"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)



"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)



giovedì 27 dicembre 2007

Brillante...parte ottava

W il mondo del lavoro

L’ingresso nel mondo del lavoro non fu, di certo, più entusiasmante della mia tanto brillante, quanto conflittuale, carriera scolastica.
Innanzitutto, qualcuno (il più saputello possibilmente!) potrebbe obiettare che il ricorso al passato remoto del verbo “essere” da parte mia non si addica alla descrizione di un lasso di tempo che, presumibilmente, dovrebbe andare dallo scorso Marzo ad oggi.
Costui avrebbe sicuramente ragione se la mia carriera professionale, come nella maggioranza dei casi, fosse stata il coronamento dei miei studi.
Ma, un po’ a causa delle già ampiamente discusse arcane influenze della mia amica Retta ed, un po’, a causa delle mie indiscutibili tendenze al masochismo (ogni tanto non nuoce un po’ di autoanalisi), nel mio caso, si potrebbe parlare di “esperimento precoce” e, se volessimo applicare la legge, “sfruttamento minorile”.
In piena esplosione ormonale, infatti, le mie giornate (come quelle della maggior parte degli adolescenti) erano scandite da una imperante “paranoia”: per la lettura dei Promessi Sposi; per l’ottusità di certi adulti; per le ore di educazione fisica che non potevamo fare per mancanza di quella “paranoia” della palestra e, di conseguenza, “paranoia” per decidere se fosse più opportuna una “okkupazione”, piuttosto che una gestione autonoma didattica; “paranoia” perché mia madre non mi dava il permesso di uscire; “paranoia” per tutte le cose brutte dell’Universo e, infine, “paranoia” per tutte le suddette “paranoie” e per tutte quelle che, eventualmente, elencherò in un saggio intitolato: “Ars Paranoiae nella mente contorta di un quindicenne problematico”. Nello stesso periodo arrivò un giorno in cui - riflettendo sul fatto che se avessi guadagnato un po’ di soldini, avrei avuto la possibilità di fuggire da casa senza chiedere il permesso e, soprattutto, un supporto economico a mia madre - decisi che avrei potuto cominciare a sperimentare il magico mondo del lavoro.
Inutile precisare che, consapevole della mia biologicamente giovane età (mentalmente mi sentivo già sulla soglia dei cinquanta), non pensavo certamente di poter diventare Dirigente Generale delle Forze Armate o, peggio ancora, addetto alla contabilità di una bottega di orto-frutta.
“Anche i più grandi hanno cominciato dal basso” ovvero, “Chi vuole arrivare in cima deve cominciare dal fondo”.
A questo punto, vorrei chiedere di concentrare la vostra attenzione su questi due geniali assunti, perché è proprio a partire dall’impatto che certe parole hanno su di me che ruota il perno di tutta la mia esistenza…fino a ieri, quantomeno!
Le parole, infatti, hanno avuto per me, da sempre, un valore importantissimo che, tradotto in altri termini, vuol dire che non ho mai pensato che per alcune persone potessero essere, semplicemente, un modo alternativo di prender fiato.
Negli anni, grazie ad alcune esperienze non troppo mistiche, ho poi avuto modo di constatare che quella mia visione della realtà andava forse rivisitata, rielaborata e ridimensionata.
Una delle prime volte in cui la Verità fece capolino nella mia esistenza fu quando fui vittima di un pacco dalle dimensioni stratosferiche: mi era stato promesso un viaggio a Parigi. Le parole con le quali era stata fatta la promessa non lasciavano alcuno spazio all’equivoco: “Prepara le valigie perché tale giorno a tale ora partiamo, tu ed io, per Parigi!”. Le mie parole sulla lista delle cose da aggiungere al bagaglio, altrettanto chiare. Le parole con le quali, alle nove del mattino (partenza prevista per le ore sei), mi si comunicò che potevo stilare una nuova lista per le cose che dal bagaglio potevano partire con destinazione cassetto, furono anch’esse chiare e… cocenti!
Dulcis in fundo, le parole che colui il quale, per comodità storiografica, chiamerò “L’accollatore di pacchi clamorosi” pronunciò ridendo, data l’ilarità di tutta la faccenda, circa diciannove anni dopo, mi fecero esattamente comprendere che le parole, a volte, sono solo parole e per questo, purtroppo, non bisogna affidare loro il destino della nostra esistenza.
Non sia L’Accollatore di pacchi clamorosi il capro espiatorio! Da allora ad oggi, sono state veramente poche le persone che hanno mostrato di dare alle parole lo stesso senso profondo che per natura ho sempre attribuito loro. Poiché alle suddivisioni drastiche che vedrebbero i “buoni” tutti da una parte ed i “cattivi” dall’altra non ho mai creduto, diciamo pure che, preso atto delle differenze, mi sono organizzata meglio nella gestione della mia esistenza.
Tuttavia, per tornare al mio debutto nel mondo del lavoro, a frasi quali quelle sopraccitate ancora ci credevo e, prendendole alla lettera cercai un “fondo” che fosse abbastanza “fondo”. Così “fondo” che mi ci volle un’intera estate prima di raggiungere la superficie.
Alla tenera età di quindici anni, dunque, essendo la mia natura tendente al masochismo, non optai per il volantinaggio o per il “babysitteraggio”, ma per qualcosa di veramente formativo, duro. Qualcosa che mi avrebbe insegnato molto. No. Non andai né al cantiere navale né al mercato ortofrutticolo. Decisi, più semplicemente, di vendere i giornali nella spiaggia di una nota località balneare.
Voi penserete che fosse stato creato una sorta di gazebo destinato alla vendita. No. Vi sbagliate. Diciamo che il gazebo ero io e che, a differenza di tutti gli altri gazebo del mondo, ero veramente una “struttura mobile”.
Il lavoro, infatti, prevedeva che alle nove del mattino mi recassi presso una delle edicole del paese, caricassi sulle mie spalle un borsone dal peso quattro volte superiore al mio e, con un bellissimo sorriso stampato in faccia, mi recassi in spiaggia per vendere il mio prodotto.
Inutile dire che non dovevo stare ferma sotto un ombrellone, ma camminare, camminare, camminare e camminare. Camminando, camminando, imparai tantissime cose.
Il lavoro in questione, infatti, mi portò a contatto con tanta gente e quando la vita ci offre una siffatta opportunità, dinanzi a noi si aprono due strade: imparare a conoscere gli altri e quindi noi stessi; continuare a fare i solitari rimanendo sul nostro piccolo piedistallo convinti che al momento della nascita siamo stati dotati di tutti i pregi del creato e che, di conseguenza, non abbiamo bisogno d’interrogarci sulle questioni più banali che riguardano l’essere umano in quanto tale.
In realtà, come ogni volta che scrivo, ci sarebbe una terza opzione: far finta di essere solitari e, una volta tornati a casa, farsi due milioni di pippe mentali alla ricerca del nostro vero essere.
Ho sempre nutrito una certa passione per il mondo dell’editoria ma, devo dirlo, fu la suddetta esperienza a farmi capire le ragioni intime di tanto amore.
Camminavo lungo la spiaggia con addosso un costume, una tuta luccicante di sudore e un bellissimo paia di scarpe da ginnastica che però non si vedevano a causa del fatto che il peso del borsone mi costringeva ad un’immersione nella sabbia fino alle ginocchia; in altre parole, chi mi guardava vedeva solo un busto trascinarsi sulla rena. Imparai alcune delle differenze sostanziali tra l’essere uomo, l’essere donna e l’essere umano.
In un primo momento non fu necessario interagire con gli altri, infatti mi furono sufficienti alcuni dei nomi delle riviste che l’azienda proponeva.
Alle donne erano rivolti titoli del tipo: “Donna”, “Donna in”, “Vera donna”, “Intimità”, “Io e mio figlio”, “Io che figli no ne ho”, “Io, mio figlio e mia suocera”, “Il figlio di mia suocera”, “Orrore! Mio marito conosce mia suocera!”.
Agli uomini, invece: “Motociclismo”, “Modellismo”, “Fai da te…(almeno fallo credere!)”, “Soldatini e pupazzini: ecco i veri eroi” e, dulcis in fundo: “Poltrona: Oh tu che sei il mio vero amor!”, sottotitolo: “L’arte del non pensare!”.
La cosa veramente singolare era data dalla differenza sostanziale nella modalità di offerta-risposta che si azionava a seconda che l’acquirente appartenesse al primo gruppo od al secondo.
Se a chiamarmi era un uomo la durata del tutto non superava, generalmente, i cinque minuti: “Hai questa rivista?”, “Sì”, “Quant’è?”, “Ok. Me la dai?, “No, non preoccuparti. Tienilo pure il resto!”.
Se, invece, a chiamarmi era una donna il tutto cominciava ad assumere i tratti di una scadente fiction che cominciava a popolarsi di personaggi, aneddoti, dubbi e perplessità, richieste di consigli e profonde riflessioni sull’umanità tutta.
