"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)



"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)



lunedì 18 febbraio 2008

Quando la differenza tra una pi e una elle è questione di logica


C’è una caratteristica fondamentale che distingue un utente delle poste palermitano da uno del Trentino: un irrefrenabile desiderio di anarchia.
Se vogliamo possiamo ricondurre tutto alla vecchia storia delle dominazioni e, di conseguenza, all’assenza di stabilità.
Il palermitano, infatti, tende a vivere la propria vita come se si trattasse di una costante affermazione dei propri diritti, o un’affermazione della propria esistenza. Sarà per questo che in estate la spiaggia di Mondello alle sei del pomeriggio è più simile allo stadio di San Siro dopo il concerto degli Iron Miden. Non si dica mai che un palermitano non è passato da lì.
Plateale. E’ l’altro termine che mi viene in mente se provo a soffermarmi sui miei concittadini.
Folcloristico, invece, il termine con il quale si tende a camuffare qualsiasi forma di arroganza, invadenza e logorrea. Alcuni gli preferiscono gli aggettivi ospitale e caloroso.
“Tutto il mondo è paese”. Mai assunto è stato più errato se applicato alla mia città. Anche perché “paese” nella prospettiva di un palermitano indica qualsiasi comunità estranea alla propria. Anche se vieni da Londra, da New York o Pechino la domanda di rito sarà: “Quando scendi al paese?” E non si riferirà di certo alla Gran Bretagna, né agli Stati Uniti né, per concludere, alla Cina.
Il Paese, sempre nella prospettiva del palermitano, è quel luogo in cui una comunità presenta un accento diverso dal proprio, dove la gente non sa guidare e che per essere raggiunto ci vede impegnati in un’azione di discesa. Poco importa se vivi sul Machu Pichu.
Questo atteggiamento, tuttavia, non è da considerare offensivo. Il palermitano, infatti, accetta con pacifica benevolenza qualsiasi forestiero ed ha la giusta apertura mentale per comprendere che non tutti sono in grado di parlare con la sua stessa dizione perfetta. Non si spiegherebbe altrimenti il successo politico di chi ha fatto di ogni T una D, o di una P una B. “Bello! Mi biage guesdo esembio!”
Il palermitano odia le regole. Quantomeno, l’unica regola comunemente accettata è che non ci sono regole o se ci sono, vanno considerate quale test da superare per dimostrare la propria furbizia.
Il concetto di Furbizia, tuttavia, cessa di essere la quintessenza dell’intelligenza.
Sin da quando nasciamo dobbiamo dimostrare al mondo intero di essere furbi. Più furbi di tutti i furbi.
E’ per questo motivo che un’azione tanto semplice quanto il pagamento di una bolletta, riesce a trasformarsi in una questione di sopravvivenza.
Alle Poste, per risolvere il problema “furbi”, hanno messo i numeretti che, selezionati da un computer centrale, stabiliscono chi debba essere il prossimo. E’ tragedia.
Una fila composta sta al palermitano, come un paio di mocassini a un barboncino.
Un’attesa numerata sta al palermitano, come la definizione di Vatusso sta a me. Non c’entra un cazzo!
Per tutti i motivi già discussi il voler inviare una raccomandata riesce a trasformarsi in un evento degno di prima pagina. Fila P, numero 46.
Il tabellone indica il numero P 41.
Il signor L 42 è felice perché si vede già davanti lo sportello e, di conseguenza, fuori da quegli uffici.
Il signor P 42 sa che, di lì a poco, sarà il suo turno.
Bip! P 42.
