... e che il Cielo ce la mandi buona...
When Two Overqualified Fingertips Have Something to Reveal...
"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)
"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)
giovedì 31 dicembre 2009
mercoledì 23 dicembre 2009
Se io non ho le parole qualcun altro le ha per me...
...avevo voglia di pubblicare qualcosa...ma cosa? ("Non è proprio fame, ma voglia di qualcosa di buono..."). Mi sarebbe piaciuto fare gli Auguri di Buone Feste in modo originale! Non essendo riuscita a farlo, mi avvarrò del diritto di citare:
"Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due".
G. Orwell
Naturalmente non ha niente a che vedere con il Natale, o forse si...Oh! Vedo la luceeee, la veeedoooooooooo!!!!!!!!
"Dodici voci si alzarono furiose, e tutte erano simili. Non c'era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali. Le creature di fuori guardavano dal maiale all'uomo, dall'uomo al maiale e ancora dal maiale all'uomo, ma già era loro impossibile distinguere fra i due".
G. Orwell
Naturalmente non ha niente a che vedere con il Natale, o forse si...Oh! Vedo la luceeee, la veeedoooooooooo!!!!!!!!
giovedì 17 dicembre 2009
Forza e coraggio!
A volte guardando i miei pupattoli penso che, tutto sommato, non sarebbe brutto avere tre figli. I bimbi sono belli, ingenui ed astuti, capaci di farti commuovere e piangere di gioia come forse nessun altro nella vita di un uomo. In tal senso penso a Lorenzo quando, poche settimane or sono ed evidentemente accettando rassegnato l’idea che tutti cresciamo e invecchiamo, mi comunicò mentre eravamo distesi al buio della sua stanzetta con uniche testimoni le stelline fluorescenti: “Mamma, l’ho capito che dobbiamo crescere tutti. MMMM, l’ho capito che quando io crescerò, tu diventerai anziana … però mamma, non preoccuparti … quando morirai io ti penserò tutti i giorni e ti vorrò per sempre bene!”. “Sigh!” … “Grazie amore mio. Sogni d’oro anche a te!”
Per fortuna però, all’improvviso ma non troppo, accade qualcosa che immediatamente ti riporta con i piedi per terra e ti costringe non a prendere precauzioni ma, addirittura, fare astinenza pur di non incappare in quella trappola di tenerezza rappresentata da un fiocco rosa o celeste appeso dietro la porta di una clinica e dietro la quale si celano, di tanto in tanto, mille, duemila, tremila insidie. Sono tutte trappole, tranelli orditi da qualcuno che sta ai vertici e che, periodicamente, decide di concederti un paio d’ore di puro sbattimento per mettere alla prova tutti i tuoi neuroni e la tua pazienza … ammesso che la vita te ne abbia fatto dono.
Puro sbattimento. Una di queste occasioni si è prontamente verificata un paio di sere fa. Tornati da una lunga passeggiata pomeridiana e decisamente infreddoliti dalle temperature estreme trovate dentro casa (chiunque ci abbia fatto visita nel periodo invernale capisce bene perché non ci spaventa il freddo canadese!), decido di accendere il camino. Qual meraviglia più di una serata invernale e piovosa riscaldata da una scoppiettante fiammella. A me, quando va bene, riscalda pure il cuore e mi fa amare il mondo intero. Mi pare superfluo anticipare che la serata ha avuto però un prosieguo imprevisto. Altrimenti col ca… che avrei acceso il camino!
Essendo la mia piccola Maia al suo primo inverno interattivo e giustamente incuriosita da quella meraviglia ardente, è cominciata una sfilza di puntatine in direzione camino nel tentativo di familiarizzare con quello sconosciuto. Ad ogni rapido movimento sulle sue piccole ginocchia e braccia in direzione camino, seguiva un altrettanto rapido intervento paterno con un: “No! Maia no! Bua! Non si tocca!”… mia nonna direbbe: “L’acqua mi vagna e u ventu m’asciuca” (L’acqua mi bagna e il vento mi asciuga!)per descrivere la reazione della piccola a quel terribile rimprovero paterno. Il nulla. In altre parole, era come se Ale parlasse tra se e se , sottovoce, dato che la piccola harakiri non si curava minimamente del monito!
Sembrava una sorta di balletto: 4 arti trotterellavano in direzione camino accompagnati da un gridolino di gioia; “Maia no! Maia no! NO! NOOOOOOOOO! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”; un saltello del Papà e la cucciola veniva riposizionata al punto di partenza nella speranza di una sua resa. Inutile dire che non c’è stata!
Io, nel frattempo, cercavo di organizzare una cena degna di questo nome e intrattenevo Lorenzo che, stranamente (mento sapendo di mentire!), fu colto da un improvviso attacco di logorrea. Un urlo: “BAAAAAAAAAAASTAAAAAAAAAAAAAAAA! HO DETTO NOOOOOOOOOOOOOOO!” … silenzio … “BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!”, e comincia per davvero la nostra serata col pianto inconsolabile di HARAKIRINA offesa dalle parole del padre che, dati i decibel, questa volta non poteva di certo ignorare.
Bloccata davanti il camino, Maia lo fissava, mi fissava, poi metteva la testa all’indietro come solo Sophia Loren saprebbe fare e piangeva in modo inconsolabile. Una sbirciatina alla mia reazione e poi di nuovo: testa indietro e “Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”. Un’altra sbirciatina verso Lorenzo, testa indietro e: “Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!”. E così per mezz’ora. Nel frattempo Lorenzo, attratto da quell’involontario ritmo creato da Maia, decide di partecipare attivamente al concertino contribuendo con balletti e simulazioni di vari tipi di pianto.
A quel punto, cominciai ad avvertire una strana sensazione che mi partiva dal centro dello stomaco. Un bruciore, una pressione, una sorta di istinto omicida. Niente più freddo. Caldo. Calore. “Uno, due, tre…Il repiro mi respira…Il respiro mi respira…”, mi avevano insegnato al corso pre-parto durante le lezioni di RAT (training autogeno). Uno sguardo a Lorenzo che, intuendo il mio stato ma non nella sua totalità, decide di trasformare quella simulazione in una simulazione in playback .
Riepilogando: un fuoco scoppiettante piantonato da un papà furente; un tappeto orientaleggiante con una bimba isterico-piangente; un bambino ridente che in playback finge di essere un cantante e, dulcis in fundo, una mamma morente sotto il peso di uno stress snervante che cerca di cuocere una scaloppina scoppiettante! Sti cazzi!
La cena è pronta. Maia nel suo seggiolone interrompe il suo pianto solo per mangiare. Lorenzo mangia, lamentandosi ad ogni boccone, la sua fettina di carne che giusto quella sera non è di suo gradimento. Alessandro, di fronte, pallido e muto cerca di concentrarsi su quella “cazzo d’insalata della cazzo di dieta” (non l’ha detto ma gli si leggeva su quel labbro inferiore poggiato sul piatto schiacciato dal peso della depressione serale!). La sottoscritta che, con un filo di voce, canticchia una canzoncina a Maia per cercare di sedare quel pianto e la imbocca nel tentativo che la bimba dimentichi quel brutto incidente nel quale quel brutto papà monello e cattivo le ha impedito di trasformarsi nella torcia olimpica delle olimpiadi invernali di Vancouver!
Piano piano, lentamente, pare che tutto stia tornando al proprio posto. La principessa suscettibile, finalmente, è concentrata sulla sua cena. Lorenzo mangia in silenzio. Alessandro recupera la lucidità e con infinita dolcezza mi dice che non appena Maia avesse finito il suo pasto, se ne sarebbe occupato lui per far sì che io potessi cenare.
“Vado a prendere un po’ di legna fuori!”. Queste le penultime parole di Alessando. Le ultime furono: “Ma che cazzzzzzooooooooo è?! Noooooooooo. Tutta la lavanderia allagata!”
Gli infissi esterni della lavanderia di questa meravigliosa casa che ci ospita da quasi cinque anni non avevano retto sotto il peso della pioggia battente che nel pomeriggio si era abbattuta sulla città. Risultato: una lavanderia allagata, una cesta della biancheria fradicia con tutta la biancheria al suo interno fradicia. Una bimba che, ripensando al fattaccio, ricomincia a piangere e un bambino forte come un Power Ranger, tenace come Ben Ten e coraggioso come solo un bambino di 4 anni che si spaventa del buio sa essere, che piagnucola perché deve fare la pipì ma non se la sente più di percorrere da solo un corridoio degno di “Shining” nella pur remota possibilità che possa comparire un mostro che sicuramente saprebbe sconfiggere con i suoi pugni paralizzanti ma che, quella sera… solo quella però, non ha voglia di affrontare.
E la mamma? La mamma, seduta a tavola guarda la sua cotoletta alla quale con una smorfia di dolore augura: “Buonanotte”
Se tutto si fosse fermato a quanto detto, in realtà, non ci sarebbe nulla di così eclatante che un genitore medio non abbia mai sperimentato. Ma a noi piace stupirci. All’improvviso cambia il vento e chiunque conosca qualcuno che vive dalle mie parti, saprà benissimo che se a Palermo cambia il vento, a Partanna Mondello cominciano i guai. Tutti i fumi di tutti i comignoli della zona si sono concentrati nel soggiorno di casa mia e così, mentre PapAle guadava l’Hudson della mia lavanderia, Lorenzo lottava con i mostri della sua fantasia piagnucolando nel corridoio, ClaudiadiAle salvava la piccola Harakirina che sul tappeto si stava trasformando in una caciotta affumicata. Un’altra mezzora di puro sbattimento. Un’ora per cercare di riscaldare il soggiorno, andata letteralmente in fumo. Fumo uscito solo dopo l’apertura, nonostante il vento soffiasse a 100 km/h, di tutte le imposte della cucina-soggiorno trasformatasi di nuovo, nella hall di un igloo.