Prenderò in considerazione solo le vendite che andarono a buon fine: “Hai Intimità?”, “No. Però posso darle “Profondità”, “Ma a me piace Intimità”, “Signora, è più o meno la stessa cosa”, “Sì lo so (bugia clamorosa!). No, perché mia cognata, (bisbigliato) odiosa ma non ti sto a raccontare cosa ha avuto il coraggio di comprarmi a Natale, mi ha detto che su Intimità questa settimana usciva l’inserto sulla cucina tailandese. Lei è brava (con l’arcata sopraciliare inarcata e la manina roteante nell’aria), cucina sempre cose nuove… però non invita mai nessuno a casa sua perché altrimenti si sporca, e compra sempre Intimità perché le piace la rubrica di astrologia, perché quant’è cretina solo lei ci può credere a queste cose. Anche mia suocera la legge, seee perché pare che se la legge vero. A lei, però, piacciono i mini romanzi, quelli che si staccano, ah se uno potesse tornare indietro, quante cose non farebbe! “. “No. Comunque Signora le posso dare Profondità”. “Peccato! A me interessava Intimità”.
A questo punto, il mio cervello si spegneva e rinunciava a qualsiasi possibilità d’interagire realmente con quella donna. A volte mi convinsi del fatto che se avessi venduto sedute di psicologia, avrei fatto molti più soldi.
“Senti, vabbè, dammi Profondità. Quant’è?”, “Miiiiiiii, è caro! Ma non c’è uno sconticino per la simpatia?”, (ciò che avrei voluto dire e non ho mai osato fare) “A trovarlo quello simpatico!”, (ciò che dicevo) “No. Mi spiace. Se dipendesse da me, a lei, lo darei pure gratis. Ma le direttive sono chiare!”.
“Ludovico, che dici, lo prendo?”, “Ancora tempo ci perdi? Se ti piace!”, “Ludovico, me li prendi i soldi?...dal tuo borsello”, “Non li hai cambiati?”, “Ma scusa, non è quattromilanovecento lire?”, “Sì, appunto. Vabbè, vedi se hanno da cambiare cinquemila lire al bar del paese!”.
In spiaggia, grazie anche a quegli arditi e simpaticissimi tanga che hanno l’oneroso compito di reggere due macro budini ondeggianti ed ogni essere umano è quasi spogliato di ogni elemento di decoro, si ha una delle poche opportunità di studiare tutte le manie che rappresentano forse la vera differenza tra noi e gli animali.
Al grido di “Saaaaaaaaaaaaanti”, che non sta per “Santi” ma per un “senti” pronunciato da un palermitano, ero solita dirigermi verso un potenziale acquirente con le stigmate sulla spalla e un sorriso che celava in realtà una smorfia di sofferenza atroce. Non appena arrivavo sotto l’ombrellone e, ovviamente, dopo aver spiccicato dalla pelle il manico del borsone, aveva inizio una conversazione che, debbo dire, nei mesi non cambiò di molto:
“Che c’hai?” A quel punto il mio cervello partiva in automatico e, mentre intavolava una conversazione sullo squallore che spesso percepiva attorno a sé, la mia bocca, in simultanea, cominciava a fare l’elenco delle riviste. Una delle prime cose che mi colpì profondamente - escludendo per un momento le piscine gonfiabili adibite a “mantienifrescoilmellone” o bagnanti seduti che, dato il peso, apparentemente sembravano sospesi in aria dato che della “sdraietta” sotterrata era possibile scorgere solo l’appoggia testa - fu che una delle cose che maggiormente convinceva l’acquirente a fare quell’affarone era la presenza in alcune riviste di quei famosi “campioncini”, che non servono a nulla e ti fanno sentire assolutamente furbo. Tutti andavano alla ricerca del campioncino e poco importava se la signora al settimo mese di gravidanza decideva di comprare una rivista tipo “Trattori d’Italia”; l’unica cosa veramente importante era quel flaconcino contenente la metà del prodotto iniziale (a causa del calore l’80% del liquido era evaporato). Addirittura, a volte ebbi l’impressione che se dentro il flaconcino ci fosse stato dell’acido muriatico, la gente avrebbe comunque fatto follie per riceverlo.
Tuttavia, vi erano dei giorni in cui la titolare dell’edicola, non avendo trovato nel magazzino altri flaconcini risalenti al secolo passato, si limitava a darmi una tonnellata di carta stampata che, nel minor tempo possibile (più o meno queste erano le sue parole), dovevo piazzare in spiaggia. In queste giornate, ovviamente, la situazione si faceva più complessa, perché sarei stata costretta a ricorrere al solo uso della dialettica pur di convincere l’acquirente che trovarmi sulla spiaggia e, addirittura, trovare un interessantissima rivista sul corteggiamento dei coleotteri in calore fosse un’occasione da non lasciarsi scappare.
Le scene più terribili, comunque, si verificavano quando a chiamarmi non era un acquirente singolo, ma un intero clan. Non so se avete presente uno di quei tanti accampamenti che cominciano ad essere edificati il sabato sera per poi, l’indomani mattina, trasformarsi in veri e propri agglomerati da fare invidia persino alle favelas.
Durante i caldi ed appiccicosi mesi estivi furono proprio quelli a diventare il mio incubo: mi trascinavo sulla spiaggia, spesso vittima di miraggi inconfessabili, quando, all’improvviso, scorgevo in lontananza un braccio sventolante dalla cima di una collinetta.
Man mano che mi avvicinavo a quel punto lontano, la collinetta cominciava ad assumere i tratti di una “panza”, a stento trattenuta da un costume modello intero, con coppe imbottite e sofferenti sotto la spinta di un seno che definire “prosperoso” sarebbe un eufemismo.
Senza che avessi il tempo di rendermi conto di quanto stava accadendo, mi ritrovavo seduta sulla sabbia a contrattare ancor prima di proporre o addirittura vendere. Il clan, generalmente composto da una ventina di individui eterogenei per sesso, età, ma omogenei per ciò che riguarda concetti quali le dimensioni (i neonati arrivano a pesare duecento chili) ed umorismo, si coalizzava contro di me con il chiaro obiettivo di rincoglionirmi ulteriormente (come se i chilometri percorsi e i raggi ultravioletti non fossero sufficienti) per poi, alla fine, costringermi non solo a regalare tutti gli “omaggi” a disposizione, ma quasi pagarli pur di andare via.
In questi gruppi, solitamente, s’incontravano le seguenti figure: un comico (di quelli che raccontano duemila barzellette al secondo), una spalla (ride ancor prima degli altri e, nella peggiore delle ipotesi, gli dà nuovi input per nuove esilaranti gag); un nonno/a rincoglionito abbandonato sotto l’ombrellone; una coppia di neo fidanzati che, approfittando della distrazione della comitiva, si scambia effusioni degne da film porno; duemila bambini che ridono e urlano quando gli adulti lo fanno pur non avendo capito nulla di quanto stia accadendo; una ragazzina obbligata ad andare in spiaggia nonostante l’arrivo improvviso del menarca e, quindi, costretta ad indossare un pantaloncino che lascia intendere al resto del mondo che il bagno per certo non potrà farlo e, infine, un gruppo di donnone biondissime nonostante la ricrescita che si passano quasi in un delirio orgiastico la mercanzia.
Sotto il sole cocente e nell’attesa del verdetto finale (nella maggior parte dei casi, dopo avermi fatto parlare per due ore, non acquistavano nulla) l’unica cosa che mi rimaneva da fare (oltre a proteggermi dalle palline di sabbia che i bambini avevano simpaticamente deciso di lanciarmi) era guardarmi attorno, studiare la mimica, il vocabolario e l’arte dell’arrangiarsi che caratterizzavano l’intero gruppo.
Tutto questo delirio per guadagnare, alla fine, qualcosa come lo 0,1% sul totale delle riviste vendute, un’abbronzatura da brivido considerata quell’unica fascia bianca che, partendo dalla spalla, mi attraversava il busto, rendendomi simile alla neo proclamata reginetta delle sfigate e, dulcis in fundo, un eritema di dimensioni galattiche conficcato al centro del petto. Fedelissimo, da allora, mi fa visita ogni estate. “Prendi l’arte e mettila da parte”.
Per fortuna, l’estate non durò per sempre e così verso la fine del periodo di lavoro feci un incontro rivelatore. Una signora, interessatissima alle musicassette in omaggio con una delle riviste, mi chiese quali fossero i titoli. Dopo che li lessi uno ad uno, mi disse: “Ma, sai leggere pure in Inglese?” Sebbene l’istinto fosse stato quello di chiederle “pure” rispetto a cos’altro: strisciare agonizzante sulla sabbia? Trasportare con stoicismo un borsone dal peso indefinito? Portare con eleganza il mio eritema?; mi limitai a risponderle di si.
“E’ un peccato che una persona Brillante come te sia costretta a fare un lavoro da schiavi. Tuttavia, ricordati che, avendo cominciato dal fondo e con le qualità che hai, nella vita ne farai di strada”…”Mi dispiace. Non riesco a comprare nulla. Mi dà troppa rabbia!”.
Ringraziai gentilmente la signora e ponendomi un miliardo di domande ritornai in edicola.
In lontananza scorsi un gabbiano (scoprii più tardi essere parente del più famoso Livingston) che ridendo come un pazzo, mi disse: “Ma chi cazzo te l’ha fatto fare!”

