"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)



"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)



sabato 30 gennaio 2010

Ullallààààààààààà!



… “il divertimento è assicurato!”, mi ripetevano imperterriti i folletti della mia fantasia. Ogni giorno, stranamente, oltre ad essere un giorno nuovo (la Natura si sa, difficilmente cede ai capricci di noi mortali!), è stato anche e soprattutto identico al precedente. Ogni sera il pianto di Maia e la sua inconsolabile nenia caratterizzata da un “Papààààà, papàààà, papààà!” che, ringraziando il cielo, dall’al di là dell’Oceano ci aggiornava sui suoi progressi da diciottenne. “Ho preso la patente!”. “Braaaaaaaaaaaaaavoooooo!”. “Ho trovato casa!”. “Braaaaaavoooooooo!”. “Ho fatto il test e ho preso 8”. “Braaviiiissiiiiimo!”


E la consorte? Non mi riferisco, ovviamente, alla sposa che probabilmente un troppo diligente governo canadese gli ha affiancato al momento del “landing” per evitare che il nostro overqualified newcomer si sentisse troppo solo, ma alla sottoscritta. La consorte, continuando seppur vanamente a consolare la piccola fiammiferaia palermitana, si è sbattuta a destra e manca nel tentativo complicatissimo di svuotare una casa enorme dove gli oggetti, come gremlins continuavano e continuano a moltiplicarsi. L’amia mi darà un premio speciale per la sovrapproduzione di immondizia che sono riuscita a racimolare nel giro di una sola settimana. Non c’è stata sera infatti nella quale il mastro lindo che vive in me non abbia scaricato e caricato e scaricato sacchi condominiali dapprima in macchina e poi direttamente nei cassonetti di Partanna. In pratica, secondo me, tutta Partanna Mondello si chiede ancora come fosse possibile che dei sacchi neri della spazzatura fossero in grado di guidare una Citroen C3 senza che la polizia facesse qualcosa per scoprire l’arcano.


Ma questa, tuttavia, è solo la punta di un iceberg (non mi riferisco questa volta all’appartamento che mi accingo a lasciare). Non bisogna dimenticare che la “portualla” in questione è anche madre di due splendide creature. Ogni sera arrivando a casa, dunque, dapprima sono stata (e continuo ad esserlo) accolta da Maia con un sonoro “Papàààà!” e, poi, da un Lorenzo al quale sono evidentemente spuntati i tentacoli. Ogni sera dunque, prima di concedermi una doccia bollente fissando il vuoto e dondolandomi avanti e indietro, mi sono dovuta accollare le cene dei bimbi che avevano bisogno della loro mammina…una lunga passeggiata nel lungo corridoio di casa dei miei suoceri sempre con il suddetto Polpetto Lorenzo avvinghiato alla gamba che, avendo scoperto il divertimento insito nello stare appiccicato alla gamba di qualcuno per farsi trascinare in giro per il mondo, ha voluto mettere alla prova la mia prestanza fisica e quella del mio gastrocnemio e, dulcis in fundo, preparare la torta per la festa all’asilo con tanto di smarties e decorazioni di zucchero a velo celeste!


Sti cazzi!...direbbe un filosofo greco. Qualcuno di voi, leggendo quanto scritto e volendomi immaginare all’opera, probabilmente mi vede comodamente seduta davanti al pc e tutta concentrata a mettere in ordine le idee. Nulla di più sbagliato. Al momento, mi trovo in piedi in quella che rappresentava la lavanderia di casa i cui segni del suo precedente uso possono solamente dedursi dagli unici due amici rimasti a tenermi compagnia: una spugna e un detersivo per i piatti. Inutile dire che anche la loro esistenza, al momento, ha cessato di avere un senso, uno scopo. Piatti da lavare non ce n’è! Né tantomeno ci sono suppellettili, mobili, sgabelli a disposizione. In questa casa siamo rimasti in pochi e mi permetto di usare il plurale solo perché al netto del totale sono inclusi gli spifferi. Quando me ne sarò andata anche io, rimarranno solo loro.