Erano solo passate due ore da quel rientro pieno di grandi speranze per la serata. I bimbi, finalmente, dormivano. Ale era un tutt’uno con il divano. Senza nemmeno guardarci negli occhi, io però ridevo istericamente da sola, abbiamo deciso di andarci a coricare, dandoci le spalle e facendo ben attenzione affinché neanche il solo mignolo entrasse a contatto con il coinquilino. Un muro trasparente ci ha separati tutta la notte.
Il mattino seguente, sospinta dall’invitante odore di caffè caldo giungo in cucina e chi ci trovo? Alessandro senza barba. “Scusa, ma quando l’hai fatta?” “Ieri sera!”… silenzio.
Per fortuna però, all’improvviso ma non troppo, accade qualcosa che immediatamente ti riporta con i piedi per terra e ti costringe non a prendere precauzioni ma, addirittura, fare astinenza pur di non incappare in quella trappola di tenerezza rappresentata da un fiocco rosa o celeste appeso dietro la porta di una clinica e dietro la quale si celano, di tanto in tanto, mille, duemila, tremila insidie. Sono tutte trappole, tranelli orditi da qualcuno che sta ai vertici e che, periodicamente, decide di concederti un paio d’ore di puro sbattimento per mettere alla prova tutti i tuoi neuroni e la tua pazienza … ammesso che la vita te ne abbia fatto dono.
Puro sbattimento. Una di queste occasioni si è prontamente verificata un paio di sere fa. Tornati da una lunga passeggiata pomeridiana e decisamente infreddoliti dalle temperature estreme trovate dentro casa (chiunque ci abbia fatto visita nel periodo invernale capisce bene perché non ci spaventa il freddo canadese!), decido di accendere il camino. Qual meraviglia più di una serata invernale e piovosa riscaldata da una scoppiettante fiammella. A me, quando va bene, riscalda pure il cuore e mi fa amare il mondo intero. Mi pare superfluo anticipare che la serata ha avuto però un prosieguo imprevisto. Altrimenti col ca… che avrei acceso il camino!
Essendo la mia piccola Maia al suo primo inverno interattivo e giustamente incuriosita da quella meraviglia ardente, è cominciata una sfilza di puntatine in direzione camino nel tentativo di familiarizzare con quello sconosciuto. Ad ogni rapido movimento sulle sue piccole ginocchia e braccia in direzione camino, seguiva un altrettanto rapido intervento paterno con un: “No! Maia no! Bua! Non si tocca!”… mia nonna direbbe: “L’acqua mi vagna e u ventu m’asciuca” (L’acqua mi bagna e il vento mi asciuga!)per descrivere la reazione della piccola a quel terribile rimprovero paterno. Il nulla. In altre parole, era come se Ale parlasse tra se e se , sottovoce, dato che la piccola harakiri non si curava minimamente del monito!
Sembrava una sorta di balletto: 4 arti trotterellavano in direzione camino accompagnati da un gridolino di gioia; “Maia no! Maia no! NO! NOOOOOOOOO! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!”; un saltello del Papà e la cucciola veniva riposizionata al punto di partenza nella speranza di una sua resa. Inutile dire che non c’è stata!
Io, nel frattempo, cercavo di organizzare una cena degna di questo nome e intrattenevo Lorenzo che, stranamente (mento sapendo di mentire!), fu colto da un improvviso attacco di logorrea. Un urlo: “BAAAAAAAAAAASTAAAAAAAAAAAAAAAA! HO DETTO NOOOOOOOOOOOOOOO!” … silenzio … “BUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!”, e comincia per davvero la nostra serata col pianto inconsolabile di HARAKIRINA offesa dalle parole del padre che, dati i decibel, questa volta non poteva di certo ignorare.
Bloccata davanti il camino, Maia lo fissava, mi fissava, poi metteva la testa all’indietro come solo Sophia Loren saprebbe fare e piangeva in modo inconsolabile. Una sbirciatina alla mia reazione e poi di nuovo: testa indietro e “Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu”. Un’altra sbirciatina verso Lorenzo, testa indietro e: “Buuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuu!”. E così per mezz’ora. Nel frattempo Lorenzo, attratto da quell’involontario ritmo creato da Maia, decide di partecipare attivamente al concertino contribuendo con balletti e simulazioni di vari tipi di pianto.
A quel punto, cominciai ad avvertire una strana sensazione che mi partiva dal centro dello stomaco. Un bruciore, una pressione, una sorta di istinto omicida. Niente più freddo. Caldo. Calore. “Uno, due, tre…Il repiro mi respira…Il respiro mi respira…”, mi avevano insegnato al corso pre-parto durante le lezioni di RAT (training autogeno). Uno sguardo a Lorenzo che, intuendo il mio stato ma non nella sua totalità, decide di trasformare quella simulazione in una simulazione in playback .
Riepilogando: un fuoco scoppiettante piantonato da un papà furente; un tappeto orientaleggiante con una bimba isterico-piangente; un bambino ridente che in playback finge di essere un cantante e, dulcis in fundo, una mamma morente sotto il peso di uno stress snervante che cerca di cuocere una scaloppina scoppiettante! Sti cazzi!
La cena è pronta. Maia nel suo seggiolone interrompe il suo pianto solo per mangiare. Lorenzo mangia, lamentandosi ad ogni boccone, la sua fettina di carne che giusto quella sera non è di suo gradimento. Alessandro, di fronte, pallido e muto cerca di concentrarsi su quella “cazzo d’insalata della cazzo di dieta” (non l’ha detto ma gli si leggeva su quel labbro inferiore poggiato sul piatto schiacciato dal peso della depressione serale!). La sottoscritta che, con un filo di voce, canticchia una canzoncina a Maia per cercare di sedare quel pianto e la imbocca nel tentativo che la bimba dimentichi quel brutto incidente nel quale quel brutto papà monello e cattivo le ha impedito di trasformarsi nella torcia olimpica delle olimpiadi invernali di Vancouver!
Piano piano, lentamente, pare che tutto stia tornando al proprio posto. La principessa suscettibile, finalmente, è concentrata sulla sua cena. Lorenzo mangia in silenzio. Alessandro recupera la lucidità e con infinita dolcezza mi dice che non appena Maia avesse finito il suo pasto, se ne sarebbe occupato lui per far sì che io potessi cenare.
“Vado a prendere un po’ di legna fuori!”. Queste le penultime parole di Alessando. Le ultime furono: “Ma che cazzzzzzooooooooo è?! Noooooooooo. Tutta la lavanderia allagata!”
Gli infissi esterni della lavanderia di questa meravigliosa casa che ci ospita da quasi cinque anni non avevano retto sotto il peso della pioggia battente che nel pomeriggio si era abbattuta sulla città. Risultato: una lavanderia allagata, una cesta della biancheria fradicia con tutta la biancheria al suo interno fradicia. Una bimba che, ripensando al fattaccio, ricomincia a piangere e un bambino forte come un Power Ranger, tenace come Ben Ten e coraggioso come solo un bambino di 4 anni che si spaventa del buio sa essere, che piagnucola perché deve fare la pipì ma non se la sente più di percorrere da solo un corridoio degno di “Shining” nella pur remota possibilità che possa comparire un mostro che sicuramente saprebbe sconfiggere con i suoi pugni paralizzanti ma che, quella sera… solo quella però, non ha voglia di affrontare.
E la mamma? La mamma, seduta a tavola guarda la sua cotoletta alla quale con una smorfia di dolore augura: “Buonanotte”
Se tutto si fosse fermato a quanto detto, in realtà, non ci sarebbe nulla di così eclatante che un genitore medio non abbia mai sperimentato. Ma a noi piace stupirci. All’improvviso cambia il vento e chiunque conosca qualcuno che vive dalle mie parti, saprà benissimo che se a Palermo cambia il vento, a Partanna Mondello cominciano i guai. Tutti i fumi di tutti i comignoli della zona si sono concentrati nel soggiorno di casa mia e così, mentre PapAle guadava l’Hudson della mia lavanderia, Lorenzo lottava con i mostri della sua fantasia piagnucolando nel corridoio, ClaudiadiAle salvava la piccola Harakirina che sul tappeto si stava trasformando in una caciotta affumicata. Un’altra mezzora di puro sbattimento. Un’ora per cercare di riscaldare il soggiorno, andata letteralmente in fumo. Fumo uscito solo dopo l’apertura, nonostante il vento soffiasse a 100 km/h, di tutte le imposte della cucina-soggiorno trasformatasi di nuovo, nella hall di un igloo.
Erano solo passate due ore da quel rientro pieno di grandi speranze per la serata. I bimbi, finalmente, dormivano. Ale era un tutt’uno con il divano. Senza nemmeno guardarci negli occhi, io però ridevo istericamente da sola, abbiamo deciso di andarci a coricare, dandoci le spalle e facendo ben attenzione affinché neanche il solo mignolo entrasse a contatto con il coinquilino. Un muro trasparente ci ha separati tutta la notte.
Il mattino seguente, sospinta dall’invitante odore di caffè caldo giungo in cucina e chi ci trovo? Alessandro senza barba. “Scusa, ma quando l’hai fatta?” “Ieri sera!”… silenzio.
mercoledì 16 dicembre 2009
Buon Compleanno
Amica tra meno di un´ora é il tuo compleanno!!