sabato 22 dicembre 2007

Copiato da uno dei "Diari di Viaggio" del 2003

“Diario di bordo”…Firenze 2003
Firenze, 7 giugno 2003 ore 19:40

Bastano le “papole” sotto i piedi per commentare la giornata? O devo elencare uno per uno i chilometri percorsi?
Rientrati in questo ridente convento con i corridoi lunghi ispirati a "Shining" (sembra di vederlo il bambino sul triciclo!) abbiamo solcato la soglia della nostra coloratissima celletta. Gli ingressi di tutte le stanze sono alti 22 cm...per la prima volta in vita mia , eccezion fatta per quando mi trovo a casa della famiglia di Ale, mi sono sentita veramente alta. Mi chiedo: "Siamo certi che si chiami Ostel delle 7 fate e non dei 7 nani?" Comunque, siamo entrati. Le classiche luci soffuse hanno ceduto il posto a un macroneon modello sala operatoria ... Per un secondo "Asasanno" ha creduto di aver perduto l’abbronzatura in un pomeriggio!
Ma non importa, è lo spirito che conta!!! Sudati e stanchi decidiamo di fare una doccia...non assieme, non uno alla volta, ma...metà per volta!
Quando entri in bagno devi immediatamente fare una scelta di vita. All’improvviso ti trovi dinanzi ad un bivio: "chiudo il box e sto su un piede e con un braccio alzato? o lo lascio aperto e trasformo il tutto in una specie di piscinetta?"
Ecco che arriva nella mia mente il volto sorridente di Fabrizio...poco alla volta il sorriso si trasforma in smorfia, gli occhi si gonfiano, la faccia diventa cianotica...è un chiaro attacco di claustrofobia!
Lo vedo l’articolo del quotidiano di domani: "Fine settimana di piacere trasformatosi in tragedia per una giovane nana...comunista (sporca, bastarda, mangiabambini non lo scrivono ma si legge tra le righe!). Ritrovata dal giovane marito all’interno del box doccia. I medici non hanno ritenuto opportuno procedere all’autopsia. Soffocamento per come dimostra la posizione della donna...un mignolo irrigidito attaccato all’unica fessura...per prendere aria!!!" (Fabrizio è convinto che la claustrofobia, essendo qualcosa di psicologico, può superarsi appoggiando anche un solo dito con qualcosa che ti dia l’impressione di avere un contatto esterno....L’abbiamo trovato col medio nella serratura della porta quando è tornata la luce nella casa di campagna!). Ho finito la doccia. La nostra celletta ha il numero 23 che nella cabala corrisponde al culo e il culo corrisponde alla fortuna. Cosa dovrei dedurne? Che siamo stati fortunati? Non oso immaginare i poveretti delle altre camere!!!
Il caldo asfissiante ci costringe ad azionare il potentissimo impianto di condizionamento dell’aria...una potentissima finestra posta dietro una parete separatoria. Peccato che i letti si trovino proprio dietro la suddetta parete!!!!!!
Esatto non il LETTO, nemmeno 2 letti per la verità! Ma, due micro letti per due micro nani in una micro stanza con una micro porta e un ancor più micro box doccia. La soluzione della finestra si trasforma presto in tragedia. Alla reception avevo trovato, in mattinata, un opuscolo che spiegava in che modo la città di Firenze si stesse adoperando nella lotta alle zanzare.
Non l’ho letto ma non mi ci è voluto molto per comprendere il metodo.
Ho capito che l’ostello gioca un ruolo fondamentale in questa faccenda.
Montando dei neon giganteschi modello stadio, in ogni cella viene dirottata la maggiore quantità di zanzare direttamente sui poveri sventurati di turno!
Ho avuto un’altra rivelazione!!!!
Non è carta da parati. Le pareti sono semplicemente bianche e quei pois sono solo la prova evidente che non siamo i primi e non saremo gli ultimi a vivere questa grande avventura. Io sono una persona previdente e dotata di un grande spirito d’adattamento. Con sguardo fiero e passo sicuro sono andata in bagno e ho estratto dal mio beauty case l’unica arma legalmente riconosciuta: AUTAN!
Le zanzare di Palermo tremano al sol pensiero, fuggono, cambiano direzione. Uno spruzzo, 2, 3, 5, 8 spruzzi sulle gambe, sulle braccia, sul sedere.
Mi metto a letto...Sono passati solo 5 secondi (l’etichetta dice che l’effetto dura 6-8 ore) ed ecco la zanzara coraggiosa appoggiarsi sul mio ginocchio destro...cazzo! Mi ha punta! Uno spruzzo, due, cinque, otto e una pallina di carta per i casi d’emergenza! Ahhhhh! Quanto mi mancano le zanzare di Palermo!
Sono arrivata al milionesimo spruzzo, c’e’ caldo, sono sudata...le bolle aumentano sulle mie braccia...ok! Mi alzo, faccio una strage ed affronto il mio nemico guardandolo in faccia. Ecco la prima. Mi avvicino e le spruzzo l’autan direttamente addosso. Ho vinto! Ho vinto!Quell’aeroplanino vivente rimane immobile. Penso: "L’ho stordita!"
Odo un suono in lontananza, un fischio? Una risata scrosciante. La zanzara riprende vita, mi guarda, scuote la testa, ride ed esce una bandiera bianca.
Penso: "che intelligenti le zanzare di Firenze!"
Poi, con una zampetta mi fa segno d’avvicinarmi, eseguo gli ordini. Mi avvicino sempre più e scopro che quella non era una bandiera bianca, ma un cartello che recitava: "Ritenta. Sarai più fortunata!"
Cavolo,mi arrendo!!!!Le zanzare di Firenze sono autanrepellenti!!!!