Inutile spiegare al Signor L che non è sufficiente il numero 42 per dargli la precedenza su tutti gli altri.
Inutile dirgli che tra una L ed una P, finanche nell’alfabeto, ci hanno messo tre lettere.
Il signor L 42, quindi, dà inizio ad un vero e proprio show che, in men che non si dica, coinvolge tutti.
La signora A 18, per esempio, si lamenta con la vecchietta B 06 perché avrebbe più senso che la P venisse utilizzata per il ritiro delle pensioni, piuttosto che per l’invio di missive. Il suo ragionamento sarà stato del tipo: “P = Pensione; L = Lettere; A = Ancora soldi mi chiedono!; B = Booooo! Non lo so”
Dal canto suo, la vecchietta B 06 rifiuta di accettare che per pagare il bollettino avrebbe dovuto ritirare il biglietto A.
“E’ da un’ora che sono qui!” dice la vecchietta.
“Sì, signora. Ma non importa. Avrebbe dovuto prendere la A, risponde l’altra.
“A me l’altra volta mi hanno fatto rifare la fila”, interviene il signor L 49.
“E’ da due ore che sono qui” risponde la vecchietta, noncurante del fatto che sono appena passati 30 secondi da quando ha detto che aspettava da un’ora.
Bip. P 43.
“Minchia! Ma dite vero?” urla il signor L 42. “Ma cosa le costa alternare una P con una L?”
Riuscire a spiegare che la sequenza dei numeri e delle lettere non dipende dal povero dipendente delle poste è un’utopia. L’addetto allo sportello, dal canto suo, non mostra alcun segno di cedimento: indicativo del fatto che se per me è un evento degno di nota, per lui è normale routine quotidiana.
Per fortuna, interviene il Signor A 21: “Seeeenta! E’ come la lotteria. I numeri niascinu, ma uno mica u sape quale?”[1]
Bip. P 44.
“Ma stamu babbiannu?”[2] incalza il signor L 42. “Amuninni, camu agghiri a travagghiari!”[3]. Poco importa se lo stesso signore abbia superato da un pezzo l’età pensionabile.
Bip. P45.
Delirio.
Tra la folla, più simile a un gregge di pecore intenzionato a passare contemporaneamente da una minuscola fenditura in una roccia, si innalza la voce di un filosofo: “Meno male che è caduto il governo!”
Purtroppo la sua ironia non viene colta e il signor L42, in procinto di avere le convulsioni, spiega che sicuramente Berlusconi al potere saprà come evitargli quell’inutile attesa.
Mentre provo ad immaginare il cavaliere dalla chioma fluente che, poggiando la spada sulle spalle degli utenti, stabilisce chi sia il più meritevole, arriva una risposta che non fa una piega : “Perché, che fa, se c’è Berlusconi si mette lui a dargli il bigliettino!”
Bip. P 46.
Tocca a me. Preoccupata per l’imminente reazione del signor L42, mi avvicino allo sportello con la massima cautela.
“Miiiiiiiinchiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Una Pi e una Elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. La fa uscire una elle? E’ una questione di LOGICA!
Una Pi e una Elle. E’ LOGICA!!!!!!!!”
A questo punto, nonostante il terrore di un’imminente rissa, non posso trattenere le lacrime.
Dopo aver inviato la mia busta non riuscivo ad andare via per paura di perdere qualche altra battuta esilarante.
Quando mi sono resa conto di non poter trascorrere il resto della mattinata in compagnia di quell’allegra combriccola, nonostante allo sportello 3 fosse uscito il numero A30, la signora B 06 si accingeva a pagare la sua bolletta facendo notare che da tre ore aspettava paziente il suo turno. W Bergson e il flusso di coscienza!
Che fine ha fatto il signor L42?
Non saprei.Bip. P 47.



