"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)



"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)



domenica 29 aprile 2012

Idi di Marzo - Diario


Guardo lo schermo del mio portatile e non posso fare a meno di sorridere. So già quale sarà l’argomento trattato. So anche che se non trattato nel giusto modo, il risultato potrebbe avere un qualcosa di patetico.
Ma “patetico” non riflette il mio stato d’animo né le mie intenzioni. Mi armo dunque di coraggio e fantasia (un po’ di autoironoia...che non guasta mai) e comincio questa storia. Simile a quella di moltri altri.
Marzo é pazzo! Questo lo si diceva sin dai tempi dell’asilo. A dire il vero, si preferiva usare il termine “pazzerello” perché si  sa, a meno che un bimbo non nasca in un qualsiasi posto “sfasciallitto” (estremamente degradato psicologicamente e strutturalmente), qualunque sostantivo/aggettivo deve assumere un tono tenero. Dunque pancia sarà “pancino”; naso sarà “nasino”; guancia, “guanciotta”; bocca, “boccuccia”; fino a quando, travolti da quest’alone magico di tenerezza, trasformiamo il frutto di una sgradevolissima flatulenza (mi viene da ridere solo a scrivere questa parola!) in “puzzetta”, “piritino” (la radice della parola dipende dalla famiglia e dal quartiere); cacca in “cacchina”; e via così all’infinito.
Detto ciò, Marzo non può essere presentato a un bimbo dell’asilo come “Marzo, pazzo”, ma come “Marzo pazzerello”. Tornando ai miei 34 anni, adesso, non posso dire “Marzo, pazzerello”. Non per via dei 34 anni ma perché non esiste la parola “cazzello”. Che c’entra?
Ecco il gioco belleffatto (bello e fatto!)...Marzo, pazzerello non mi ha rotto il cazzello; Ma Marzo, pazzo mi ha rotto il... Esatto! Esatto! Adesso sì, possiamo cominciare a parlare seriamente.
Marzo, Oh Marzo! Se mi soffermo a pensare a ogni singolo giorno di questo splendido mese, l’unica imagine chemi viene in mente è: “Uranio in opposizione balla la lap dance con Venere. Marte, Giove e Saturno a causa di un’indiscutibile sbornia, invece di concentrarsi sull’energie positive, mettono banconote da 10 dollari negli slip degli altri 2. Piove, piove e piove. Per i sagittario sono finiti gli ombrelli! Che si arrangino pure...”
“Ok. Va tutto bene!”, mi sono detta all’inizio del mese mentre Lorenzo vomitava nella sua bacinella all 3 di notte. All 6 del mattino mi sono ripetuta la stessa frase mentre Maia urlava perché qualcosa che ignoravo aveva cambiato assetto cosmico...e Lorenzo continuava a vomitare nella sua bacinella.
Era venerdi. Dopo una settimana di duro lavoro, stava per cominciare un fine settimana di durissimo lavoro. Alla domenica pomeriggio, mentre Uranio, Plutone e Collione (è ciò che foneticamente rappresenta più da vicino il mio pensiero!) mi usavano come bersaglio nella lora sfida di lancio con le freccette, continuavo a ripetermi che la settimana sarebbe passata velocemente e presto sarebbe giunto il prossimo weekend e, SICURAMENTE, sarebbe andata meglio.


Non aggiungo altro. Non voglio nemmeno dirlo come sia andato l’altro week-end. E l’altro acora. E non lo faccio poiché, cedendo debolmente a una certa scaramanzia, temo che questa tragi-commedia possa finire con il prendere il sopravvento!

Nonostante tutto, mantenendo il morale alto (mi viene in mente l’immagine di chi alza il mento per evitare di finire con la testa sott’acqua), siamo arrivati ad Aprile.


Per questo motivo, mi sento emozionata dall’arrivo di una primavera che pone fine a un non-inverno canadese. Mentre guido, scorgo le prime gemme sugli alberi. I primi aceri in fiore, i primi salici piangenti che tornano a sorridere. Ma, anche qui, un atroce dubbio. Percorro il viale di casa mia e la fila di alberi in fiore si arresta esattamente al numero civico 259. Dal 259 al 283 gli alberi sono spogli, spoglissimi. Dal 285 in poi fino all’angolo della strada gli alberi pullulano di gemme che mi sento alla Sagra del Mandorlo in Fiore di Agrigento[1]...se non fosse che vivo a Vaughan (per gli italiani, da pronunciare Voon).


Vi chiederete se io non stia dando i numeri[2]...Abito al 279.


Ho detto tutto!