venerdì 21 dicembre 2007

Mrs Satiri...khan ha recitato la poesia di Natale


Buon Natale a tutti voi,
anche a quelli che si credon eroi.
A chi i telefoni stacca
Sulla spalla, ecco una pacca!
E se i messaggi non mi fai mandare
Poco importa: potrò sempre PARLARE!
Se di Amore ed Onestà
Il Natale è Podestà,
forse voi, oh cari amici,
del suo Spirito non siete felici.
Io mi chiedo a questo punto
Se il volto avete unto
Con quell’olio benedetto
Che fa di un uomo il prediletto.
Ma, se invece di giocare
Vi metteste a lavorare,
la mia isola armoniosa
non sarebbe pur gloriosa?
A chi, invece, vuol tacere
È con massimo piacere
Che gli dico a squarciagola
Che di vita ce n’è una sola.
E se questa rispettiamo
Onestà noi aiutiamo…
Non firmiamo documenti
Che gettan fango sulle genti;
Non ridiamo a più non posso
perché il problema non è nostro.
Forse oggi non ci tocca
Ma, domani, chi lo sa?
Chi non è Galantuomo, differenze no ne fa!
Buon Natale e Buone Feste
E, se potessi cambiar le teste,
di Arroganza e Prepotenza
ne farei di certo senza;
di Dispetti e Malefatti,
un buon pasto per i ratti.
Ma, di Onore e Serietà
Ne lascerei a sazietà!
Buon Natale a tutti voi
Voi, che vi credete eroi.
E se un pacco di carbone
Mangerete al cenone
Ripensate a questo anno
In cui avete, solo, fatto danno…
E magari, chi lo sa,
l’anno venturo miglior sarà…
Non spiegate ai vostri figli
Che a Natale nasce Gesù
Poiché quando vi guarderanno,
non vi crederanno più.
Non può essere reale
Che un tipo non leale
Sappia bene quella storia
Che parlò di grande Gloria!
Buon Natale, amici cari,
i miei auguri son pur sinceri
ma se potesser esser diversi,
non sarebber certo in versi.
Satiri…khan son
E di poesia mi han’ fatto don:
È per questo che a Voi parlo
Insinuandovi un bel tarlo.
Buon Natale a tutti voi, ma,
un augurio un po’ speciale
va all’amico eccezionale
che mi consente di creare, come Musa ispiratrice
di un Parnaso, oggi, infelice,
questi versi un po’ brutali
per certi esseri mortali
.

lunedì 17 dicembre 2007

Un buon compleanno...

... a me, a me! Un buon compleanno...a me, a me!
Un grazie, per il momento, a :

  1. Il Ginecologo che mi ha fatto nascere;
  2. Mia madre che ha sopportato il travaglio;
  3. Mio fratello Fabrizio per tutti i dispetti che mi hanno trasformata in quello che oggi sono...uno gnomo sindacalista!
  4. Cinzia, per aver sottovalutato la dimensione della mia circonferenza cranica;
  5. Mio fratello Davide per tutti gli anni in cui mi ha chiesto: "Cla, dai fammi spaventare!....Maaaaaaaaaaaaaaaammaaaaaaaaa!" e per aver intrattenuto i miei ospiti mostrando loro le mutande!;
  6. Veronica per i suoi dolcissimi messaggi senza punteggiatura. La James Joyce del terzo Millennio;
  7. Gaetano per l’affetto costante che dimostra nei confronti della mia lavanderia;
  8. Tata per le arancine senza sugo…per il fatto di essere la reincarnazione di Giotto (come maneggia lei le palline!)…per aver avvistato un Santo nel mio salone prima di scoprire che l’incenso l’avevo comprato io!;
  9. Valeria per il pigiama in cotone che, dato l’inverno rigido di casa mia, potrò indossare verso Luglio. (La ragazza mostra interesse ma non si applica con costanza. Consigliamo la rilettura della puntata quinta di “Brillante!);
  10. Ermelindo per aver sopportato in silenzio le mie battutacce (sotto dettatura di tua moglie…la cospirazione serpeggia dentro casa!);
  11. Alberto per la folletto-agenda: i miei amici immaginari, ma non troppo, ringraziano;
  12. Ornella per il gusto, il volume della voce e, soprattutto, per aver capito (prima degli altri) che lo studiodialeforseèdiclaudia;
  13. Daniele per aver parcheggiato la macchina dentro il cancello e per la saggezza dimostrata nel lasciarsi consigliare da Ornella per il regalo;
  14. Claudia (cognata) per aver accettato con allegria la presenza dei miei folletti…
  15. Filippo per aver fatto laureare Tata in Scienze infermieristiche nel brevissimo arco di tempo di 15 minuti (A Tata il merito di aver superato brillantemente gli esami di Matematica, Chimica, Biologia e Statistica…quando sarò vecchia a te l’onore di farmi un …);
  16. Liliana per non aver fatto i complimenti ad Alessandro e per i numeretti in legno per i quali, stupidamente, non l’ho ringraziata;
  17. Renzo per aver riparato con cura certosina il camioncino di mio figlio, per non aver messo avanti le lancette dell’orologio pur di fare passare più in fretta il tempo e, soprattutto, per la commovente poesia che ci ha regalato dinanzi al camino. Se non sbaglio diceva pressappoco così: “Agnello e sucu e finiu u vattio !”.
  18. Ale per la sua innata dote di “addetto al camino”… e per la sua bontà d’animo nel non lasciare mai solo il compare Gaetano;
  19. Matilde per la flemma nel riappiccicare uno ad uno i brillantini staccatisi dal numero zero;
  20. Leo e Vanessa, assenti giustificati, per la bellissima e multiuso camicia-puzzle.
  21. Mio figlio per aver cantato “Tanti auguri a te ed a me” (perché ha deciso che il compleanno lo facciamo assieme!) e, soprattutto, per non avermi regalato la macchina di Saetta McQuenn;
  22. A tutti i bambini; Chiarapure, Chiaragrande, Emilia, Flavia, Mattiascrivoio ed Alessandro.
  23. Infine, un ringraziamento speciale, per il mio amico Grillo: impressionante lo stacanovismo dimostrato nel saper mantenere la stessa posizione composta per 48 ore di fila!