[1] “I numeri escono, ma non si può stabilire quale”
[2] “Ma, stiamo scherzando?”
[3] “Forza! Dobbiamo andare a lavorare”

sabato 16 febbraio 2008

Mrs Eroti...khan traduce

Ti guardo. Osservo i tuoi occhi e vedo le fiamme di un fuoco che conosco già.
Non è l’ira a spingerti verso gesti irrequieti e cadenzati...Passione.
Il tuo respiro profondo mi indica un percorso già compiuto mentre i brividi di quell’ansia nota mi invitano
a ballare, una volta ancora, tra i veli di mille ricerche...mute.
Una nuova forza agita le mie mani che tremano. Le mie dita toccano la tua pelle come dita che accarezzano la tastiera di un pianoforte...dolci melodie e suoni sconosciuti percorrono le mie braccia fino ad arrivare al petto.
I miei piedi si piegano e come radici cercano un punto in cui fermarsi e attecchire...nessun vento potrà estirpare il loro tronco. Solo le foglie, solo i rami accompagneranno i suoi movimenti, il suo soffio, il suo ritmo differente.
La tua bocca socchiusa mostra un desiderio fattosi persona...continua a cercare un compagno per i suoi giochi...la mia testa asseconda il tuo desiderio e le mie labbra si schiudono per accogliere il tuo respiro.Il mio corpo vuole danzare e le mie cosce si aprono affinché questo incontro, vissuto mille volte ma
atteso sempre con la stessa sete, diventi più dolce che mai.
I tuoi polpastrelli accarezzano la mia pelle nuda...percorrono un cammino fatto di tremori fino a raggiungere il frutto maturo della mia esistenza.
La mia schiena si inarca e i miei seni si avvicinano al tuo viso...le tue labbra socchiuse assecondano il loro desiderio.
Un fiume caldo inonda il mio corpo mentre le tue mani raccolgono la linfa vitale della mia essenza...Le dita bagnate poggi sulle mie labbra per continuare quella danza che allontana la sua fine.Sei più vicino, il tuo petto vuole toccare il mio. Alzo gli occhi per incontrare il tuo sguardo...tenero ed eccitato...dalla tua fronte rivoli di acqua marina gocciolano sulle mie labbra...la mia lingua vuole bere te.
Il tuo sapore si unisce a una certezza: sono tua, sei mio!
Scariche elettriche percorrono il mio corpo...la danza ha avuto inizio! Le nostre teste si muovono insieme accompagnando la musica del desiderio ...crescendo di frenesia e passione...violenta tenerezza in un cammino che allontana la sua meta.
Attorno a noi tutto è oscuro, gli oggetti ci guardano con discrezione...partecipano di un segreto che mai confesseranno. Le nostre mani si incontrano, le nostre dita si incrociano, si stringono fino a provocare un dolore silenzioso che non trova spazio nella grande mistura di piaceri.
Un gemito, un urlo soffocato segnalano l’arrivo ad una meta già conosciuta...il porto della soddisfazione e della simbiosi totale.

venerdì 15 febbraio 2008

Ho trovato questo


Cercando tra le mie composizioni di spagnolo all'università, ho trovato questo sonetto.

Pur non amando la poesia, non ho potuto fare a meno di cogliere la somiglianza con il mio attuale stato emotivo apprezzandone le capacità sintetiche.

L'autore si chiama Garcilaso de la Vega (1503 – 1536) e scriveva durante il regno di Carlo V.


Cuando me paro a contemplar mi estado
Y a ver los pasos por do me ha traído,
hallo, según por do anduve perdido,
que a mayor mal pudiera haber llegado;

mas cuando del camino estó olvidado,
a tanto mal no sé por do he venido;
sé que me acabo, y más he yo sentido
ver acabar conmigo mi cuidado.
(…)

mercoledì 13 febbraio 2008

Mrs Eroti...khan all'Università scriveva così:

Te miro. Miro tus ojos y veo las llamas de un fuego que conozco ya.
No es la ira que te empuja hacia jestos inquietos y cadenciosos, sino Pasión.
Tu aliento hondo y pausado me indica un camino que he recorrido ya, y los escalofríos de aquella ansiedad conocida me invitan a bailar, otra vez, entre los velos de mil búsquedas…mudas.
Una fuerza nueva agita mis manos que tiemblan. Mis dedos tocan tu piel como dedos que acarician las teclas de un piano … dulces melodías y sonidos desconocidos recorrerán mis brazos hasta llegar al pecho.
Mis pies se hunden y como raíces buscan un lugar donde pueden pararse y plantarse… Ningún viento podrá extirpar su tronco. Sólo las hojas, sólo sus ramas acompañarán a sus movimientos, su soplo y su ritmo diferente.
Tu boca entreabierta roza el deseo que se convirtió en persona, y sigue buscando un compañero de juego; mi cabeza secunda tu deseo y mis labios se abren para que reciban tu aliento.
Mi cuerpo quiere danzar y mis piernas se estiran para que este encuentro, vivido mil veces pero esperado con la misma sed siempre, se vuelva más tierno que nunca.
Tus yemas rozan mi piel desnuda, siguen un paso hecho por temblores hasta llegar al fruto maduro de mi existencia.
Mi columna se dobla y mis senos se acercan a tu cara, tus labios entreabiertos recogen sus deseos.
Un río caliente inunda mi cuerpo, tus manos cosechan la linfa vital de mi esencia…
Tus dedos mojados llevas a mis labios para seguir en aquella danza que adelanta su final.
Estás más cerca, tu pecho quiere tocar el mío. Alzo los ojos y encuentro tu mirada: tierna e inquieta…
Desde tu frente arroyuelos de agua marina caen sobre mis labios y entonces quiero beberte.
La sensación de su sabor se une a una certeza: ¡soy tuya, eres mío!
Descargas eléctricas recorren mi cuerpo. ¡La danza ha empezado ya!
Nuestras cabezas se mueven juntas acompañando la música del deseo: un crescendo de frenesí y pasión, una violenta ternura en una carrera que retrasa su llegada.
Alrededor todo está oscuro, los objetos nos miran con un asombro discreto… hacen parte de un secreto que nunca confesarán.
Nuestras manos se encuentran, nuestros dedos se enroscan, se apretan hasta provocar un dolor silenzioso que no consigue encontrar lugar en la gran mezcla del placer.
Un gemido, un grito reprimido señalan la llegada a un destino ya conocido: ¡el puerto de la satisfacción y de las simbiosis total!