Oggi è un giorno importante dal quale mi pare di intravedere un piccolo barlume di luce…un guizzo, uno scintillio al termine di un lungo tunnel che, se tutto va bene, dovrebbe portarmi al di là dell’Oceano. Ma prima di arrivare alla fine, si sa, la strada è stata e mi pare ancora un po’ lunghetta e non vorrei che quel luccichio fosse in realtà la torcia a pile di qualcuno che si è perso anni or sono e, come me, vaga alla ricerca della meta.


Come già detto precedentemente, le lezioni apprese in questo tour de force nel mondo degli spostamenti transoceanici sono state innumerevoli e poiché ritengo che uno degli aspetti di maggiore rilievo sia rappresentato dalle relazioni interpersonali con brevi ma intensi excursus di natura socio antropologica, ritengo sia il caso di dedicare un post a parte a tutte le persone conosciute in questi giorni di puro sbattimento.


Tuttavia, vorrei lasciarvi con una riflessione che da un paio di giorni attanaglia la mia mente: perché un uomo, traslocatore di professione, sente l’esigenza di portare con se un parrucchino brizzolato? Rifletteteci mentre io, sotto una pioggia battente, mi auguro di non dover assistere all’ultimo allagamento della lavanderia. Sarà che la spugnetta di cui sopra è solo un segno inviatomi dal cielo per prepararmi a una nuova grande avventura?

giovedì 28 gennaio 2010

Poche parole...