Un ringraziamento va anche ai seguenti autori di sms:

Toni e Carmela…chi tra voi è il poeta?; Anna che ha capito che anche i Papà vanno educati; Maria Grazia; Alessandra, Giulio e tutta la comunità di Porretta...; Mariella e Luciana nonostante la batteria della macchina scarica; il Dottore che mi ha detto che anche a Roma "C'è malura!"; Gigliana per aver dimenticato del mio compleanno; e mio padre Piero per aver imitato Gigliana e perseguito con tanta coerenza una tradizione iniziata tanti anni fa!

Ed a quelli che il servizio sms, assieme alle telefonate da noi pagate, ce l’hanno tolto!

venerdì 14 dicembre 2007

Nota, per i cugini e parenti, a "Un giorno con il Nonno"

In realtà, si tratta di un vecchio scritto riapparso, ieri pomeriggio, nella mia vita. L'ho modificato un po' nella forma, non nel contenuto.
Un quesito che vorrei porvi è il seguente:
Mentre lo rileggevo, improvvisamente, il carillon (sul camino) si è animato di vita propria cominciando a suonare e, dondolando, ad illuminarsi.
Come dovrei interpretare un siffatto fenomeno? Sarà stata un'alternativa al più noto "Iccassi tutti cosi intall'aria"?
A voi le interpretazioni...

Un giorno con il Nonno (omaggio ai cugini lettori del blog)