martedì 12 febbraio 2008

Mrs Satiri...khan gioca con le parole

a voLte
capIta
Che
cErti
iNdividui
bazZichino nella tua
vIta convinti di
possederlA
Ma non sanno
chE
Non
poTranno
maiOttenerla!
P.s. Almeno mi è parso che abbia detto questo!

lunedì 11 febbraio 2008

Scrivevo a sette anni...


Io vorrei la mia città piena di aiuole e di alberi lungo i viali.
Desidererei parchi immensi, in modo che i bambini potessero giocare liberamente.
Mi piacerebbe vedere dei vecchietti che passeggiano per le strade e attorno i loro nipotini che si rincorrono l’un l’altro.
Desidererei dei luoghi dedicati tutti ai giovani. Altri dedicati tutti ai grandi.
Vorrei le strade ampie e lunghe. Mi piacerebbe vedere una cagnolina seguita da tutti i suoi cuccioli.
Ma perché la mia città non è come quella che voglio?
Vorrei tante palestre in modo che i ragazzi potessero divertirsi.
Mi piacerebbe moltissimo vedere, al posto dei palazzi, graziosissime villette.
Vorrei guardare fuori dalla finestra e vedere tanti fiori colorati e profumati.
Vorrei guardare le farfalline tutte colorate, volare nel cielo turchino, liberamente.
Mi piacerebbe non vedere le strade sporche. Anzi, le vorrei vedere così brillanti da rimanere a bocca aperta.
Vorrei che nei parco giochi ci fossero panchine di modo che la gente stanca potesse riposare tranquillamente.
Vorrei che per le vie le macchine non corressero più. Per lo meno, penso che così non ci sarebbero più incidenti.
Desidererei che le persone cattive diventassero buone, e quelle malate guarissero.
Desidererei vedere campi immensi ricoperti di verdura fresca.
Mi piacerebbe vedere le signore vestite con abiti larghi e cappelli colorati.
Mi piacerebbe vedere i ragazzi monelli, buoni.
La mia città la vorrei piena di strade illuminate dal sole.
Vorrei che il mio Papà stesse sempre insieme a me. So che non può.
Vorrei che i ragazzi mostrassero la loro bontà ai grandi.
Desidererei che Palermo diventasse piena di scuole.
Vorrei che la gente disoccupata lavorasse e fosse pagata a buon prezzo.
Purtroppo la mia città non è quella che io desidero!
Vorrei che tutti non litigassimo l’un l’altro. Anzi, vorrei che diventassimo più buoni di quel che siamo.
Vorrei che i violentatori non esistessero più.
Vorrei anche che la mia città diventasse la più bella del mondo.
Quante cose mancano alla mia città!
Vorrei che fosse piena di turisti e che nelle scuole insegnassero più educazione agli alunni.
Desidererei che a Palermo le persone passeggiassero lungo i marciapiedi.
Vorrei che la mia città si riempisse di zoo con tutte le specie animali: gorilla, leoni, leopardi, ecc…
La mia città non è quella che voglio!