Per quest´anno ho pensato ad un regalo particolarissimo...ma devi cercarlo...Una volta trovato perditici é tutto per te!!!
Auguuuuriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
.
Trovato;) ??
Te lo do adesso cosí domani mattina é il primo che ricevi;)
Per quest´anno ho pensato ad un regalo particolarissimo...ma devi cercarlo...Una volta trovato perditici é tutto per te!!!
Auguuuuriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
.
Trovato;) ??
Te lo do adesso cosí domani mattina é il primo che ricevi;)
Il Dottore e Testolina
Questa volta non si tratta di un soprannome: “Il Dottore” sta per “dottore” . Il Dottore del villaggio.
Poggiata la testa sul cuscino, sentii strani suoni provenire dal bagno. Non tanto strani poi...Pareva infatti che qualcuno stesse vomitando. Dando un´occhiata ai letti, mi resi subito conto che poteva trattarsi solo di Testolina Bionda. Che fare? Voglia di dormire contro scrupoli di coscienza! Ripensando al modo brillante con cui supero da sola le sbronze, decisi che Testolina poteva cavarsela anche da se.
Passati altri venti minuti di colonna sonora ruttante, pensai di fare un salto in bagno, nel senso proprio che saltai dal letto a castello. Due secondi dopo eccomi nel tentativo di impedire a Testolina di precipitare nel cesso, dove continuava a dare generosamente parte di se. Non vi diró del bisogno sempre piú impellente che mi prese di imitarla, ma piuttosto della saggia decisione di andare a cercare un dottore, o meglio il Dottore, l´unico del villaggio. Intanto agli alloggi si spargeva la voce di quel che stava accadendo...
Chiama, chiama, chiama, TU TUTU TUUU TU TUTU TUUUU, il Dottore non risponde al telefono. TU TUTU TUUU, il Dottore risponde al telefono. Il Dottore dice che bisogna andarlo a prendere. A prendere?? Perché non sta pure lui dentro il villaggio?? Ma la risposta fu che il Dottore é il Dottore anche a due metri di distanza. Vabbé!! Come?? Con una delle macchinine a batteria del villaggio, che per chi non ne abbia mai viste, immaginate quelle che girano nei campi da golf. Comunque...
A chi bisogna rivolgersi? Al Manutentore (altra figura misteriosa che colpí il mio immaginario come quella del Dispensiere). Andai con un collega dal Manutentore, e ci disse che anche se normalmente solo lui fosse autorizzato a guidare il mezzo, quella sera era molto stanco, e che se proprio volevamo avremmo dovuto noi metterci alla guida...Io di certo non ne avevo un´idea, ma il mio collega fu molto piú coraggioso di me, cosí mentre con finta disinvoltura staccava il cavetto che caricava la batteria, con altrettanta finta disinvoltura mi diceva che non c´era assolutamente problema: ci avrebbe pensato lui!! E VIIIIIAAAAAAAAAAAAA! In preda alle risa isteriche, sforzandoci inutilmente di stare seri data la circostanza, andavamo velocissimi tra i vialetti. Velocissimi tra i vialetti, sino a che la macchinina non andó “fuori viale” : le ruote si erano bloccate nel bel centro di uno dei pratini all´inglese! Sembrava impossibile tornare sul vialetto, giacché lo scalino era pure troppo alto. Risate incontenibili si alternavano a tentativi vani di serietá. In tutto questo la macchinina emetteva un lungo BEEEEEEP ogni volta che provavamo ad effettuare la retromarcia. Ma poi, il Dottore dov´era??? Una volta in carreggiata, girammo in lungo e in largo, sino alla piazzetta, dove chiedemmo agli Animatori, che alle tre di notte stavano lavorando di buona lena. Niente!
Chiediamo alla reception, niente!
Alla fine trovammo il suo appartamento: mezza svestita la moglie ci disse che il suo boyfriend purtroppo non c´era, perché uscito per una visita. Vuoi vedere che si era giá recato dalla povera Testolina? Ma allora noi che cavolo stavamo facendo? E invece...
...Il Dottore a quanto pare aveva pensato bene di farsi trovare alla “recepc” , come continuava a dire reception il mio collega, solo che non lo aveva comunicato. Tra parentesi dopo il rally scopriamo che il suo alloggio, del Dottore, si trovava proprio alle spalle della “recepc”!!
Quando finalmente il neolaureato venne verso di noi capimmo perché nonostante l´assenza di distanze reali dovessimo trasportarlo noi sino alla mia stanza: il Dottore compiva un passo ogni tredici anni!!
Giunti alla mia stanza, dovetti subire il mio ormai terzo trauma della serata: porta tristemente aperta, sull´uscio molte ragazze e ragazzi, la mano in faccia a nascondere la disperazione, lo sguardo perso nel vuoto. Io ormai mi stavo divertendo, ma vedendoli tutti cosí mi preoccupai: Testolina era forse morta a causa di uno shock etilico? Quando chiesi chiarimenti, la risposta mi arrivó da una delle ragazze che con occhi lucidi e voce alterata mi disse “ma come non lo sai che Testolina Bionda sta male e continua a vomitare? Non lo sai??” . Morivo, morivo dalle RISATEEE!
Tutti in teoria stavano assumendo un ruolo: erano diventati Candy!! In realtá la sbronza di Testolina e l´arrivo del Dottore costituivano un diversivo che non ci si poteva perdere.
Il brillante giovane e promettente Dottore, optó per una semplice iniezione. Qui poi entrarano in gioco i ragazzi, che sino a quel momento avevano mantenuto un´aria piú contenuta rispetto alle ragazze: braccia incrociate, occhi avidi, aspettavano con ansia di vedere il fondo schiena di Testolina...Ma qualcuno pose subito fine a queste aspettative buttandoli fuori! Il Dottore: lui non scorderá mai noi, e noi mai la sua velocitá, insieme a quel modo particolare ti tirare su quei cento chili di lenti miopi. Dopo quella sera nessuno lo rivide piú: era stato licenziato!
Una leggenda dice che ancora oggi il Dottore si aggiri per il villaggio di notte, perché offeso da questo licenziamento, e che faccia spaventare i clienti sbucando dal nulla e gridando “TESTOOOOOLINAAA!!!!” .
Poggiata la testa sul cuscino, sentii strani suoni provenire dal bagno. Non tanto strani poi...Pareva infatti che qualcuno stesse vomitando. Dando un´occhiata ai letti, mi resi subito conto che poteva trattarsi solo di Testolina Bionda. Che fare? Voglia di dormire contro scrupoli di coscienza! Ripensando al modo brillante con cui supero da sola le sbronze, decisi che Testolina poteva cavarsela anche da se.
Passati altri venti minuti di colonna sonora ruttante, pensai di fare un salto in bagno, nel senso proprio che saltai dal letto a castello. Due secondi dopo eccomi nel tentativo di impedire a Testolina di precipitare nel cesso, dove continuava a dare generosamente parte di se. Non vi diró del bisogno sempre piú impellente che mi prese di imitarla, ma piuttosto della saggia decisione di andare a cercare un dottore, o meglio il Dottore, l´unico del villaggio. Intanto agli alloggi si spargeva la voce di quel che stava accadendo...
Chiama, chiama, chiama, TU TUTU TUUU TU TUTU TUUUU, il Dottore non risponde al telefono. TU TUTU TUUU, il Dottore risponde al telefono. Il Dottore dice che bisogna andarlo a prendere. A prendere?? Perché non sta pure lui dentro il villaggio?? Ma la risposta fu che il Dottore é il Dottore anche a due metri di distanza. Vabbé!! Come?? Con una delle macchinine a batteria del villaggio, che per chi non ne abbia mai viste, immaginate quelle che girano nei campi da golf. Comunque...
A chi bisogna rivolgersi? Al Manutentore (altra figura misteriosa che colpí il mio immaginario come quella del Dispensiere). Andai con un collega dal Manutentore, e ci disse che anche se normalmente solo lui fosse autorizzato a guidare il mezzo, quella sera era molto stanco, e che se proprio volevamo avremmo dovuto noi metterci alla guida...Io di certo non ne avevo un´idea, ma il mio collega fu molto piú coraggioso di me, cosí mentre con finta disinvoltura staccava il cavetto che caricava la batteria, con altrettanta finta disinvoltura mi diceva che non c´era assolutamente problema: ci avrebbe pensato lui!! E VIIIIIAAAAAAAAAAAAA! In preda alle risa isteriche, sforzandoci inutilmente di stare seri data la circostanza, andavamo velocissimi tra i vialetti. Velocissimi tra i vialetti, sino a che la macchinina non andó “fuori viale” : le ruote si erano bloccate nel bel centro di uno dei pratini all´inglese! Sembrava impossibile tornare sul vialetto, giacché lo scalino era pure troppo alto. Risate incontenibili si alternavano a tentativi vani di serietá. In tutto questo la macchinina emetteva un lungo BEEEEEEP ogni volta che provavamo ad effettuare la retromarcia. Ma poi, il Dottore dov´era??? Una volta in carreggiata, girammo in lungo e in largo, sino alla piazzetta, dove chiedemmo agli Animatori, che alle tre di notte stavano lavorando di buona lena. Niente!
Chiediamo alla reception, niente!
Alla fine trovammo il suo appartamento: mezza svestita la moglie ci disse che il suo boyfriend purtroppo non c´era, perché uscito per una visita. Vuoi vedere che si era giá recato dalla povera Testolina? Ma allora noi che cavolo stavamo facendo? E invece...