[1]La Sagra del Mandorlo in Fiore è una tradizione popolare che si svolge ogni anno ad Agrigento. Con questa occasione, si vuole celebrare l’imminente arrivo della primavera annunciato dal il rifiorire dei mandorli. Consiglio di cercare alcune immagini su Google.
[2] “Dare i numeri” (per i miei amici canadesi) vuol dire letteralmente “to give numbers”. Il significato, in questo contesto, potrebbe essere “to talk nonsense”. J

giovedì 26 aprile 2012

Dolci memorie..."The Ghost of Tom Joad nell'America di Bruce Springsteen"



Capita proprio così. Almeno, nella mia vita. Per anni, per mesi mi sono ripetuta che avrei dovuto  riprenderla quella tesi scritta con Passione, Amore per la ricerca, per l’analisi, per la lettura. Eppure, ogni volta che l’osservavo sullo scaffale della mia libreria, della mia nuova vita, nella mia nuova casa, nella mia nuova città, del mio nuovo Paese, era sempre la stessa storia. I battiti del mio cuore acceleravano come quando ci si sente in colpa nel non riuscire a mantenere una promessa fatta a un bambino e non si sa quali parole scegliere per comunicargli la brutta notizia.

Il confronto può apparire esagerato. Non lo è. Perché quando qualcosa nasce dall’Amore, dalla Passione ed é nutrita con onestà intellettuale, quell’opera è un’opera d’arte della tua vita. È ciò che ti ha tenuto compagnia per un periodo più o meno lungo...qualcosa che, nella migliore delle ipotesi, ti ha aiutato a provare la GIOIA.

Oggi ho trovato il coraggio di aprire quella copertina...di leggere quelle parole, le mie parole e,  con mio grande stupore, provare la stessa identica emozione di cinque anni fa. Forse non sarò mai una scrittrice famosa. Ma...sono e sarò una scrittrice di cuore.
"The Ghost of Tom Joad
nell’America di Bruce Springsteen