Ricordo come se fosse oggi il giorno in cui mi resi conto che il precetto secondo cui bisogna ascoltare il proprio cuore non sempre va applicato. Lo feci una volta e, senza dubbio, imparai la lezione.
Un giorno, bazzicando per i giardini della cittadella universitaria e in attesa che cominciassero le lezioni pomeridiane, decisi che sarebbe stato carino impegnare quell’attesa per andare a far visita ai miei nonni. Probabilmente, doveva trattarsi di uno di quei giorni in cui, inspiegabilmente, ci si sente buoni all’ennesima potenza e spinti da una particolare predisposizione verso il prossimo. Perdendo, in questi rari casi, il senso della misura si corre il rischio di esagerare e, puntualmente, il tutto ci si rivolterà contro. Se poi la protagonista della vicenda sono io, ecco sfiorata l’apocalisse.
Esagerata? No, se ognuno di voi avesse conosciuto mio nonno.Costui, infatti (pace all’anima sua), era un personaggio inquietante. Altamente inquietante. Terrore dei nipoti, dei vicini di casa, dei figli e di tutti quelli che per sventura o per un motivo qualunque, avevano a che fare con lui.
Se volessi trovare un esempio per descrivere il senso di pericolo che suscitava negli altri esseri umani, l’unica cosa che mi viene in mente è che l’immagine tipica del vecchietto seduto davanti ad un camino scoppiettante, intento a leggere una favola ai nipotini seduti ai suoi piedi, nel caso di mio nonno, cedeva il posto alla gigantografia dell’Orco di Pollicino.
Mio nonno. Pur essendo il suo nome di battesimo Gaetano, solo ai nipoti era concesso chiamarlo in questo modo. Per la nonna lui era Tanuzzu (Gaetanuccio...insomma!!!!!); mentre per i figli Vossia ( tradotto: Vostra Signoria!)...con questo ho detto tutto!
Fatte le dovute premesse e tornando al fatidico giorno in cui il titolo “Va dove ti porta il cuore” mi sembrava racchiudere l’essenza di tutta la nostra misera esistenza, vi dico che, mossa da un desiderio irrefrenabile di dimostrargli il mio affetto, salii in sella al mio scooter e dopo aver inalato quantità impressionanti di monossido di carbonio arrivai davanti il portone di casa sua.
"Solo un po’...un po’ passa subito", mi ripetevo mentre il mio dito aveva già pigiato il pulsante del citofono e un attacco di tachicardia mi faceva sperare che non rispondesse nessuno!"Solo un po’. Devi tornare a lezione. Solo una visita. Poi c’è la Nonna...non ti preoccupare!", mi ripetevo salendo, uno ad uno, i gradini della scala.Salii a piedi non per dieta né per “fare movimento”, ma per sciupare minuti di quel "po’"...che sarebbe così diventato "un pochino". Un accordo tacito tra figli e nipoti, infatti, prevedeva che il timer delle visite scattasse nel momento in cui qualcuno avesse risposto al citofono. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, qualcuno barava conteggiando come visita il solo aver posteggiato sotto casa sua senza essere, in realtà, riuscito ad incontrare nessuno. Giusto per capire: “Non c’è nessuno. Vabbò, io sono passato!”
Arrivai sul pianerottolo e, trovando la porta socchiusa, mi resi immediatamente conto del fatto che ormai l’irreparabile era accaduto. "La nonna ci aspetta sulla soglia della porta per darci il benvenuto con uno dei suoi strabilianti Curòòòòòòòò (cuore) seguito da cinque baci, almeno! Oddio! La nonna non c’è!", gridava il mio cervello , mentre il mio cuore mi suggeriva qualcosa tipo: “Corri Claudia! Corri! Scappa! Scaaaaaaappaaaaaaa!”
Sulla porta di casa mi parve di scorgere un’immensa insegna al neon che, lampeggiando, recitava: "Lasciate ogni speranza, voi che entrate!".Sacrosanta verità. A quel punto fui costretta ad abbandonare del tutto la speranza di non ritrovarmi da sola con lui intrappolata nella ragnatela di un qualche argomento allucinante e contorto che iniziava quasi sempre con la frase: "Mi ricordo che..."Quando mio nonno esordiva in quel modo era la fine di tutto. Senza nemmeno avere il tempo di capire cosa stesse accadendo, infatti, ci si ritrovava immersi in uno sfogo allucinante, una sorta di visione onirica, che aveva per protagonisti delinquenti, malviventi, ignoranti, mostri d’immoralità, ladri di caramelle e tutto il peggio che la società può offrirci.. Nessuno dei personaggi aveva un nome proprio. I protagonisti, infatti, erano sempre "figli di qualcuno", "vicini di casa" di qualcun altro e comunque, alla fine e per motivi assolutamente illogici (ma validissimi per lui), erano "cornuti e disonesti" o, peggio ancora, "Quella grandissima P..." (i puntini li metto io. Lui, di certo, non l’avrebbe mai fatto).
I miei timori non furono certo smentiti. Al mio "Buongiorno" seguì un: "solo una visitina, devo tornare a lezione". Era il mio subconscio che, vedendomi impotente, cominciò a parlare ad alta voce. Mi sedetti senza proferir verbo, sorridendo come un ebete e pregando che non accadesse l’irreparabile.
P. G. C. (per grazia ricevuta), quel giorno mio nonno era di buon umore: evidentemente, negli ultimi cinque minuti, nessuno aveva osato fargli un gravissimo torto.
Tuttavia, pur sottolineando che mi sarei fermata solo dieci minuti, ebbe inizio uno dei peggiori incubi della mia vita.
"Alla nonna farebbe tantissimo piacere vederti!", tuonò la sua voce. Non era una constatazione, non era un dato di fatto, non era un invito a rimanere...ma: SEQUESTRO DI PERSONA!. Da quel momento era finito tutto. Avrei potuto anche ritirarmi dalla università e non fare programmi per i prossimi vent’anni. Quando Tanuzzu diceva qualcosa non vi era alcun modo di tirarsi indietro e se anche vi fosse stato, nessuno avrebbe mai osato contraddirlo. (Mi daranno sicuramente ragione quei cugini che per anni hanno dovuto ingoiare tonnellate di “sciù” incartapecoriti e sul punto di esplodere a causa della quantità abnorme di panna composta per il 99% di gas della bomboletta erogatrice!).
"Accompagnami a prendere la nonna", fu il verdetto. "Nooooooooooo, la nonna nooooooooo! La macchina nooooooooooooo! Uscire assieme noooooooooooo!", cominciò a gridare il mio cuore nella speranza che un qualche miracolo mi facesse ritrovare dall’altro capo del mondo.
Troppo tardi. Senza nemmeno avere il tempo d’indossare il cappotto (in realtà ho dei ricordi vaghi, probabilmente, a causa del forte trauma) mi ritrovai nella sua Clio. Velocità di crociera: venti km orari. Ricordo ancora con estrema vergogna la fila di automobili dietro di noi e, altrettanto bene, il mio più grande desiderio del momento: scomparire per disintegrazione!
Ad un certo punto, con una manovra da super eroi, mio nonno decise di superare il camion che osava ostacolare la nostra vista...a venti km orari. Una macchina sulla corsia opposta, giustamente, cominciò a lampeggiare con i fari (quando ancora abbastanza lontana) e suonare il clacson quando lo scontro frontale poteva dirsi imminente. Io sotto shock. Mio nonno? Impassibile ed incazzato se ne uscì con un "CORNUTO!".
Durante il tragitto mio nonno mi disse che, prima di andare all’appuntamento con la nonna, dovevamo “sbrigare” un paio di cose. Cominciai a tremare. Capii immediatamente di essere entrata, con i miei stessi piedi, in un tunnel dal quale non sarebbe stato semplice uscire. Fermatosi davanti il portone di un ufficio, dopo avermi dettagliatamente delucidato sulla vita di una delle segretarie che avrei presto incontrato, mi invitordinò di scendere dalla macchina per andare a ritirare un documento di importanza vitale. Fin qui nulla di strano...se non si fosse trattato di mio nonno.
Infatti, non fu sufficiente scendere dalla macchina. Essendo lui il richiedente, dunque, sarebbe stato lui a suggerdettarmi.l’esatta frase che avrei dovuto pronunciare.Non dimenticherò mai quel discorso: "Buongiorno, sono la nipote del Sig. Gaetano. Mio nonno mi ha mandato presso la vostra agenzia per assicurarsi che sia pronto quel documento di cui aveva fatto domanda il giorno...e poiché mio nonno è anziano, ha chiesto alla sottoscritta il favore o la cortesia di ritirarlo. Può darmelo?"
Queste furono le sue parole. Purtroppo non sono in grado di trascrivere anche l’enfasi e la pomposità con la quale avrei dovuto pronunciarle.Tutto chiaro. Aprii lo sportello della macchina e, non appena misi un piede fuori, mi sentii pietrificare allorché, con un braccio quasi in cancrena sotto la morsa del pugno di mio nonno, udii testuali parole: "Ripeti. Cosa ti ho detto che devi dirle?"
"Non ci credo che si aspetta veramente che lo ripeta!”, pensai. Ma, in realtà, già lo stavo ripetendo fissando terrorizzata i suoi occhi incriminanti e sperando con tutto il cuore di non tralasciare nemmeno una parola. Mi sentivo come quando mia madre mi mandava dalla vicina per chiedere:" dice mia madre, ha un po’ di latte da prestarci?".
Entrai e presi il documento limitandomi a dire: “E’ pronto?"
Salii in macchina e pensai: "Fuori uno".
A quel punto si era fatta l’ora di andare a prendere la Nonna che, mentre io vivevo una delle esperienze più traumatiche della mia giovinezza, aveva trascorso il suo tempo zampettando da una bancarella all’altra del mercatino rionale alla ricerca di uno dei suoi mega AFFARONI: salopette originali degli anni ’70 con tanto di zampa d’elefante per un pronipote che mai l’avrebbe indossata; bambole in finta porcellana vestite da spagnole e, dato lo sguardo, possedute da un’entità malefica, ovvero, set da cinque piatti e mezzo, tre posate e nove bicchieri da regalare al nipote che per primo avrebbe convolato a giuste nozze.
Ci appostammo sotto un edificio perché, mi spiegò il nonno, l’appuntamento era proprio in quel punto. Ebbe inizio l’attesa. Dieci minuti, un quarto d’ora e della nonna neanche l’ombra. Il panico cominciò a stringermi lo stomaco mentre, rassegnata, aspettavo che avesse inizio uno di quei “Mi ricordo che…” di cui vi ho già parlato.Un’ora. Il nonno cominciò ad innervosirsi e ciò era chiaro perché cominciavano a gonfiarsi le vene del collo.
Cominciò a parlare a bassa voce, in dialetto. Ad un certo punto, fissandomi cercando di trattenere i bulbi oculari dentro le orbite, mi spiegò che la nonna era invecchiata e che, proprio per quel motivo, cominciava a “perdere colpi”. ("La nonna?", mi chiesi).
Alla luce di ciò, aggiunse di essere stato costretto ad attaccare un nastrino con la bandiera dell’Italia sull’antenna della macchina...lunghissima!: "Perché così non si perde quando la vado a prendere!".
A quel punto, il mio cervello fece una specie di rewind costringendomi a rivedere tutta la scena: noi a venti km orari con un’antenna lunghissima montata su una macchina che gira per la città sventolando una bandiera dell’ Italia.
"Aiuuuuuuuuutoooooooooo!""Ma dove se ne è andata tua nonna! Sicuramente si è dimenticata dov’era l’appuntamento. Perchè io che sono un uomo previdente, le dico sempre che...bla,bla"...tuonava la sua voce dentro la macchina con i finestrini rigorosamente chiusi.
Io, distrutta dal dolore, cominciai a frustarmi senza che il mondo se ne rendesse conto. Pensavo intensamente a cosa avessi fatto di sbagliato per meritare quella tortura. Io. Io che sono autistica sotto alcuni punti di vista. Io che sono la persona meno adatta ad affrontare siffatte situazioni, cercai di mettermi in contatto telepatico con la nonna. Lo scopo era quella di fungere da suo navigatore di bordo e condurla in quel fottutissimo parcheggio per porre fine, una volta per tutte, alla mia agonia. Avrei voluto con tutta l’anima il dono dell’ubiquità per andarla a prendere pur di non continuare quell’attesa farsesca e terrificante.
Ad un certo punto, mio nonno, calmatosi, scorse dallo specchietto retrovisore la sagoma della nonna. In quel momento conobbi la Felicità: dopo solo un’ora di ritardo finalmente ci aveva ritrovati.
"Non può finire così’", mi dissi. "Non posso crederci che l’incubo si concluda tipo favola a lieto fine", continuai sempre mentalmente.
.Ahhhhhh! Tanuzzu ebbe un’idea geniale (per chi?): "Nasconditi sotto il sedile della macchina e quando la nonna si avvicina ti alzi e gridi: Sorpresa!!!!!!!".Nooooooooooooo.Il mio cuore ancora una volta mi suggeriva di scappare. La mia anima sapeva che non c’era scampo. Dovevo raggomitolarmi sotto il sedile e farlo. Non era una proposta. Era un DOVERE!
Rassegnata e completamente in balia di mio nonno, mi raggomitolai sotto il sedile e nell’attesa interminabile di vedere mia nonna, mi parve di scorgere le facce dei miei familiari, di mia madre, dei miei amici, dei miei cugini i quali, appoggiati sul finestrino della macchina, ridevano a squarciagola.
Mio nonno mi diede il via ed io con un sorriso da cretina, più isterico che sincero: "Sorpresa!!!!!!!!!""Curoooooooooooooooooooooo’", urlò mia nonna con quel tono rassicurante che avrei voluto sentire appena due ore prima.
L’apoteosi del delirio la raggiunsi quando scoprii che: se, da un lato, mia nonna stava cominciando a perdere colpi; dall’altro, mio nonno non li aveva mai avuti (i colpi)...
Eravamo stati un’ora ad aspettare la nonna. Un’ora d’anticipo all’appuntamento!!!!!!