...Il Dottore a quanto pare aveva pensato bene di farsi trovare alla “recepc” , come continuava a dire reception il mio collega, solo che non lo aveva comunicato. Tra parentesi dopo il rally scopriamo che il suo alloggio, del Dottore, si trovava proprio alle spalle della “recepc”!!
Quando finalmente il neolaureato venne verso di noi capimmo perché nonostante l´assenza di distanze reali dovessimo trasportarlo noi sino alla mia stanza: il Dottore compiva un passo ogni tredici anni!!
Giunti alla mia stanza, dovetti subire il mio ormai terzo trauma della serata: porta tristemente aperta, sull´uscio molte ragazze e ragazzi, la mano in faccia a nascondere la disperazione, lo sguardo perso nel vuoto. Io ormai mi stavo divertendo, ma vedendoli tutti cosí mi preoccupai: Testolina era forse morta a causa di uno shock etilico? Quando chiesi chiarimenti, la risposta mi arrivó da una delle ragazze che con occhi lucidi e voce alterata mi disse “ma come non lo sai che Testolina Bionda sta male e continua a vomitare? Non lo sai??” . Morivo, morivo dalle RISATEEE!
Tutti in teoria stavano assumendo un ruolo: erano diventati Candy!! In realtá la sbronza di Testolina e l´arrivo del Dottore costituivano un diversivo che non ci si poteva perdere.
Il brillante giovane e promettente Dottore, optó per una semplice iniezione. Qui poi entrarano in gioco i ragazzi, che sino a quel momento avevano mantenuto un´aria piú contenuta rispetto alle ragazze: braccia incrociate, occhi avidi, aspettavano con ansia di vedere il fondo schiena di Testolina...Ma qualcuno pose subito fine a queste aspettative buttandoli fuori! Il Dottore: lui non scorderá mai noi, e noi mai la sua velocitá, insieme a quel modo particolare ti tirare su quei cento chili di lenti miopi. Dopo quella sera nessuno lo rivide piú: era stato licenziato!
Una leggenda dice che ancora oggi il Dottore si aggiri per il villaggio di notte, perché offeso da questo licenziamento, e che faccia spaventare i clienti sbucando dal nulla e gridando “TESTOOOOOLINAAA!!!!” .
domenica 13 dicembre 2009
Sterminator
Sterminator é un cameriere. Sterminator é un tipo che meriterebbe un intero libro, ma io non ne sarei capace.
Per farci subito un´idea a Sterminator non piace quando gli si danno degli ordini, a Sterminator piace ubriacarsi durante il lavoro.
L´anno scorso essendo sparito dalla circolazione, organizzarono vari gruppi di persone armate per ritrovarlo...Lui era solo nel retro della cucina, ridotto una pezza, da cui, se spremuta, sarebbe uscito solo vino.
Noi tutti portavamo un cartellino attaccato alla camicetta dove stava scritto il nostro nome, e anche Sterminator...ma lui fu sempre ribelle. Si dia il caso infatti che a lui piacesse portare il cartellino del nome vuoto, cosí in sostanza andava in giro con un pezzo di plastica trasparente attaccato alla camicia! Sterminator é lo stesso che scrisse “Sterminetor” sul manico di una scopa che sosteneva essere sua.
Sterminator portava gli occhiali da sole sempre e solo dopo il tramonto. Sterminator rallegrava le nostre ore di servizio con battute di tutti i tipi, e con scherzi innocui, come i gavettoni di acqua congelata a fine giornata. Il suo motto fu sempre “Stá murennu e un tinni sta accurgennu!”. In sostanza é inutile che fate tutti stí sorrisi, perché in realtá vi apprestate a morire! Simpaticissimo il nostro Sterminator...ma in fondo lui era un pó la nostra mascotte!
Io non diró del suo vero soprannome, ma piuttosto del motivo per cui io lo ribattezzai Sterminator.
Un giorno sentimmo dei rumori strani provenire dalla cucina...UN CONIGLIO, un coniglio nel senso di UN TOPO dalle dimensioni esagerate: faceva la lap dance con la cara scopa di Sterminator mentre sfidandolo gli faceva le smorfie. Sterminator non si lasció certo intimidire: con abile mossa riuscí a prendere la cara scopa, sottraendola al gioco balordo del coniglio, e con un grido disumano ZAAAC – ZAAAACCC – SPLASCH – BLUUF. Noi spettatori curiosi, ma vili, non vedemmo la scena, ma solo Sterminator uscire dalla cucina...La sua cara vecchia scopa ahimé si era spezzata in due, ma la vera sorpresa fu che in una delle sue metá, infilzato, languiva...languiva...IL CONIGLIO!!
Sterminator peró merita il rispetto di tutti noi, perché oltre le otto ore in ristorante, faceva altri due lavori: il barista ed il parcheggiatore! Tutto in un giorno!!
Per farci subito un´idea a Sterminator non piace quando gli si danno degli ordini, a Sterminator piace ubriacarsi durante il lavoro.
L´anno scorso essendo sparito dalla circolazione, organizzarono vari gruppi di persone armate per ritrovarlo...Lui era solo nel retro della cucina, ridotto una pezza, da cui, se spremuta, sarebbe uscito solo vino.
Noi tutti portavamo un cartellino attaccato alla camicetta dove stava scritto il nostro nome, e anche Sterminator...ma lui fu sempre ribelle. Si dia il caso infatti che a lui piacesse portare il cartellino del nome vuoto, cosí in sostanza andava in giro con un pezzo di plastica trasparente attaccato alla camicia! Sterminator é lo stesso che scrisse “Sterminetor” sul manico di una scopa che sosteneva essere sua.
Sterminator portava gli occhiali da sole sempre e solo dopo il tramonto. Sterminator rallegrava le nostre ore di servizio con battute di tutti i tipi, e con scherzi innocui, come i gavettoni di acqua congelata a fine giornata. Il suo motto fu sempre “Stá murennu e un tinni sta accurgennu!”. In sostanza é inutile che fate tutti stí sorrisi, perché in realtá vi apprestate a morire! Simpaticissimo il nostro Sterminator...ma in fondo lui era un pó la nostra mascotte!
Io non diró del suo vero soprannome, ma piuttosto del motivo per cui io lo ribattezzai Sterminator.
Un giorno sentimmo dei rumori strani provenire dalla cucina...UN CONIGLIO, un coniglio nel senso di UN TOPO dalle dimensioni esagerate: faceva la lap dance con la cara scopa di Sterminator mentre sfidandolo gli faceva le smorfie. Sterminator non si lasció certo intimidire: con abile mossa riuscí a prendere la cara scopa, sottraendola al gioco balordo del coniglio, e con un grido disumano ZAAAC – ZAAAACCC – SPLASCH – BLUUF. Noi spettatori curiosi, ma vili, non vedemmo la scena, ma solo Sterminator uscire dalla cucina...La sua cara vecchia scopa ahimé si era spezzata in due, ma la vera sorpresa fu che in una delle sue metá, infilzato, languiva...languiva...IL CONIGLIO!!
Sterminator peró merita il rispetto di tutti noi, perché oltre le otto ore in ristorante, faceva altri due lavori: il barista ed il parcheggiatore! Tutto in un giorno!!
sabato 12 dicembre 2009
Fico
...e furono tre mesi intensi, nel corso dei quali mi toccó sentire di tutto,e vedere di tutto...
Fico
Lo staff del villaggio aveva al suo interno diverse figure: dalla Cameriera all´Animatore, dal Direttore allo Scenografo, dallo Scemografo al Presentatore e via dicendo.
Non era peró sempre facile capire il ruolo di ognuno...Per esempio, che fa uno Scemografo??
Intanto che io mi ponevo questa domanda, in quel villaggio circondato dal nulla, lavorava un uomo in qualitá di Dispensiere (ed ecco che impariamo un´altra parolina!).
Difficile definire il ruolo di questa figura, piú facile elencarne i compiti. Questi ultimi riguardavano un´area precisamente circoscritta dell´immensa cucina: la dispensa. (Forse da qui l´origine della parola Dispensiere?).
In dispensa stavano la frutta, i salumi, le spezie, le marmellate, i biscotti, i recipienti di Nutella fac-simile, il pane, le uova, e cosí via.
Fico, il soprannome affibbiato al Dispensiere, si occupava di tenere l´area a lui assegnata in perfetto ordine, e questo costituiva solo la base di tutto il resto. Tutto il resto: aprire le latte delle sciroppate e preparare le “bull”, tagliare i limoni, affettare il pane, tagliare a tocchi da ¼ i formaggi, rifornire costantemente l´area di tutti gli alimenti elencati, e molto di piú.
Tutti preparativi svolti al fine di non far mancare niente ai quattro ristoranti del villaggio, e a tutte le camere del personale! Insomma in Germania non ti lascerebbero mai fare questo mestiere difficilissimo, se non dopo un corso triennale di formazione professionale.
Per tutti era Fico, penso senza doppi sensi giacché bello non era, mentre per me era piuttosto Nino, Nino D´Angelo.
Al tempo io ero una semplice Cameriera e come tutti i miei colleghi mi recavo spesso in dispensa portando in mio carrello, o portata da esso, per rifornire Schrek, ovvero il ristorante in cui lavoravo io, e badate che il nome non é una mia invenzione. Per capirci meglio, quando andavo dal Dispensiere o dal Cuoco a prendere qualcosa, mi chiedevano sempre “Ma é per la Schrek?” , dove “la” sta per la sala. Poi sará un caso che Schrek vuol dire Spavento??