Claudia Buscemi Prestigiacomo

INTRODUZIONE


            Alla luce della domanda che mi è stata più volte posta sul perché avessi scelto un cantante come autore da analizzare, in questa introduzione è mia intenzione spiegare, innanzitutto, cosa mi abbia spinto in questa direzione.
In primo luogo, sicuramente, a prevalere è stato il forte desiderio di mettermi alla prova.
La tesi di Laurea, ai miei occhi, si è trasformata nella prima vera opportunità di mettere a frutto quanto appreso in questi anni di studio. Di fatto, la tesi è la prima occasione, per uno studente universitario, per conoscersi e farsi conoscere realmente; è la prima, e forse ultima, occasione in cui ci si ritrova dall’ “altro lato”. Per la prima volta si è autori di un testo che verrà analizzato, e dinanzi al quale si ha la responsabilità di esprimere nel modo migliore dei concetti che, a partire dalla propria mente, devono trovare espressione nelle parole. La letteratura mi insegna quanto ardua sia questa impresa.
            Alla luce di quanto fin qua detto, era, dunque, necessario per me scegliere un argomento, un autore, un testo che mi desse la possibilità di dar vita ad una serie di analisi, in un certo senso, inedite. Un argomento che mi offrisse sì sufficiente materiale bibliografico, ma, soprattutto, piccole tracce da sviluppare, piccole fonti nelle quali immergermi completamente, per poi uscirne con una nuova consapevolezza: aver provato per una volta ad annullare completamente il mio essere e aver guardato il mondo con gli occhi di un’altra persona.
            Bruce Springsteen è entrato un po’ per caso nella lista delle mie preferenze e, dopo aver ipotizzato vari sviluppi a seconda dei testi presi in considerazione, mi è parso un buon argomento per il mio lavoro. Non si tratta naturalmente di analizzare Springsteen e i suoi testi in generale, impresa che richiederebbe anni di studio, ma si tratta di un piccolo approccio alla visione del mondo di questo cantautore, soprattutto nei confronti di uno solo, tra i tanti, degli argomenti da questi affrontati nell’arco della sua lunga carriera: il viaggio dell’uomo alla ricerca di una “Promised Land” che, forse per sempre, gli verrà negata dalla stessa Storia.
Quale miglior esempio dell’album The Ghost of Tom Joad?
            All’inizio del mio lavoro, pur avvertendone le potenzialità, non sapevo esattamente in che tipo di universo avrei cominciato a viaggiare. Non sapevo esattamente verso cosa mi avrebbero portato le analisi dei suoi testi. Le mie perplessità sono state presto superate, soppiantate da emozioni forti e riflessioni importanti. La musica e, soprattutto, i testi letti e riletti mi hanno catapultata in un universo del quale non si può non tenere conto. Mi hanno fatto vedere realmente ciò che accade oltre il muro della normalità che cinge solitamente le nostre case mentali.
            I testi analizzati, la ricerca delle fonti cui Springsteen ha attinto, la lettura ed analisi di quest’ultime hanno finito col segnare la mia stessa consapevolezza: tutti siamo in grado di parlare dell’esistenza di realtà amare, di emarginazione sociale e razziale, di povertà e crolli dell’economia. Tuttavia, pochi, nel quotidiano (e forse è pure normale che sia così), riusciamo a mantenere tale lucidità, riusciamo a spingerci oltre la sola consapevolezza dell’esistenza di realtà altre rispetto alle nostre.
            The Ghost of Tom Joad è un album che ha lasciato un segno indelebile sulla mia persona. La verità è che se all’inizio del mio lavoro pensavo di riuscire a vedere il mondo con gli occhi dell’autore, alla fine di questo mi sono ritrovata a guardare il mondo con gli occhi di migliaia di persone, quelle stesse cui Springsteen ha concesso un momento di “gloria” o, semplicemente, l’opportunità di ricordare al resto del mondo della loro triste esistenza. Alla fine, alla visione di un universo parallelo si è aggiunta la sofferenza nel provare il loro dolore, la loro frustrazione, quell’amara tristezza che attanaglia l’anima quando si è consapevoli di subire un’ingiustizia ed altrettanto consapevoli che ciò interessa solamente a pochi.
            L’album in questione, infatti, nacque dal profondo desiderio di Springsteen di comprendere e far conoscere realtà spesso ignorate. Nacque dal bisogno di analizzare le dinamiche che sottendono certe realtà sociali che vanno a minare il terreno su cui poggia quell’idea, largamente diffusa, che vede negli Stati Uniti il luogo in cui la realizzazione di ogni sogno è alla portata di chiunque sia armato di buona volontà.
            Tale indiscutibile sensibilità verso la realtà contemporanea emerge già nella scelta del titolo dell’album. Infatti, a partire dalla citazione di un personaggio della letteratura, il Tom Joad del premio nobel Steinbeck, Springsteen ha dato vita ad un’ opera dai risvolti sociali notevoli.
Per il modo in cui le varie tematiche vengono affrontate e per la natura delle stesse, Tom Joad finisce con l’assurgere a simbolo di una condizione umana, simbolo dell’uomo contemporaneo costretto a lottare per il rispetto totale della sua dignità. Diviene simbolo della lotta per la propria tutela, innanzitutto, in qualità di essere umano, in una realtà, come avremo modo di vedere, in cui può essere  negato finanche il più “piccolo” dei diritti: l’appartenenza totale a una comunità.
            Bruce Springsteen dunque, riprendendo un personaggio della letteratura vissuto nel periodo della Grande Depressione, ne ripropone il viaggio in un’ambientazione contemporanea. Tale “viaggio” lo porta a mettere in luce le storie cupe ed amare di uomini che, per un motivo o per un altro, si ritrovano a vivere ai margini della società. Le storie di uomini che, per motivi diversi, rappresentano l’altra faccia del “Mito Americano”, del quale, di conseguenza, vengono implicitamente sottolineate tutte le contraddizioni.
Una delle cose sicuramente più interessanti, al di là della profondità dei temi trattati, è il ricorso da parte dell’artista a numerose fonti di natura diversa e, soprattutto, la rielaborazione ed attualizzazione di queste per i propri fini.
In tal modo, ci si ritrova in un universo popolato da clandestini messicani, xenofobi, uomini che hanno partecipato attivamente alla realizzazione del “Mito Americano” e che, improvvisamente, per “oscure” dinamiche economiche, ne sono stati tagliati fuori.
E ciò che più conta, come già accennato, è che non si tratta di personaggi nati dalla fantasia o dagli incubi di un artista, ma di uomini e donne, i cui volti sono facilmente rintracciabili ripercorrendo a ritroso le stesse fonti considerate da Springsteen.
In altre parole, come Tom Joad di Steinbeck non è altro che uno dei tanti uomini conosciuti da quell’autore durante una sua ricerca sul campo, similmente i personaggi di Springsteen sono i figli, in carne ed ossa, di un Paese che, ad un certo punto, li ha considerati “di troppo”. Sono uomini con un’identità precisa e le cui vite non hanno bisogno di essere rese “speciali” dal pennello magico di un artista che ha, ampiamente, dimostrato di saper mantenere il suo sguardo fisso su un paesaggio eterogeneo quale quello statunitense.
The Ghost of Tom Joad, dunque, è il ritratto tanto amaro quanto realistico di una realtà, che la sensibilità di Springsteen ha saputo rappresentare in tutte le sue sfumature, con una chiarezza e semplicità disarmanti. Encomiabile è anche il fatto che, per poter fare tutto ciò, l’artista ha deciso di sparire dietro le figure dei tanti protagonisti, lasciando a questi stessi il triste compito di narrare la propria storia in una prima persona, che, però, pur nulla togliendo alla loro individualità, si carica di una valenza sociale non indifferente, raggruppando in sé la storia di centinaia come loro, i quali dalla speranza di poter vivere nella magica terra di “Utopia” si sono ritrovati catapultati nel suo opposto: la distopia, l’incubo, l’incertezza.