martedì 5 febbraio 2008

Brillante. Undici/2

Antropoturistica

Dopo aver raccontato della parentesi “black-out”, vi chiederei di fare un passo indietro e ritornare a quello che si potrebbe definire il mio battesimo nel turismo.
La storia che sto per raccontare potrebbe avere come sottotitolo “A buon rendere: l’arte del volontariato”.
Tuttavia, trattavasi di un volontariato consenziente giacché rappresentava quel periodo di stage necessario per ottenere l’autorizzazione ad entrare ufficialmente tra gli operatori del settore turistico.
Quando arrivai in agenzia non fui accolta con grande entusiasmo. Chissà per quale motivo quando arriva uno nuovo, in qualsiasi posto di lavoro, ci si sente obbligati a farlo sentire di troppo.
Questa situazione non durò a lungo perché la mia volontà d’imparare e lavorare furono così manifeste da spingere i miei datori ad affidarmi compiti sempre più importanti e, soprattutto, sempre più numerosi.
Era un periodo di transizione per il mondo delle agenzie turistiche: non tutti possedevano la stampante per i biglietti aerei elettronici. La mia sicuramente non l’aveva.
Detto questo, potete immaginare che uno dei primi compiti fu quello di amanuense. Compilai centinaia di biglietti aerei mandando la gente in giro per il mondo.
In tutta onestà, ciò non mi dispiaceva. Scrivevo e il mio egocentrismo mi portava a considerare quei coupons di alta manifattura una manifestazione diretta della mia presenza. La mia grafia in giro per il mondo: niente male come inizio.
Poco alla volta, accadde che uno dei soci (quello che mi prese maggiormente a cuore) cominciò a spiegarmi come muovermi all’interno del magico mondo delle prenotazioni aeree. Ogni agenzia ricorre ad un programma prestabilito.
In un primo momento si ha la sensazione di vagare nel vuoto. A me sembrava di camminare nuda in un deserto battuto dalla tempesta di sabbia: ogni qualvolta cercavo di tenere gli occhi aperti, era una tragedia.
“Cheingqazetasleshzetazeta” rappresentava la chiavetta d’accensione del motore. A partire da quell’input, poi, ci si sbizzarriva con una sequela di codici che in breve tempo portavano all’emissione di un biglietto aereo.
Sembrava follia. In realtà, in brevissimo tempo si finisce con l’imparare tutti quei codici a memoria. Ciò implica un’inconscia trasformazione nel tuo modo di leggere la vita. Trattandosi di me, la cosa fu un po’ più complessa.
In breve tempo ne memorizzai una quantità sufficiente da provocare una certa dipendenza. Il vero problema, infatti, fu che non riuscii più a vivere senza loro. Li ripetevo di continuo: mentalmente, verbalmente. Cercavo di applicare quelle formulette magiche su tutta la mia vita quotidiana. Quando qualcuno mi raccontava qualcosa, avevo serie difficoltà a mantenere il filo del discorso. Il mio cervello, infatti, in totale autonomia giocava a fare il traduttore simultaneo.
“Ciao, come stai?” veniva interpretato dal mio cervello, più o meno, in questo modo:
“?Ccccccsleshslehcmslesstaoie”. A questo punto, potete immaginare che le mie risposte si limitavano a: “Bene, bene!” (“!BnsleshBn”).
Offrire la conoscenza di tutti quei codici a una persona abituata a trasformare in fumetto ogni racconto letto o ascoltato, può rivelarsi altamente pericoloso. Se quella persona, inoltre, ha la tendenza a considerare ogni lettera, o segno, dotato di vita propria, è delirio.
Non so quando sia avvenuto questo cambiamento in me. E’ probabile che ciò risalga a un incontro con un U.F.O. del quale, tuttavia, non ricordo nulla se non il nome. Alla stessa data, probabilmente, risale il primo incontro con i folletti della mia fantasia. Non erano funghetti. Ho detto folletti! Malpensanti.
La conoscenza dei codici si traduceva in libertà di movimento e gestione autonoma dei clienti. Quando non c’era nessuno, mi sbizzarrivo a simulare una serie infinita di prenotazioni. Credo di essere l’unica di tutto il creato ad aver compiuto il giro del mondo in otto ore.
Mi divertiva da morire associare al codice “pmo” (aeroporto Falcone-Borsellino) quello di “jfk” (New York), “mpx” (Malpensa). Ciò mi dava la sensazione di essere veramente libera. Potevo viaggiare rimanendo comodamente seduta sulla mia sediolina a rotelle.
Tutto ciò, ovviamente, poteva avvenire in assenza di clienti. Ma, quando l’agenzia si popolava di potenziali viaggiatori e gli anziani erano già occupati, toccava a me l’onore di assecondare le loro piccole manie da giovani esploratori.
L’ultimo termine, in realtà, si addiceva a ben pochi clienti. A onor del vero, infatti, è possibile tracciare una sorta di profilo psicologico del viaggiatore non prima però di averlo inserito in una delle tre categorie disponibili.
In base alla mia esperienza, sia in veste di osservatore che di promotore, vi sono tre tipi di clienti che si recano in un’agenzia di viaggi:

1. Futuri sposi
2. Clienti affezionati. A loro volta si distinguono in due sottocategorie: viaggiatori per lavoro e viaggiatori stagionali
3. I richiedenti di preventivi per luoghi esotici: non partiranno mai

A questi tre tipi, in realtà, potrebbe aggiungersi una quarta categoria: i viaggiatori con secondi fini.
A quest’ultimo gruppo appartengono quelle persone che si recano presso un’agenzia di viaggi, fingendo di dover organizzare una mega vacanza di gruppo in compagnia di altre venti persone. Dopo averti costretto a cercare le migliori offerte, ti invitano per un’uscita a due che non coinvolge il tuo attuale fidanzato.
Per quanto risultino poco affidabili, in realtà, dopo tre anni di silenzio, ti si presentano con un’inaspettata proposta di matrimonio. Nel mio caso, accettai volentieri.
Ritornando alle tre categorie standard, va detto che i primi t’infondono un’infinita tenerezza. Lui è innamorato e non ancora vittima del fascino sensuale del televisore a schermo gigante che riceverà a breve. Inserito il gioco nella mega lista nozze al negozio di elettrodomestici, basterà attendere il primo gruppo di zii che partecipando con una quota, segnerà l’inizio della fine.
Lei è profondamente innamorata e le si può leggere negli occhi l’eccitazione nel sapere che, a breve, verrà inserita ufficialmente nella categoria nuore.
Il che l’autorizzerà a parlare male della suocera, lamentarsi per le pulizie da fare, rompere le palle per il disordine del marito e, soprattutto, cominciare a sentire i primi sintomi di una gravidanza per il solo fatto di averla programmata.
Lui e lei sono felici perché non ancora caduti nella trappola di quel luogo comune che vede nel matrimonio la fine di ogni speranza e l’emblema del tuo più grande fallimento.
Lavorare per una giovane coppia di futuri sposi non è così difficile: basta dare loro un pizzico di esotismo, una buona dose di romanticismo, uno sconto “luna di miele” e un set da viaggio quale gentile omaggio per l’ottima scelta.
L’ultima categoria, invece, non gode di grande simpatia. Quando a distanza di una settimana ti si ripresenta lo stesso potenziale cliente con una nuova destinazione, la prima reazione è quella di guardarti intorno nella speranza che i tuoi colleghi siano liberi.
Trascorrere un’ora in compagnia del soggetto in questione, infatti, equivale a sprecare il fiato e l’energia. Volendo essere ottimisti, invece, quel lasso di tempo si potrebbe considerare una sorta di ripasso delle proprie conoscenze geografiche. Sta di fatto che tutti vorrebbero evitarlo.
La seconda categoria, infine, è di gran lunga la più interessante. Nella maggior parte dei casi, la caratteristica principale sarà l’antipatia. A questa, per alcuni soggetti che più avanti si analizzeranno, può aggiungersi una buona dose di arroganza.
Tra le due sottocategorie, quella dei “vacanzieri stagionali” è la meno devastante.
La coppia, talvolta accompagnata da prole, ha quasi sempre le idee molto chiare. Mettiamo il caso che l’anno precedente siano stati in un villaggio di loro gradimento. La richiesta, quasi sicuramente, si baserà sul desiderio di trovare un villaggio simile da un’altra parte.
Sebbene il desiderio sia quello di trovare delle “camere simili”, dei “servizi simili”, una squadra di animatori “simili” e, soprattutto, delle “tariffe simili”, cadranno presto nella tentazione di abbandonarsi ad una esperienza nuova.
Si tratterà solo di tentazione. I ritorni puntuali ai ricordi dell’estate precedente, alla bellezza della piscina, alla cortesia del personale ed alla vicinanza con la spiaggia attrezzata, infatti, non lasceranno alcuno spazio al dubbio. Vogliono andare nel clone del villaggio già conosciuto.