Tornando a Fico, all´inizio ci provó...ahimé senza riscontro, e fu guerra. Adesso non sto qui a raccontare i singoli episodi meticolosamente, vi diró piuttosto della sua faccia durante l´ultimo scontro: occhi azzurro-ghiaccio sbarrati, vena pulsante sulla fronte pallida, lineamenti contratti. L´elemento piú divertente e indicativo, ovvero quel dettaglio che faceva del protagonista un essere inquietante, era il ciuffetto biondo teso tra gli occhi. Intanto puntandomi contro un...un dito, mi diceva IO TI AMMAZZOOOOOOOOOOOO!! Insomma il povero Fico aveva appena avuto una reazione isterica!!
Poi un giorno per caso seppi della sua triste storia...Pareva che avesse lasciato la casa materna ancora bambino. Una disgrazia? Punti di vista. Fatto sta che un giorno litigó con il fratello per uno yogurt decidendo di andare a vivere con i nonni. Oggi Fico vive ancora con loro, da allora!
Fico
Lo staff del villaggio aveva al suo interno diverse figure: dalla Cameriera all´Animatore, dal Direttore allo Scenografo, dallo Scemografo al Presentatore e via dicendo.
Non era peró sempre facile capire il ruolo di ognuno...Per esempio, che fa uno Scemografo??
Intanto che io mi ponevo questa domanda, in quel villaggio circondato dal nulla, lavorava un uomo in qualitá di Dispensiere (ed ecco che impariamo un´altra parolina!).
Difficile definire il ruolo di questa figura, piú facile elencarne i compiti. Questi ultimi riguardavano un´area precisamente circoscritta dell´immensa cucina: la dispensa. (Forse da qui l´origine della parola Dispensiere?).
In dispensa stavano la frutta, i salumi, le spezie, le marmellate, i biscotti, i recipienti di Nutella fac-simile, il pane, le uova, e cosí via.
Fico, il soprannome affibbiato al Dispensiere, si occupava di tenere l´area a lui assegnata in perfetto ordine, e questo costituiva solo la base di tutto il resto. Tutto il resto: aprire le latte delle sciroppate e preparare le “bull”, tagliare i limoni, affettare il pane, tagliare a tocchi da ¼ i formaggi, rifornire costantemente l´area di tutti gli alimenti elencati, e molto di piú.
Tutti preparativi svolti al fine di non far mancare niente ai quattro ristoranti del villaggio, e a tutte le camere del personale! Insomma in Germania non ti lascerebbero mai fare questo mestiere difficilissimo, se non dopo un corso triennale di formazione professionale.
Per tutti era Fico, penso senza doppi sensi giacché bello non era, mentre per me era piuttosto Nino, Nino D´Angelo.
Al tempo io ero una semplice Cameriera e come tutti i miei colleghi mi recavo spesso in dispensa portando in mio carrello, o portata da esso, per rifornire Schrek, ovvero il ristorante in cui lavoravo io, e badate che il nome non é una mia invenzione. Per capirci meglio, quando andavo dal Dispensiere o dal Cuoco a prendere qualcosa, mi chiedevano sempre “Ma é per la Schrek?” , dove “la” sta per la sala. Poi sará un caso che Schrek vuol dire Spavento??
Tornando a Fico, all´inizio ci provó...ahimé senza riscontro, e fu guerra. Adesso non sto qui a raccontare i singoli episodi meticolosamente, vi diró piuttosto della sua faccia durante l´ultimo scontro: occhi azzurro-ghiaccio sbarrati, vena pulsante sulla fronte pallida, lineamenti contratti. L´elemento piú divertente e indicativo, ovvero quel dettaglio che faceva del protagonista un essere inquietante, era il ciuffetto biondo teso tra gli occhi. Intanto puntandomi contro un...un dito, mi diceva IO TI AMMAZZOOOOOOOOOOOO!! Insomma il povero Fico aveva appena avuto una reazione isterica!!
Poi un giorno per caso seppi della sua triste storia...Pareva che avesse lasciato la casa materna ancora bambino. Una disgrazia? Punti di vista. Fatto sta che un giorno litigó con il fratello per uno yogurt decidendo di andare a vivere con i nonni. Oggi Fico vive ancora con loro, da allora!
venerdì 11 dicembre 2009
In Villaggio...
„Io non so ben ridir com' i' v'intrai,
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai [...]
[...]così l'animo mio, ch` ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.“
I villaggi turistici sono pieni di personaggi degni di nota, oltre che pieni di insidie, e questo dovrebbe saperlo bene anche la mia collaboratrice, oltre coloro i quali si sono già ritrovati in una simile esperienza.
Dunque, cominciamo dall` inizio!
Dicevo che „non so ben ridir com´i´v´intrai”, giacché stanco „ l´animo mio, ch´ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo/ che non lasció giá mai persona viva“. „Lo passo“ sta per il traggitto Palermo – Lamezia Terme, ovvero qualcosa come nove ore e mezza di viaggio, che in origine dovevano essere solo sette! Cosa era mai successo? Niente! Niente di importante... Ero solo arrivata in ritardo, con una valigia di cartone (made in china)le cui dimensioni non sarebbero state considerate esagerate, se non fosse che l´oggetto di paragone ero io. Io, un metro e ho tanta voglia di crescere, ovvero un metro e un succo di frutta, per citare un caro compagno delle medie.
Arrivata in ritardo di due minuti alla stazione, e chiaramente non per colpa mia, scopro che l´eccezione conferma davvero la regola: il treno questa volta era partito in perfetto orario. SconcerTATA, mi chiedo che ne sará di me e della Bestia (= la mia mega valigia di cartone, tra l´altro arancione). All´ufficio informazioni mi dicono che posso prendere il prossimo treno, solo che in questo caso avrei dovuto effettuare piú cambi.
Io non avevo di certo capito, quindi ho creduto di essere fortunata, e, giunto il treno, ho iniziato il mio viaggio verso l´inferno, convinta che si trattasse di un villaggio turistico, e che mi sarei divertita, nonostante tutto.
Insomma partita alle 8:30 del mattino „lo passo“ fu Palermo- Messina, Messina- Villa San Giovanni ( naturalmente con il traghetto, che guarda caso si chiama „Caronte“, ma se faranno il Ponte mi sa che Dante dovrá resuscitare e inventarsi un altro nome!!)), San Giovanni- Lamezia, Lamezia- Catanzaro lido, Catanzaro lido- Botricello, e sono giá le 18: 30 („e fu subito sera“)...
Giunta finalmente nel mio alloggio, la mia compagna di stanza,( una delle tre), mi informa subito di quanto sia conveniente fornirsi subito di catena e lucchetto, per bloccare le ante dell` armadio, e poter lavorare da quel momento in poi, senza fare cattivi pensieri...
Avrebbe forse dovuto essere giá questo un campanellino d´allarme?
No, non per me...
...to be continued...
tant' era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai [...]
[...]così l'animo mio, ch` ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.“
I villaggi turistici sono pieni di personaggi degni di nota, oltre che pieni di insidie, e questo dovrebbe saperlo bene anche la mia collaboratrice, oltre coloro i quali si sono già ritrovati in una simile esperienza.
Dunque, cominciamo dall` inizio!
Dicevo che „non so ben ridir com´i´v´intrai”, giacché stanco „ l´animo mio, ch´ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo/ che non lasció giá mai persona viva“. „Lo passo“ sta per il traggitto Palermo – Lamezia Terme, ovvero qualcosa come nove ore e mezza di viaggio, che in origine dovevano essere solo sette! Cosa era mai successo? Niente! Niente di importante... Ero solo arrivata in ritardo, con una valigia di cartone (made in china)le cui dimensioni non sarebbero state considerate esagerate, se non fosse che l´oggetto di paragone ero io. Io, un metro e ho tanta voglia di crescere, ovvero un metro e un succo di frutta, per citare un caro compagno delle medie.
Arrivata in ritardo di due minuti alla stazione, e chiaramente non per colpa mia, scopro che l´eccezione conferma davvero la regola: il treno questa volta era partito in perfetto orario. SconcerTATA, mi chiedo che ne sará di me e della Bestia (= la mia mega valigia di cartone, tra l´altro arancione). All´ufficio informazioni mi dicono che posso prendere il prossimo treno, solo che in questo caso avrei dovuto effettuare piú cambi.
Io non avevo di certo capito, quindi ho creduto di essere fortunata, e, giunto il treno, ho iniziato il mio viaggio verso l´inferno, convinta che si trattasse di un villaggio turistico, e che mi sarei divertita, nonostante tutto.
Insomma partita alle 8:30 del mattino „lo passo“ fu Palermo- Messina, Messina- Villa San Giovanni ( naturalmente con il traghetto, che guarda caso si chiama „Caronte“, ma se faranno il Ponte mi sa che Dante dovrá resuscitare e inventarsi un altro nome!!)), San Giovanni- Lamezia, Lamezia- Catanzaro lido, Catanzaro lido- Botricello, e sono giá le 18: 30 („e fu subito sera“)...
Giunta finalmente nel mio alloggio, la mia compagna di stanza,( una delle tre), mi informa subito di quanto sia conveniente fornirsi subito di catena e lucchetto, per bloccare le ante dell` armadio, e poter lavorare da quel momento in poi, senza fare cattivi pensieri...
Avrebbe forse dovuto essere giá questo un campanellino d´allarme?
No, non per me...
...to be continued...
Adieu
Soffro. Se per un attimo soltanto mi soffermo a guardare fuori dalla finestra e provo a immaginare il senso di abbandono vissuto da una delle mie amiche fidate, mi sento mancare il fiato.