lunedì 10 dicembre 2007

Di "impiccicamenti" e "sputacchini" visto da Satiri...Khan

Ieri, essendo la giornata tutto sommato serena, decisi di portare mio figlio a fare una passeggiata in bicicletta.

Approfittando dunque delle tipiche “correnti eoliche” padano-sicule, decisi di godermi una delle nuovissime piste ciclabili realizzate lungo gli argini del fiume Oreto (il Kemonia era fuori mano).

Non riuscii a nascondere il mio stupore dinanzi a cotanto splendore e così, mentre flotte di topi e cacche zampettavano a destra e a manca rendendo lo scenario quasi fiabesco, mi ritrovai dinanzi ad una gigantesca parete bianca.

Sì, era bianca come la neve appena caduta da cielo.

Bianca, nonostante l’ormai noto “inquinamento provocato dall’eccessivo uso degli impianti di riscaldamento” cui ricorre molta della popolazione per affrontare, l’universalmente noto, “clima rigido” della nostra isola padano-sicula.

Mentre le grida felici dei bambini che giocavano con le pantegane e le blatte si diffondeano nell’aere aulente suscitando gioia profonda finanche negli animi più freddi, scorsi dinanzi a me un grande pennello.

Sebbene la mia mente mi avesse riportata immediatamente ad una vecchia pubblicità televisiva che sovente guardavo quando ancor piccina, dovetti prender atto che non trattatavasi del “Grande pennello Cinghiale”, ma del Grande Pennello di …Ale.

Costui, infatti, assieme ad un altro simpatico operaio, il cui nome “Ino” altro non è se non il diminutivo di “Mr Supposto Sputacch…Ino”, stavano “impicciando” gigantesche locandine che avvertivano dell’imminente arrivo in città dello strepitoso e fuori programma “Tendone Burlone”.

Trattavasi di una sorta di teatro itinerante dell’ancor troppo poco nota “Compagnia dei Copiatori”.

Questi, tra piroette, salti mortali e passeggiate lungo un filo sottile (quello tra il dramma e la farsa), promettevano un divertimento assicurato.

Come potevo non concedere a mio figlio l’onore di assistere ad un così promettente spettacolo?

Non ci pensai due volte ed acquistai, da un piccolo, gobbo pagliaccetto, due biglietti per la prima fila.

“Attenzione Signore e Signori, è mio piacere presentarvi la Compagnia dei Copiatori!”, cominciò il presentatore.

A quel punto, tra parassiti addestrati e scimmiotte saltellanti, fece il suo ingresso la “squadra dei copianti”.

Reggea ognun di essi una tastiera, un secchio di “copia” ed uno di “incolla”.

“REFUSI, REFUSI”, gridava il più vecchio sperando che il pubblico fosse pieno di OTTUSI.

“Se il nostro spettacolo volete guardare”, disse un Artista d'indubbia maestria, “dovete innanzitutto saper copiare”.

“Ecco un “Copia” ed un “Incolla” che manderàn in delirio tutta la folla!”

A quel punto, milioni di blatte luccicanti fecero il loro ingresso trionfale in pista trainando una biga alata il cui cocchiere sfavillante tenea il viso ben nascosto da una maschera di rame…

Omini nelle vesti di angeliche fanciulle gettavano al suo cospetto pugni di petali secchi; mentre una processione di puttini sputacchini alati diffondea nell’aria eccitata, fumi d’essenza di marcio.

Inutile dirvi quale stupore, quale meraviglia.

Inutile, anche, trattenere le manine di mio figlio che battevano felici dinanzi a cotanto splendore.

Ci furono i giocolieri, gli animali ammaestrati e, per finire, gli appelli accorati di chi volea far capire che chi comanda può anche mentire.

E’stato un sogno, amici miei, scoprire che l’Arte esiste ancora.

E’ stato ancor più bello svegliarmi e scoprire che nella notte la bicicletta m’avean rubata.

Se dalle vostre parti dovesse far capolino il Tendone Burlone, non esitate, sarà un’emozione!

Non me ne abbiate, amici miei cari, se di stupore faccio poesia

Ricordo che ancor piccina una Maestra solìa

Dirmi con tanto ardore,

“Chi saggio vuol diventare mai deve copiare”

Eran queste le sue parole.

Ed oggi cosa accade?

Il mondo cambia e imparo nuove cose

“Se da soli non riusciamo a studiare, va bene pure copiare”.

E mi rattrista e mi scoraggia e, a volte,

mi fa pur provare rabbia.

Ma apprendo la lezione e

Saluto con emozione

Chi dell’arte di studiare, un tempo

Dono mi volle fare.