A tal proposito, si potrebbe obiettare che tanto vale andare sul sicuro. Ma, non si può. Il vacanziere stagionale, infatti, ha il terribile bisogno di mostrare le foto della propria vacanza. Potrà mai organizzare una cena con gli amici e riproporgli le stesse immagini dello scorso settembre?
No. Da escludere assolutamente. E’ importante che si veda che la palma nana dell’anno prima, fotografata davanti l’ingresso della ricezione, sia stata sostituita da una pianta di magnolie.
E’ fondamentale che il bordo della piscina presenti dei gradini, piuttosto che la scaletta alla quale, l’anno precedente, si erano fatte abbarbicare le donnine di casa per immortalare l’eleganza e la spontaneità con la quale, munite di cuffietta azzurra, si accingevano ad uscire da quella meraviglia.
Insomma, è importante che il clone sia vestito di nuovo.
La crisi del turismo, mi pare, sia riconducibile non tanto all’insorgere di una dilagante crisi economica; quanto al diffondersi delle nuove tecnologie. Grazie all’uso delle macchine digitali associate al photo shop ad esempio, si possono apportare tutte le modifiche necessarie affinché le foto dell’anno precedente risultino assolutamente nuove. Si risparmiano un bel po’ di soldini e le rughe non si vedranno mai.
Dulcis in fundo, non ci resta che spendere due paroline sulla sottocategoria dei
viaggiatori d’affari. Salvo rare eccezioni, si tratta di individui appartenenti, per altro, alla categoria ampiamente discussa nel capitolo precedente, gli “indispensabili”.
Costoro rendono trionfale finanche il loro ingresso. Con lo sguardo fiero, vestiti di tutto punto e nemmeno l’accenno di un sorriso, si dirigono direttamente verso il proprietario dell’agenzia. Capita alle volte che dimentichino di salutare, probabilmente perché in attesa dell’inchino di tutti i sudditi.
Seduti sulla loro poltroncina, nella loro mente considerata una sorta di trono da viaggio, assumono una posizione standard. All’interlocutore, infatti, offriranno il fianco (manco fosse un paggetto), e con il gomito appoggiato sulla scrivania attenderanno che il ministro per gli affari esteri chiederà loro come stanno.
I loro sorrisi, simili a tic, avranno la durata di un nano secondo. Al contrario, se sono loro ad abbozzare l’aborto di una battuta, scrosciante sarà la risata di tutti i dipendenti.
Nel mio caso, tutti tranne me.
Non perché io fossi più intelligente degli altri o, più semplicemente, perché non avvezza a certi comportamenti sociali, ma perché troppo presa dall’osservazione del comportamento dell’animale uomo dinanzi a simili situazioni.
Il mio cervello, infatti, si sbizzarriva in una sorta di crono storia: “Ecco che il maschio si avvicina al resto del branco facendo sfoggio di tutta la sua eleganza. Gli elementi dominanti della specie, difficilmente, soccombono alle regole della buona educazione … bla bla bla”.
Antipatia infinita.
Un paio di volte, ciò mi capita spesso anche in altri contesti, la mia mente si sbizzarrì in turpiloqui inconfessabili. M’immaginavo mentre, alzatami improvvisamente dalla mia postazione, cominciavo ad elencare le regole delle buone maniere.
A quelli estremamente antipatici, inoltre, cominciavo a fare l’elenco di tutti i loro difetti. Niente di filosofico o particolarmente profondo. “Ma lo sa che la sua cravatta fa veramente schifo?”
“Le hanno mai detto che il profumo che usa è simile al prodotto che mia madre utilizza per la disincrostazione dei cessi?”, “Può scrollarsi la forfora dalle spalle, per favore? I miei occhi sono particolarmente sensibili dinanzi a simili obbrobri”
Inutile dire che tutte queste geniali battute rimasero frutto della mia fantasia. I miei folletti, tuttavia, avendo il potere di leggere nella mia mente, applaudivano, e con le gambette incrociate, si scompisciavano dalle risate. I più incontinenti, un paio di volte, bagnarono la mia scrivania.