Me l’immagino lì ad aspettare pazientemente il mio arrivo che mai ci sarà. Perché purtroppo la vita è fatta anche di abbandoni. Oggi è toccato a lei. Lei. La mia stupefacente, meravigliosa, fiammeggiante Pandina bianca “young”, nel corpo e nello spirito.
Quando mi sono messa alla guida per accompagnarla al luogo dell’appuntamento non ho avuto il coraggio di raccontarle ciò che stava per accadere. Forse ho sbagliato.
Panda non era una panda. Panda era la MIA PANDA. La sua storia intrecciata alla mia come con nessun altro sarebbe potuto accadere. Sin dall’inizio la sua vita nata sotto una strana stella. Non potevamo non incontrarci e fare un po’ di strada assieme.
Panda. Uscita dalla fabbrica e destinata non alla vendita ma al sorteggio. Panda vinta da uno degli uomini più inquietanti e contorti, con rispetto parlando, che il mondo abbia potuto generare: Mio nonno. Bonanima, aggiungerebbe qualcuno. Il nonno la vince in un sorteggio del Giornale di Sicilia. Che culo! Ha due , forse tre, opzioni: 1) regalarla; 2) venderla a un prezzo minimo stabilito dalla casa costruttrice; 3)venderla al prezzo massimo ancora una volta stabilito dalla suddetta.
Ma il mio nonnino è un nonno speciale ed essendo ricco di mille risorse opta per l’opzione inventata e personalissima numero 4: MENTIRE SPUDORATAMENTE!!!
Il vincitore deve rilasciare un’intervista dove, in compagnia della consorte, manifesta tutto il suo stupore per quell’inaspettata, graditissima vincita. Il mio nonnino decide di comunicare che, avendo un numero esorbitante di nipoti e trovandosi nell’impossibilità di scegliere l’eletto tra i tanti amati, organizzerà una specie di sorteggio e il resto lo farà il fato!
Ma che fortuna! Io? Davvero? Oh my Goooooooooooooooood! Unbelievable. Con soli 7.500.000 lire mi sono aggiudicata la mia Pandina! Sì. Solo 7.500.000 lire: il massimo consentito dalla casa produttrice! Oltre alla mia pandina, per un paio d’anni mi sono aggiudicata anche la rabbia, l’invidia, l’odio ,oserei dire, di un paio di cari zietti e dolci cugini che non riuscivano a spiegarsi come mai in quel fottutissimo “sorteggio” fossi uscita proprio io, nipote strana e dal carattere oscuro! Un giorno cominciarono a piovere dal cielo sulla città di Palermo fotocopie di quei due assegni staccati per coprire “le spese d’istruttoria” ;-) del sorteggio organizzato da mio nonno. L’arcano mistero venne svelato e qualche cuginetto o zietto dovette trovare altri motivi, indiscutibilmente validi, per decidere che io fossi una stronza. In realtà, bastava solo guardarmi…
Tornando al nostro primo incontro va detto che fu bellissimo e singhiozzante. L’appuntamento con i nonni era davanti la concessionaria incaricata di consegnare la macchina al vincitore. Arrivai puntuale all’appuntamento e non tanto per la fretta di abbracciare il mio “premio”, quanto per il timore di fare incazzare mio nonno (la qual possibilità non era così remota). Lei era lì. Lo sguardo intimidito mentre il meccanico le alzava il vestitino per mostrarmi le sue meraviglie. Le feci l’occhiolino e amore fu.
Il nonno non mi offrì nemmeno il primo pieno della macchina, un caffè o perché no!, uno degli “sciù” di cartone e panna sintetica amorevolmente preparati un anno prima da mia nonna (Tata mi è testimone). Una pacca sulla schiena, un “U’ Signuri ti binirici” e ci congedammo fino a data da stabilirsi.
Rimanemmo noi due lì. Io seduta alla guida, lei in attesa di essere messa in moto.
Il tipo della concessionaria: “Guardi che ha un’ottima accelerazione. Appena lascia la frizione, senza acceleratore, la macchina già cammina!”. Io, distrattamente e in preda all’ansia da prestazione che mi assaliva quando mi sentivo osservata: “Certo. Sì. Grazie. Arrivvvvvvvv…” Pandina:“rrrrrrrrrrrrrrrrrrrr(primosinghiozzo)…rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr…(secondosinghiozzo)…rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr”. Io: “…ederci…!”
E in un batter d’occhio mi ritrovai davanti il benzinaio a 500 metri dalla concessionaria per il mio primo e quasi ultimo pieno di benzina. La nostra avventura era appena cominciata.
Panda è stata la mia compagna ai tempi dell’Università dopo che un odiosissimo ladruncolo decise di rubarmi lo scooter senza sapere che, essendo proprietà di una strega, i copertoni gli sarebbero scoppiati tra le mani. Almeno, questo è ciò che mi piaceva pensare. Scooter che, a sua volta, sostituiva (brutta parola) Amico. Amico era un altro scooter che in mano ad un Amico (di quelli in carne ed ossa che però come le ciambelle non sempre riescono col buco) fece una brutta fine lasciandoci la carenatura in quel di Trapani. Ma qui ci dilunghiamo.
Panda. Panda come la Barbie e come qualche Presidente del Consiglio ha subito mostrato di avere uno spirito eclettico. Così, a seconda delle circostanze, è stata Panda Bua quando dopo i suoi primi cinque minuti di parcheggio venne speronata da un deficiente con gancio per il carrello (sul quale forse teneva il cervello); Panda Trattore quando, alla ricerca della nuova casa di campagna dei miei, ci perdemmo in mezzo alle campagne del Trapanese e vagammo su una trazzera per una mezzoretta abbondante. Panda Corriera, portandomi ogni fine settimana da Palermo a Trapani e viceversa. Panda Ammiraglia quando, incontrato l’uomo della mia vita proprietario di un altrettanto amata due ruote, divenne la macchina ufficiale per eventi ufficiali di un certo spessore (leggasi Cerimonie e Matrimoni di Amici … col buco questa volta!). Panda Sposa perché la scegliemmo senza esitazioni come macchina ufficiale per il nostro matrimonio e il riso tra le giunture vi rimase per circa tre anni. Infine, Panda Mamma ti voglio bene quando, nonostante la concorrenza della Citroen Xsara Picasso, si mostrò ancora una volta all’altezza della situazione ospitando ben due bambini!
Panda ha vissuto i miei esami all’università, le mie uscite serali, le mie solitarie giornate al mare, il mio Amore per la vita, il mio matrimonio, il mio pancione, la mia laurea, l’altro pancione. Panda mi ha visto fumare e poi smettere di fumare. Panda mi ha visto piangere, ridere da sola…parlare da sola.
Insomma, ieri avrei dovuto prepararla. Avrei dovuto dirle che se l’abbandonavo non era perché volevo sostituirla con qualcosa di meglio. Canada. Il Canada ci ha separate. Vuol dire che, per me, per lei, si conclude un’altra fase della vita. Spero solo in senso lato per lei. Dimenticavo! Non le ho detto nemmeno che la sua nuova proprietaria ha solo 87 anni… Chi lo sa, se la matematica non è un’opinione, fra una tredicina d’anni sarà anche Panda… fate voi!
Me l’immagino lì ad aspettare pazientemente il mio arrivo che mai ci sarà. Perché purtroppo la vita è fatta anche di abbandoni. Oggi è toccato a lei. Lei. La mia stupefacente, meravigliosa, fiammeggiante Pandina bianca “young”, nel corpo e nello spirito.
Quando mi sono messa alla guida per accompagnarla al luogo dell’appuntamento non ho avuto il coraggio di raccontarle ciò che stava per accadere. Forse ho sbagliato.
Panda non era una panda. Panda era la MIA PANDA. La sua storia intrecciata alla mia come con nessun altro sarebbe potuto accadere. Sin dall’inizio la sua vita nata sotto una strana stella. Non potevamo non incontrarci e fare un po’ di strada assieme.
Panda. Uscita dalla fabbrica e destinata non alla vendita ma al sorteggio. Panda vinta da uno degli uomini più inquietanti e contorti, con rispetto parlando, che il mondo abbia potuto generare: Mio nonno. Bonanima, aggiungerebbe qualcuno. Il nonno la vince in un sorteggio del Giornale di Sicilia. Che culo! Ha due , forse tre, opzioni: 1) regalarla; 2) venderla a un prezzo minimo stabilito dalla casa costruttrice; 3)venderla al prezzo massimo ancora una volta stabilito dalla suddetta.
Ma il mio nonnino è un nonno speciale ed essendo ricco di mille risorse opta per l’opzione inventata e personalissima numero 4: MENTIRE SPUDORATAMENTE!!!
Il vincitore deve rilasciare un’intervista dove, in compagnia della consorte, manifesta tutto il suo stupore per quell’inaspettata, graditissima vincita. Il mio nonnino decide di comunicare che, avendo un numero esorbitante di nipoti e trovandosi nell’impossibilità di scegliere l’eletto tra i tanti amati, organizzerà una specie di sorteggio e il resto lo farà il fato!