E rifletto con tristezza su colui che con destrezza

Vuole dirmi ad alta voce

Che copiar mai nuoce!

venerdì 7 dicembre 2007

L'angolo di Satiri...khan

Buongiorno a tutti,
quelli semi-addormentati e quelli iper-attivi. Io rientro nella terza categoria: pur essendo iper-attiva, il mio volto lascia pensare il contrario.
Stavo sorseggiando la mia quotidiana tazza di caffè (amorevolmente preparata dal maritino) e parlicchiando con alcuni folletti della mia fantasia già svegli, quando mi sono resa conto che potevo farlo anche con voi.
Dunque, uno degli argomenti della giornata è questo: Processo Bertolino (vedi distilleria) a Partinico. Testimoni dell’accusa (tra altri): Pellerito e Genchi.
Non è che ora mi voglio mettere a fare l’avvocato difensore…non sono in grado. Ma, parlando con i miei amici immaginari, non ho potuto trattenere le lacrime (per il divertimento) ripensando a una serie di manovre portate avanti da quei simpatici scagnozzi cui mi riferivo giorni or sono.
I miei piccoli amici, infatti, se prima avevano il potere di farmi stare male fino a raggiungere livelli di rabbia disumana, con i loro simpatici piani di ostracismo, adesso, mi fanno proprio morire.
Dovete sapere che tutte le volte in cui è stata stabilita la data del suddetto processo e, conseguentemente, Ale ed Ino sono stati convocati, quelle dolcezze del creato, per magia, non rispondono alle richieste di visione della documentazione in questione mettendo, dunque, in difficoltà la loro testimonianza. La difficoltà, ovviamente, è relativa. Ma questo loro non possono saperlo: ci vorrebbero quelle doti intellettive delle quali la particolare razza cui appartengono è notoriamente carente!
Io rido perché mi sembra proprio di vederli chiusi in quella stanzetta mentre, con le faccine verdi per la bile, si dicono qualcosa tipo: Omino n. 1 :“Io non glielo voglio dare!”; Omino n. 2: “No!No! Nemmeno io, nemmeno io! Ah!Ah!Ah! siamo troppo furbi, troppo belli e intelligenti!”
Detto ciò, mi sembra proprio di vederli, si lanciano in una sorta di balletto attorno al carpettone e scambiandosi carezze pronunciano elogi del tipo: “ma lo sai che sei proprio intelligente?”, “No, dai!!!!!!! Lo sai che così mi fai arrossire”, “No, sul serio. Volendo fare un parallelismo tra la tua furbizia ed il livello di acqua in un recipiente, devo dirti che non mi è mai accaduto di trovare una terrina colma fino all’orlo!...o, quantomeno, a me non è mai riuscito di raggiungere il bordo!”.
A questo punto, contenti e soddisfatti si salutano nel loro modo tutto particolare pronunciando la fatidica frase : “Piripin Piripè Nessun è furbo più di me!” (risate grasse!).
Mentre vi racconto tutto ciò mi sovvengono episodi non meno esilaranti.
Dovete sapere, infatti, che i miei simpatici scagnozzi pur avendo al posto della materia grigia una sorta di ameba appollaiato sulla testa, sono degli ottimi traslocatori. Non dimenticherò mai quando, al rientro dal nostro meraviglioso viaggio in Canada, fecero trovare ad Alessandro la sua stanza del secondo piano traboccante di mobili (c’era proprio di tutto!) al punto che non vi si poteva più entrare (e sì, a loro le cose piace farle bene). Io non ci potevo credere! Erano stati bravissimi e così cercando di immaginarli all’opera mi sembrava di vederli con le loro tutine azzurre (pensate a Mario Bros), fazzoletto in testa o cappellino con visiera rigida e il logo dell’azienda, “Siamo furbi, siamo bravi pure i traslochi sapemu fari!”. Uno, il più anziano forse e quindi il saggio della tribù, che dava le direttive e l’altro, il più giovane e forse lo sfigato del villaggio, che spingeva spingeva cercando di far entrare il maggior numero possibile di scaffali in quella stanza.
Devo dire che l’operazione gli riuscì con successo…del resto, solo dei geni come loro, grazie alle innumerevoli doti nascoste, sarebbero riusciti a infliggere una punizione così esemplare!
Figuratevi, che tremo ancora quando penso a quale forza e coraggio possiedono i miei amici. Tutte le volte che vedo uno scaffale, infatti, penso che da un momento all’altro il piccolo traslocatore che giace addormentato in ognuno di noi possa mettersi in azione. Da allora, in conclusione, non dico più le parolacce!

martedì 4 dicembre 2007

Benvenuto...

Caro mio Blog (anche se per me sarai sempre “Caro Diario”),
e così anche tu, da oggi, fai parte della mia piccola comitiva di amici immaginari.
Tuttavia, se mi ci sono voluti anni per attribuire un nome ed un volto ad ognuno dei folletti della mia fantasia, con te è diverso.
Sarà stato forse quel tuo sguardo profondo a convincermi che di te ci si può fidare. O, più probabilmente, il fatto che indossi sempre quei lupetti che a me piacciono tanto.
Tuttavia, dato che ci siamo, vorrei farti notare che non mi è ancora del tutto chiaro il motivo per cui stai sempre seduto all’angolo della stanza (qualunque essa sia) a fissarmi nell’attesa che io abbia qualcosa d’interessante o profondo da dirti.
Se devo dirla tutta, non mi piace nemmeno un po’ quel ruolo che ti sei arbitrariamente attribuito: sembri uno psicoanalista! Non che abbia qualcosa contro la categoria, ma da uno dei miei nuovi amici mi aspettavo qualcosa di diverso. Hai presente quella situazione tipo in cui due persone si scambiano battute, frasi, opinioni e, talvolta, litigano? Esattamente quel tipo d’interazione è ciò che maggiormente si avvicina al tipo di rapporto che avevo in mente per noi due.
Dunque, mio caro e dolce Blog, saresti così gentile da alzarti da quella sedia e, sulla scia del nostro vecchio conoscente Lazzaro, camminare verso la mia direzione?
Ti rendi conto che non è sufficiente elargire sorrisetti davanti ai voli pindarici della mia fantasia? O, ancor peggio, ti rendi conto che non puoi limitarti ad allungarmi un fazzolettino di carta tutte le volte che non riesco a trattenere le lacrime?
Se avessi voluto un altro dei tanti muri di gomma che bazzicano nella mia vita, sarebbe stato sufficiente andare in uno degli uffici della Regione Sicilia, scrivere un’altra lettera, mai pubblicata, sul vero stato di smarrimento in cui versano molti giovani, laureati e non, alla ricerca di un posto di lavoro o, addirittura, cercare di spiegare a uno degli utenti delle Poste che se hanno inventato il numeretto, non c’è bisogno di cercare testimoni per decidere chi è arrivato per primo!
Con affetto.
Claudia

E facciamolo questo Blog!

Sto scrivendo e mi sento un po' confusa. Per fortuna, prima di cominciare ho letto un paio di informazioni sulla natura di un blog.
Nonostante mi fosse stato proposto una decina di volte di farne uno tutto mio, solo dopo aver letto "blog - diario personale", mi sono convinta del fatto che potessi averne uno anche io.
Insomma, tra scrivere semplicemente su un "foglio- word" e scrivere su un "foglio-blog" la differenza non è poi molta.
Dunque? Che l'avventura cominci!