Ricordo con particolare affetto due persone appartenenti alla suddetta specie: un professore universitario e un dirigente della regione.
Il primo era odioso perché, grazie alla sua elio-presunzione, sembrava fluttuare nell’aria come un palloncino sgonfio; il secondo perché, vittima del suo stesso fascino, pensava che ad ogni suo complimento ci si dovesse liquefare come la panna delle bustine.
Il professore pensava che la prenotazione di un biglietto aereo richiedesse una postura da esame: sguardo fisso sullo statino, frasi dette con tono interrogatorio, labbra serrate e vocali mozzate: “M dca qual’ il przzo più convenient”. Sì, e magari già che ci siamo ti parlo pure della tesi, antitesi e sintesi di Kant!
Il regionale, dal conto suo, pensava che il suo ingresso in agenzia dovesse essere simile alla passerella della notte degli Oscar. Seguito da un paio di portaborse, indossando un impeccabile abito Canali, e reggendo la sua quarantottore, si avvicinava alla scrivania prima di pronunciare un sensualissimo “saaaaaaaalve”.
Non si avvicinò mai alla mia postazione. Di contro, un paio di volte, si lasciò andare ad apprezzamenti sulla mia presenza parlando direttamente con il titolare il quale, a sua volta, aveva appena finito di dire alla moglie che “la nuova arrivata era un cesso clamoroso”, e che “solo un viaggio a Lourdes avrebbe potuto salvarla da un futuro di zitellaggio assicurato!” Misteri della vita!
“Ho visto che c’è un nuovo acquisto. Mi sa che devo partire più spesso, adesso!”, diceva il deficiente mentre con lo sguardo languido si bloccava all’altezza delle mie labbra.
“Forse la signorina mi può dare qualche consiglio utile: cosa piace sentirsi dire alle donne?”
Oh mio Dio! Vomito al sol pensiero. Era peggio di quando un ragazzo pensò di farmi un complimento pronunciando testuali parole: “Scusa, mi sai dire chi è il tuo elettrauto?” Davanti al mio sguardo perplesso, aggiunse: “Vorrei sapere chi ha avuto la fortuna di montarti quei fari al posto degl’occhi!” E il cric? Vuoi che ti faccia vedere anche quello?
L’unico aspetto positivo di tutta la faccenda fu che, a distanza di qualche anno, ebbi il piacere di scoprire che con quel professore avrei dovuto pure sostenere un esame. Mentre il docente non ricordava minimamente chi fossi (capita spesso in una facoltà con quattordicimila iscritti), io conoscevo perfettamente il suo profilo psicologico. L’esame fu rapido, indolore e con lieto fine. Ditemi che non sono brillante!
Il mio stage in quell’agenzia si rivelò un successo clamoroso. Tutti cominciarono a volermi bene e, date le mie dimensioni, a considerarmi una sorta di mascotte. Dalla compilazione dei biglietti, rapidamente, passai alle prenotazioni fino ad arrivare alla partecipazione ad un corso d’aggiornamento e, per concludere, alla collaborazione nell’organizzazione dei preparativi per una manifestazione letteraria.
A proposito di quest’ultima, un giorno, mi mandarono in aeroporto per prendere alcuni dei partecipanti. Avete presente quelli con il cartello “Mr Brown”? Esattamente. Io dovetti fare anche quello. Il problema, però, sorse allorché dovetti riuscire a rendermi visibile in mezzo a tutta quella gente. Trovare l’ago in un pagliaio sarebbe stato più semplice.
La mia avventura terminò allorché capii che se avessi continuato a lavorare, difficilmente, sarei riuscita a terminare i miei studi. Il giorno in cui chiesi di avere il mio certificato di stage, nessuno sembrava disposto a darmelo.
Era bello sapere che tutti riconoscevano le mie capacità. Sarebbe stato ancor più bello se mi avessero pagata. A buon rendere.