Ma che fortuna! Io? Davvero? Oh my Goooooooooooooooood! Unbelievable. Con soli 7.500.000 lire mi sono aggiudicata la mia Pandina! Sì. Solo 7.500.000 lire: il massimo consentito dalla casa produttrice! Oltre alla mia pandina, per un paio d’anni mi sono aggiudicata anche la rabbia, l’invidia, l’odio ,oserei dire, di un paio di cari zietti e dolci cugini che non riuscivano a spiegarsi come mai in quel fottutissimo “sorteggio” fossi uscita proprio io, nipote strana e dal carattere oscuro! Un giorno cominciarono a piovere dal cielo sulla città di Palermo fotocopie di quei due assegni staccati per coprire “le spese d’istruttoria” ;-) del sorteggio organizzato da mio nonno. L’arcano mistero venne svelato e qualche cuginetto o zietto dovette trovare altri motivi, indiscutibilmente validi, per decidere che io fossi una stronza. In realtà, bastava solo guardarmi…
Tornando al nostro primo incontro va detto che fu bellissimo e singhiozzante. L’appuntamento con i nonni era davanti la concessionaria incaricata di consegnare la macchina al vincitore. Arrivai puntuale all’appuntamento e non tanto per la fretta di abbracciare il mio “premio”, quanto per il timore di fare incazzare mio nonno (la qual possibilità non era così remota). Lei era lì. Lo sguardo intimidito mentre il meccanico le alzava il vestitino per mostrarmi le sue meraviglie. Le feci l’occhiolino e amore fu.
Il nonno non mi offrì nemmeno il primo pieno della macchina, un caffè o perché no!, uno degli “sciù” di cartone e panna sintetica amorevolmente preparati un anno prima da mia nonna (Tata mi è testimone). Una pacca sulla schiena, un “U’ Signuri ti binirici” e ci congedammo fino a data da stabilirsi.
Rimanemmo noi due lì. Io seduta alla guida, lei in attesa di essere messa in moto.
Il tipo della concessionaria: “Guardi che ha un’ottima accelerazione. Appena lascia la frizione, senza acceleratore, la macchina già cammina!”. Io, distrattamente e in preda all’ansia da prestazione che mi assaliva quando mi sentivo osservata: “Certo. Sì. Grazie. Arrivvvvvvvv…” Pandina:“rrrrrrrrrrrrrrrrrrrr(primosinghiozzo)…rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr…(secondosinghiozzo)…rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr”. Io: “…ederci…!”
E in un batter d’occhio mi ritrovai davanti il benzinaio a 500 metri dalla concessionaria per il mio primo e quasi ultimo pieno di benzina. La nostra avventura era appena cominciata.
Panda è stata la mia compagna ai tempi dell’Università dopo che un odiosissimo ladruncolo decise di rubarmi lo scooter senza sapere che, essendo proprietà di una strega, i copertoni gli sarebbero scoppiati tra le mani. Almeno, questo è ciò che mi piaceva pensare. Scooter che, a sua volta, sostituiva (brutta parola) Amico. Amico era un altro scooter che in mano ad un Amico (di quelli in carne ed ossa che però come le ciambelle non sempre riescono col buco) fece una brutta fine lasciandoci la carenatura in quel di Trapani. Ma qui ci dilunghiamo.
Panda. Panda come la Barbie e come qualche Presidente del Consiglio ha subito mostrato di avere uno spirito eclettico. Così, a seconda delle circostanze, è stata Panda Bua quando dopo i suoi primi cinque minuti di parcheggio venne speronata da un deficiente con gancio per il carrello (sul quale forse teneva il cervello); Panda Trattore quando, alla ricerca della nuova casa di campagna dei miei, ci perdemmo in mezzo alle campagne del Trapanese e vagammo su una trazzera per una mezzoretta abbondante. Panda Corriera, portandomi ogni fine settimana da Palermo a Trapani e viceversa. Panda Ammiraglia quando, incontrato l’uomo della mia vita proprietario di un altrettanto amata due ruote, divenne la macchina ufficiale per eventi ufficiali di un certo spessore (leggasi Cerimonie e Matrimoni di Amici … col buco questa volta!). Panda Sposa perché la scegliemmo senza esitazioni come macchina ufficiale per il nostro matrimonio e il riso tra le giunture vi rimase per circa tre anni. Infine, Panda Mamma ti voglio bene quando, nonostante la concorrenza della Citroen Xsara Picasso, si mostrò ancora una volta all’altezza della situazione ospitando ben due bambini!
Panda ha vissuto i miei esami all’università, le mie uscite serali, le mie solitarie giornate al mare, il mio Amore per la vita, il mio matrimonio, il mio pancione, la mia laurea, l’altro pancione. Panda mi ha visto fumare e poi smettere di fumare. Panda mi ha visto piangere, ridere da sola…parlare da sola.
Insomma, ieri avrei dovuto prepararla. Avrei dovuto dirle che se l’abbandonavo non era perché volevo sostituirla con qualcosa di meglio. Canada. Il Canada ci ha separate. Vuol dire che, per me, per lei, si conclude un’altra fase della vita. Spero solo in senso lato per lei. Dimenticavo! Non le ho detto nemmeno che la sua nuova proprietaria ha solo 87 anni… Chi lo sa, se la matematica non è un’opinione, fra una tredicina d’anni sarà anche Panda… fate voi!
giovedì 10 dicembre 2009
Ben trovati!!
Ben trovati!!
Ben trovati Cari Lettori, da oggi troverete in questo blog qualcosa in piú, ma naturalmente quantitá non é sinonimo di qualitá...Intendo che non sono di certo cosí brillante come la mia collaboratrice...al massimo sono una donnina piena di potenzialitá, a dir degli altri, che sin dalla primina avrebbe potuto fare di piú!!
Non so se saró all´altezza delle vostre aspettative, giacché non scrivo piú da tanto tempo, (il mio diario segreto intendo), ma in compenso forse vi fará piacere sapere che un tempo fui pittrice: ho dipinto ben due quadri durante il mio soggiorno a Londra!! Per non parlare poi della digitopittura, con cui ho iniziato molti bambini all´arte...Certo qualcuno potrebbe dire che in realtá il bambino era solo uno...Io peró potrei rispondere che quel bambino faceva per cento (e questa non sarebbe la veritá), o che i suoi giocattoli dipingevano con noi... In tal senso ricordo ancora Tato, simpatico orsacchiotto, a cui ancora oggi devo rispetto, a partire dal fatto che si chiama come me: CIAAOOOO TATOOOOOOOO!!!
Ciaooo Lettori!!
Ben trovati Cari Lettori, da oggi troverete in questo blog qualcosa in piú, ma naturalmente quantitá non é sinonimo di qualitá...Intendo che non sono di certo cosí brillante come la mia collaboratrice...al massimo sono una donnina piena di potenzialitá, a dir degli altri, che sin dalla primina avrebbe potuto fare di piú!!
Non so se saró all´altezza delle vostre aspettative, giacché non scrivo piú da tanto tempo, (il mio diario segreto intendo), ma in compenso forse vi fará piacere sapere che un tempo fui pittrice: ho dipinto ben due quadri durante il mio soggiorno a Londra!! Per non parlare poi della digitopittura, con cui ho iniziato molti bambini all´arte...Certo qualcuno potrebbe dire che in realtá il bambino era solo uno...Io peró potrei rispondere che quel bambino faceva per cento (e questa non sarebbe la veritá), o che i suoi giocattoli dipingevano con noi... In tal senso ricordo ancora Tato, simpatico orsacchiotto, a cui ancora oggi devo rispetto, a partire dal fatto che si chiama come me: CIAAOOOO TATOOOOOOOO!!!
Ciaooo Lettori!!
Il buongiorno si vede dal mattino
Quello che state per leggere è un mini post ispiratomi dal mio pargoletto Lorenzo il quale, come tutti i bimbi di 4 anni (ma ne conosco alcuni di 40 anni), non disdegna di parlare di cacca o pipì dinnanzi a una tazza fumante di latte o cookies al cioccolato.
Detto ciò, stamattina con una sola battuta è riuscito a farmi ridere rendendo piacevolissima la giornata dopo una notte tribolata (presto vi spiegherò il perché).
Seduto sul gabinetto per fare CACCA mentre io gli tengo la mano per rendergli meno fastidiosa l'operazione (a una mamma tocca pure questo): "Mamma, ho una cacca appiccicata sul culetto!" - "Amore, rilassati e spingi così va via" - "Ah! Si è staccata!", "Ma che? Un'altra appigliata? Mamma, ma questa cacca pensa io sia un Albero di Natale?"
Buona giornata a tutti.
mercoledì 9 dicembre 2009
Fulàr...questo sconosciuto! ;-)
Qualcuno ricorderà, soprattutto chi mi conosce da tanto tempo, che qualunque cosa io faccia, indipendentemente dal grado oggettivo di difficoltà, si trasforma in un dispensatore di tribolazioni e patemi d’animo. Una volta, parlando di quanto io fossi brillante, accennai alla “teoria della retta” e a quanto questa fosse inappropriata se riferita ai percorsi da me intrapresi. Non basterà dire: “spostarsi con moto rettilineo e uniforme dal punto A al punto B”. Nel mio caso, infatti, ci sarà una buona dose di varie ed eventuali che, questo va detto, rappresenterà quel tocco di brio che fa sì che io non possa mai dimenticare nulla della mia brillante esistenza.
Io, Varie ed Eventuali, in realtà, siamo ormai diventati amici intimi. Non c’è ricorrenza alla quale non le inviti e spesso, non amando le formalità, non mancano di farsi vive anche se per puro caso io abbia dimenticato di invitarle. Un po’ come la fata cattiva della fiaba della Belladdormentatanelbosco.