Quando ci si diverte il tempo sembra letteralmente volare. Questo è la storia che mi piacerebbe tanto poter raccontare. Ma si sa, la realtà è sempre diversa da come si presenta nei nostri pensieri. Chissà poi perché, nel mio caso, è quasi sempre peggiore.
Il “quasi” dipende solo dal fatto che “al peggio non c’è mai fine” anche se “cchiu scuru ri mezzanotte un po’ fari”.
Premesso ciò ci tengo subito a precisare che giungo dalla camera da letto dove, dopo una lunga lunghissima giornata di lavoro vissuta nella spasmodica attesa di rivedere le stelle, la piccola Maia si è appena addormentata dopo averci deliziato con un angosciante pianto da sindrome d’abbandono.
Perché è così che trascorriamo le nostre giornate. Tra uno scatolone e lo smontaggio di quattro, dicasi quattro condizionatori d’aria non c’è volta in cui un lamento, un pianto, un sospiro o un singhiozzo della nostra piccola sedotta e abbandonata non ci tenga compagnia.
Prima che il marito, compagno di avventura, si mettesse in viaggio verso la terra le cui strade, come tutti ben saprete, sono lastricate d’oro e miele, si è lavorato tanto in casa. Scatolone dopo scatolone (150 per l’esattezza), pagina dopo pagina per stilare la lista bilingue dei nostri averi, sembravamo essere giunti quasi al termine (o all’inizio a seconda dei punti di vista) di un lungo, lento processo cominciato all’incirca due anni e mezzo fa.
Strano, furba e brillante come sono, che non abbia in realtà colto quei campanellini d’allarme che avrebbero dovuto mettermi in guardia su ciò che in realtà mi aspettava. Uso quel “mi” non per una questione di egocentrismo (qualità per la quale non mi reputo avara) ma perché, di fatto, la cosa riguarda solo me rimasta al di qua del confine nell’attesa che il pioniere di casa trovasse un giaciglio per l’allegra combriccola.
Eppure, a pensarci bene, avrei dovuto capire tutto (impedendo quindi il viaggio in solitaria del consorte) lo scorso 17 Gennaio, giorno seguente ai mega festeggiamenti per il compleanno della nostra piccola principessa…posseduta.
Erano appena le nove del mattino, una di quelle mattine in cui ci si sente particolarmente sbattuti e inutili per la società, quando mi ritrovai la casa invasa non più solamente dagli scatoloni, dai festoni, dalle briciole di torta al cioccolato e i palloncini sgonfi di una Cinderella post sbronza, ma da un vero e proprio sciame di cavallette. Una delle piaghe d’Egitto era stata dirottata direttamente su Partanna Mondello ed io, testimone oculare di siffatto evento, non potevo che assistere impotente a quanto avveniva sotto i miei occhi.
Volevo solo scaldare il caffè e mettermi al lavoro. Mi ritrovai con una tazzina di caffè gelido in una mano e un cacciavite a stella in un altro. Non capii molto di ciò che stava accadendo. So solo che nel giro di un paio d’ore mi ritrovai senza, in ordine: un forno a microonde (da qui il caffè gelido), tutte le plafoniere di casa, sostituite da lampadine impiccate a tristissimi fili neri, una piantana, un impianto home theatre, un lettino da campeggio e, dulcis in fundo, l’angoliera della cucina.
In quell’istante avrei dovuto comprendere che mi aspettavano tempi bui e … gelidi.
E così, piano piano, è arrivato il giorno della partenza del marito e mentre tutti eravamo preoccupati per la reazione che il figlio quattrenne avrebbe avuto a seguito della partenza del suo caro Papà… il piccolo angelo di casa mi preparava un pacco colossale!!!
In altre parole, è dallo scorso venti Gennaio che in questa casa il tempo pare essersi fermato. In questo senso è un po’ colpa anche del maritino il quale, inspiegabilmente, ha pensato bene di staccare l’orologio dalla parete della cucina lasciando al suo posto l’ombra che questi ha lasciato nel corso degli anni.
Cioè, io proprio non capisco cosa abbia spinto Ale a preoccuparsi di staccare l’orologio a parete piuttosto che contare, che so, il numero di valigie che lo attendeva davanti la porta di casa. Dopo la sua partenza si è discusso a lungo di questa sua strana manovra diversiva. Volendo ricostruire i fatti, le nonne hanno stabilito che: il nostro espatriato alle ore 3 e 5 minuti (l’ultimo avvistamento dell’orologio da parte di una testimone risale alle 3 a.m.) abbia deciso di staccare quell’orologio. Una delle nonne volendo assicurarsi che non fosse passato troppo tempo dall’ultima “occhiata”, guardando la parete in questione si ritrovò davanti solamente la sua sindone. Cerca di qua e cerca di là, l’orologio venne presto rinvenuto sul pavimento della cameretta dei bimbi (anche qui atroci dubbi sul perché l’emigrante abbia ritenuto opportuno collocarlo sul pavimento al centro della stanza con le lancetta rivolte verso il soffitto!). Nel sincerarsi che stesse bene e che potesse essere rimosso dal luogo del delitto, le nonne detective dovettero presto arrendersi all’evidenza: l’orologio era morto! Deceduto! Forse per un improvviso attacco cardiaco o forse per assideramento. No! Il nostro Robinson Crusoe canadese, alle 3 del mattino, al freddo e al gelo voleva superare se stesso e, per questo, aveva deciso di staccarne finanche la pila!...quest’ultima, INTROVABILE!!!!
Ed è per questo che, ribadisco, io avrei dovuto capire tutto. Arresami dinnanzi all’evidenza ho voluto far finta di niente, accettare la piccola inconscia marachella del maritino e proseguire, alla meno peggio, nell’organizzazione di questa mobilitazione transoceanica!
…segue...

