avesse deciso che io la deridessi. Complessi di inferioritá? Traumi infantili?
Nessuno saprá mai rispondere con certezza a queste domande. Comunque sia, inferioritá o no, La Scema del Villaggio, inizió con un tentativo di amicizia, del tutto poco credibile, che sfoció in una sfuriata cosmica tre settimane dopo. Motivo? Cito e traduco: “Ma chi ti credi di essere tu?? Sono stanca di pararti il BEEEEEP, capito?? Mi hai stancata con le tue chiacchere!!”.
A questo sfogo, (ci tengo a dire che non ebbi mai la possibilitá di replicare!), seguirono angherie di tutti i tipi. Per esempio una mattina appena sveglia, tentai di prepararmi il mio solito espresso. Messo il caffé, mi accorsi che non c´erano piú i bicchierini di plastica...finiti? Mi ricordo di avere un bicchiere da birra nell´armadio, e penso che tenendolo inclinato io possa riuscire ad avere il mio caffé. Dopo un pó “la macchinetta” inizia a fare un rumore insolito. Guardo. Qualcuno aveva tolto tutta l´acqua. Indovinate un pó chi era la colpevole? Certo, e chi altrimenti? Tra le quattro lei era l´unica, che potesse ignorare il fatto che la proprietaria sarebbe andata su tutte le furie: “Senza acqua da scaldare la macchina si BRUUUUCIAAAA!!!” . Povero scricciolo!!! Naturalmente lei, tra le tante cose, non poteva neppure sapere, che non avrei rinunciato cosí facilmente al mio caffé delle 6 del mattino prima di andare a lavorare!
Cosí come se niente fosse, andai in bagno a recuperare un pó di buona acqua dal rubinetto, insomma sicuramente non potabile...:)
Ma tutto ció avvenne dopo. Dopo, che presentateci, iniziammo a conoscerci. Dopo una brillante conversazione, nel corso della quale erano state messe a confronto le rispettive cittá...o per meglio dire la mia cittá e il suo paese. Forse la parola “confronto” in questo caso é inappropriata, piuttosto parlerei di interrogatorio: lei faceva le domande!
Prima domanda: “ma nella tua cittá la Benetton esiste??” . Io mi limito a rispondere di si, aggiungendo ironicamente che peró mancano gli autobus... “E come fatee??”.
Io tra l´incredulo e il frustrato le ho spiegato che stavo scherzando, ma lasciandomi prendere dal gioco, ho aggiunto che, ahimé, non ci sono le banche. Risposta? “Ma veraamente?? E come fate?”.
Mi sono voltata per non farle vedere le lacrime: stavo ridendo come mai!!
La fine a questa conversazione venne posta dall´altra coinquilina, detta Concordia, che le fece una lezione sulle cittá. Chiaramente ció non sembri superfluo...
Io non scorderó mai quegli occhi azzurri a palla, il cui vuoto non é paragonabile, per estenzione, neppure all´intero universo, ne tanto meno quella scarpa lanciata dal balcone, che dovetti recuperare
con un piede scalzo, per l´appunto, tra l´erbetta fresca, appena innaffiata del giardino, ovvero altro piccolo scherzo di lei. Lei, la sola, la reginetta dei peli superflui, lei l´unica capace di meritarsi il titolo di Scema del Villaggio, dove “del Villaggio” é il cognome...un pó come per Antonello, Antonello da Messina:)