mercoledì 27 gennaio 2010

Sesta

Sesta, all´anagrafe “Sesta, Misura”, perse il suo secondo nome al tempo in cui venne stabilito che i nomi dopo le virgole non valevano piú.
A Sesta piaceva: indossare camicie perfettamente stirate; piacere al prossimo, averne il domino, e poterlo considerare inferiore a se stessa; ascoltare Michael Jackson; menarsi da sola.
A Sesta non piaceva: essere contraddetta; l´insubordinazione; quando il suo menarsi da sola non sortiva l´effetto desiderato sul prossimo.
Nessuno capii mai il suo ruolo all´interno del Villaggio, chiaro era solo che lei intendeva governarlo.
Ricordo ancora con compassione, di quando mi riferí di come le facessero male i piedi a causa mia. Si, a causa mia, perché se io avessi adempito a tutti i miei doveri, lei non avrebbe dovuto sbatterli piú volte per la disperazione. La piccola Sesta nel raccontarmi ció, di certo non consideró il mio paese di provenienza, ovvero un paese in cui le donne molto spesso amano pestarsi da sole, per far sentire gli altri colpevoli dello stato delle cose. Ricordo ancora la telefonata di una donna disperata che aveva minacciato di togliersi la vita con il solo aiuto di un antidolorifico. Naturalmente nessuno le credette mai.
Quindi per riassumere, mi limiteró a dire che la povera Sesta cascó un pó male.
Sesta.

Sesta Sestina, come sei bellina,
ma perché non usi anche quella tua testolina?
Di ingiurie e maledizioni son pieni i tuoi discorsoni.
La gente non ti vuol ascoltare,
ma tu non lo vuoi accettare.
Allora corri corri e vai, che la strada tu la sai.
Nessun piú ti troverá, ma giá questo basterá!

Sesta, Sistuzza, no, non piangere! Dai, vedrai che un giorno riuscirai a governare il mondo, o almeno il tuo minuscolo cosmo.

Intanto una macchina esce dal parcheggio, volume dello stereo al massimo: “What is loveee? – Baby don´t hurt me – Don´t hurt me, no moree!!”. Sterminator ha finito il suo turno, e sta andando via ascoltando, e condividendo con noi, il suo pezzo preferito!

giovedì 21 gennaio 2010

La Scema del Villaggio

Ogni villaggio che si rispetti ne ha uno, o, da quando c´é la paritá dei sessi, una: La Scema del Villaggio.
Io, anche se non l´ho ancora ufficialmente detto, sono stata sempre una persona molto fortunata.
Dunque, fortunata come sono, La Scema del Villaggio non poteva che essere la mia, e solo mia, compagna di stanza.

Io non capii subito di trovarmi “a letto col nemico”, ma lei perseveró sino a che non dovetti rassegnarmi. Tempo massimo consentito tre mesi, tre mesi per capire, per capire che La Scema del Villaggio, oltre che essere degna del suo nome, era pure un pó psicopatica.
Ricordo ancora di quanto le piacesse spogliarsi, restando completamente nuda, per salire sulla scala e risistemare il suo armadio. Noi, che eravamo solo donne in stanza, eravamo non solo obbligate a vedere mal volentieri le sue grazie, ma anche a muoverci in quella stanza di pochi metri quadri, come se non fosse.
I nostri piccoli screzi iniziarono a causa dell´italiano. Si dia il caso che lei parlasse solo quasi in dialetto, e che da sola avesse deciso che io la deridessi. Complessi di inferioritá? Traumi infantili?
Nessuno saprá mai rispondere con certezza a queste domande. Comunque sia, inferioritá o no, La Scema del Villaggio, inizió con un tentativo di amicizia, del tutto poco credibile, che sfoció in una sfuriata cosmica tre settimane dopo. Motivo? Cito e traduco: “Ma chi ti credi di essere tu?? Sono stanca di pararti il BEEEEEP, capito?? Mi hai stancata con le tue chiacchere!!”.
A questo sfogo, (ci tengo a dire che non ebbi mai la possibilitá di replicare!), seguirono angherie di tutti i tipi. Per esempio una mattina appena sveglia, tentai di prepararmi il mio solito espresso. Messo il caffé, mi accorsi che non c´erano piú i bicchierini di plastica...finiti? Mi ricordo di avere un bicchiere da birra nell´armadio, e penso che tenendolo inclinato io possa riuscire ad avere il mio caffé. Dopo un pó “la macchinetta” inizia a fare un rumore insolito. Guardo. Qualcuno aveva tolto tutta l´acqua. Indovinate un pó chi era la colpevole? Certo, e chi altrimenti? Tra le quattro lei era l´unica, che potesse ignorare il fatto che la proprietaria sarebbe andata su tutte le furie: “Senza acqua da scaldare la macchina si BRUUUUCIAAAA!!!” . Povero scricciolo!!! Naturalmente lei, tra le tante cose, non poteva neppure sapere, che non avrei rinunciato cosí facilmente al mio caffé delle 6 del mattino prima di andare a lavorare!
Cosí come se niente fosse, andai in bagno a recuperare un pó di buona acqua dal rubinetto, insomma sicuramente non potabile...:)

Ma tutto ció avvenne dopo. Dopo, che presentateci, iniziammo a conoscerci. Dopo una brillante conversazione, nel corso della quale erano state messe a confronto le rispettive cittá...o per meglio dire la mia cittá e il suo paese. Forse la parola “confronto” in questo caso é inappropriata, piuttosto parlerei di interrogatorio: lei faceva le domande!
Prima domanda: “ma nella tua cittá la Benetton esiste??” . Io mi limito a rispondere di si, aggiungendo ironicamente che peró mancano gli autobus... “E come fatee??”.
Io tra l´incredulo e il frustrato le ho spiegato che stavo scherzando, ma lasciandomi prendere dal gioco, ho aggiunto che, ahimé, non ci sono le banche. Risposta? “Ma veraamente?? E come fate?”.
Mi sono voltata per non farle vedere le lacrime: stavo ridendo come mai!!
La fine a questa conversazione venne posta dall´altra coinquilina, detta Concordia, che le fece una lezione sulle cittá. Chiaramente ció non sembri superfluo...
Io non scorderó mai quegli occhi azzurri a palla, il cui vuoto non é paragonabile, per estenzione, neppure all´intero universo, ne tanto meno quella scarpa lanciata dal balcone, che dovetti recuperare
con un piede scalzo, per l´appunto, tra l´erbetta fresca, appena innaffiata del giardino, ovvero altro piccolo scherzo di lei. Lei, la sola, la reginetta dei peli superflui, lei l´unica capace di meritarsi il titolo di Scema del Villaggio, dove “del Villaggio” é il cognome...un pó come per Antonello, Antonello da Messina:)

venerdì 15 gennaio 2010

Sforbicia

E poi c´era anche lui: Sforbicia!
Cosí veniva chiamato per la sua abilitá, non comune, di “sforbiciare” con le gambe sul campo di calcio.
Non essendo un´intenditrice di questo sport, non riuscii mai a catturare questa immagine mitica e un pó sfocata che probabilmente vedeva questo atleta muoversi al rallentatore agitando le gambe, come a dare ginocchiate all´aria, mentre con destrezza cercava di non farsi fregare il pallone dall´avversario. Per rendere l´immagine piú nitida poi bisognerebbe tenere in considerazione un altro elemento fondamentale: i capelli di Sforbicia! Un caschetto castano chiaro che di certo in nessun caso sarebbe passato inosservato, quasi mi verrebbe da pensare al taglio sbarazzino di Nino D´Angelo (lui pare sia stato un punto di riferimento per miliardi di persone!!). Cosí come tutto il resto del corpo, anche i capelli parevano seguire e accompagnare le leggendarie sforbiciate: volavano per aria per poi posarsi nuovamente e ricadere sulla fronte (a Sforbicia piaceva portare la frangia), giusto in prossimitá dei grossi occhiali, che nonostante il nastro adesivo per tenerli insieme messo al centro, non lo abbandonarono mai, sempre fedeli a quel buffo naso aquilino...Io l´ho sempre immaginato cosí il caro, anche se poi non tanto, Sforbicia all´azione.
Se qualcuno di voi ha mai avuto una cosí mirabile visione, allora sappiate che si trattava proprio di lui, del mitico Sforbicia, che in quei del Villaggio fece sognare molti!