Nell’ultimo periodo, proprio perché la nostra amicizia ormai ufficializzata, direi che siamo stati più unite del solito. Io, Varie ed Eventuali assieme appassionatamente a togliere all’ospedale un mostro spuntatomi sull’orecchio a metà tra un porretto, un piercing ricoperto di panna, e la versione panormita del Pão de Açucar di Rio de Janeiro. Io (nella versione star trek), Varie ed Eventuali, ritornate assieme all’ospedale per Ritogliere quello che sembrava intenzionato a far parte della nostra comitiva in pianta stabile: Cisto. Due punti più tre punti fanno cinque punti, 400 km (andata e ritorno da Trapani per due), cinque metri di cerotto per la medicazione, una ipocritissima amichevole conversazione sull’importanza di un crocifisso sulla parete di una classe e, dulcis in fundo, una serissima spiegazione da parte del medico di turno sull’importanza di partecipare almeno una volta nella vita a un corso di foulard tenuto al negozio Hermes di Palermo.
Avete capito benissimo. Un corso di foulard. Quando, nell’attesa di sottopormi alla prevista exeresi, la sentii parlare al telefono di corsi di “fular” ebbi qualche attimo di esitazione.
I miei neuroncini cominciarono a muoversi velocemente all’interno del mio ufficio protocolli cerebrale. Sentivo i cassetti scorrevoli dei miei micro archivi sbattere velocemente, pagine e pagine di fascicoli scorrere come sospinti dal vento di scirocco e loro, i miei amici del cuore, sudare sotto il peso della responsabilità di offrirmi la risposta giusta al momento giusto. “Fular”… “Fular”… “Corso di Fular” … La mia mente vagava tra dizionari di spagnolo, italiano, inglese … ricordi … lezioni all’università. Niente. Il vuoto. Tabula rasa. “Fular”… “Fular – Hermes – Palermo”.
All’improvviso una visione! Una cinquantina di donne istericamente acide, con i capelli ben in piega e le unghia ben curate scendevano da un pullman all’altezza della via Libertà per andare ad assistere a un CORSO DI FOULARD al negozio dell’angolo dove un omino da un inquietante accento francese ed elegantemente vestito, le attendeva dietro una scrivania con un FOULARD tra le mani!!!!
“Ma dite vero?”, avrei voluto gridare in faccia a quella deficiente che avrebbe dovuto eseguire quella cazzo di exeresi sul mio orecchio mentre, serissima, stava organizzando una delle riunioni più inutili e ridicole che un gruppo sociale, purtroppo costituito da donne, avesse mai organizzato nella storia dell’umanità.
Amica bella? Amica delle serate di beneficenza? Ma te l’hanno detto che il mondo sta morendo sotto il peso della Recessione, della gente che uccide ancora per il colore della pelle, per l’orientamento religioso, per l’orientamento sessuale, perché uno semplicemente gli sta sulle ginocchia? Quell’orsetto lavatore color mogano accovacciato sulla tua testolina emanatrice di eco te l’ha comunicato che siamo messi un po’ malino? Oppure pensi che quelle paroline che rimbalzano nella tua testolina siano solo quei furbacchioni dei tuoi due neuroncini che giocano a squash?
Ma ci tieni così tanto a imparare a mettere il foulard ? A che ci siamo, ti hanno mai parlato della posizione del cappio? Ma poi, dico io, ma devo credere che esista il manuale del perfetto mettitore di foulard? Cioè, a quello che vi deve fare la dimostrazione hanno fatto seguire un corso di formazione sul kamasutra del fulàr?
“Un fulàr, mille soluzioni.” Sottotitolo: “sorprendere un’amica e molto più …”
Mai più dolce fu la sensazione dell’anestetico che m’intorpidiva l’orecchio e l’animo dinnanzi a cotanta aridità.
Al mio amico Cisto un caloroso abbraccio. Magari dove si trova adesso la gente accende il cuore e il cervello prima di parlare.
Io, Varie ed Eventuali, in realtà, siamo ormai diventati amici intimi. Non c’è ricorrenza alla quale non le inviti e spesso, non amando le formalità, non mancano di farsi vive anche se per puro caso io abbia dimenticato di invitarle. Un po’ come la fata cattiva della fiaba della Belladdormentatanelbosco.
Nell’ultimo periodo, proprio perché la nostra amicizia ormai ufficializzata, direi che siamo stati più unite del solito. Io, Varie ed Eventuali assieme appassionatamente a togliere all’ospedale un mostro spuntatomi sull’orecchio a metà tra un porretto, un piercing ricoperto di panna, e la versione panormita del Pão de Açucar di Rio de Janeiro. Io (nella versione star trek), Varie ed Eventuali, ritornate assieme all’ospedale per Ritogliere quello che sembrava intenzionato a far parte della nostra comitiva in pianta stabile: Cisto. Due punti più tre punti fanno cinque punti, 400 km (andata e ritorno da Trapani per due), cinque metri di cerotto per la medicazione, una ipocritissima amichevole conversazione sull’importanza di un crocifisso sulla parete di una classe e, dulcis in fundo, una serissima spiegazione da parte del medico di turno sull’importanza di partecipare almeno una volta nella vita a un corso di foulard tenuto al negozio Hermes di Palermo.
Avete capito benissimo. Un corso di foulard. Quando, nell’attesa di sottopormi alla prevista exeresi, la sentii parlare al telefono di corsi di “fular” ebbi qualche attimo di esitazione.
I miei neuroncini cominciarono a muoversi velocemente all’interno del mio ufficio protocolli cerebrale. Sentivo i cassetti scorrevoli dei miei micro archivi sbattere velocemente, pagine e pagine di fascicoli scorrere come sospinti dal vento di scirocco e loro, i miei amici del cuore, sudare sotto il peso della responsabilità di offrirmi la risposta giusta al momento giusto. “Fular”… “Fular”… “Corso di Fular” … La mia mente vagava tra dizionari di spagnolo, italiano, inglese … ricordi … lezioni all’università. Niente. Il vuoto. Tabula rasa. “Fular”… “Fular – Hermes – Palermo”.
All’improvviso una visione! Una cinquantina di donne istericamente acide, con i capelli ben in piega e le unghia ben curate scendevano da un pullman all’altezza della via Libertà per andare ad assistere a un CORSO DI FOULARD al negozio dell’angolo dove un omino da un inquietante accento francese ed elegantemente vestito, le attendeva dietro una scrivania con un FOULARD tra le mani!!!!
“Ma dite vero?”, avrei voluto gridare in faccia a quella deficiente che avrebbe dovuto eseguire quella cazzo di exeresi sul mio orecchio mentre, serissima, stava organizzando una delle riunioni più inutili e ridicole che un gruppo sociale, purtroppo costituito da donne, avesse mai organizzato nella storia dell’umanità.
Amica bella? Amica delle serate di beneficenza? Ma te l’hanno detto che il mondo sta morendo sotto il peso della Recessione, della gente che uccide ancora per il colore della pelle, per l’orientamento religioso, per l’orientamento sessuale, perché uno semplicemente gli sta sulle ginocchia? Quell’orsetto lavatore color mogano accovacciato sulla tua testolina emanatrice di eco te l’ha comunicato che siamo messi un po’ malino? Oppure pensi che quelle paroline che rimbalzano nella tua testolina siano solo quei furbacchioni dei tuoi due neuroncini che giocano a squash?
Ma ci tieni così tanto a imparare a mettere il foulard ? A che ci siamo, ti hanno mai parlato della posizione del cappio? Ma poi, dico io, ma devo credere che esista il manuale del perfetto mettitore di foulard? Cioè, a quello che vi deve fare la dimostrazione hanno fatto seguire un corso di formazione sul kamasutra del fulàr?
“Un fulàr, mille soluzioni.” Sottotitolo: “sorprendere un’amica e molto più …”
Mai più dolce fu la sensazione dell’anestetico che m’intorpidiva l’orecchio e l’animo dinnanzi a cotanta aridità.
Al mio amico Cisto un caloroso abbraccio. Magari dove si trova adesso la gente accende il cuore e il cervello prima di parlare.
martedì 24 novembre 2009
E' solo una domanda...
Leggendo una sorta di messaggio privato pervenutomi, secondo me per sbaglio, in un forum al quale partecipo (?) e con il quale mi si invita a non rispondere a un messaggio da me inserito ;-)
è, in automatico, sorta in me una domanda spontanea:
ma siamo sicuri che in Italia ci siano solo cervelli in fuga? O dovremmo cominciare a fare dei censimenti per conteggiare quelli in fuga dal proprio cervello?
Qualcuno lo troveremmo secondo me! Me lo vedo con la sua camicina verde vomito o verde bile, mentre terrorizzato e con una smorfia simile all'urlo di Munch (ma vi prego, non chiedetegli chi sia) corre verso il Banale (fiume noto a pochi eletti) per cercare di sfuggire ai tentativi di un cervello, nemmeno poi così grande, di penetrare nella sua calotta cranica...
p.s. ogni riferimento a cose, persone, città, animali o ignoranti è puramente casuale.
è, in automatico, sorta in me una domanda spontanea:
ma siamo sicuri che in Italia ci siano solo cervelli in fuga? O dovremmo cominciare a fare dei censimenti per conteggiare quelli in fuga dal proprio cervello?
Qualcuno lo troveremmo secondo me! Me lo vedo con la sua camicina verde vomito o verde bile, mentre terrorizzato e con una smorfia simile all'urlo di Munch (ma vi prego, non chiedetegli chi sia) corre verso il Banale (fiume noto a pochi eletti) per cercare di sfuggire ai tentativi di un cervello, nemmeno poi così grande, di penetrare nella sua calotta cranica...
p.s. ogni riferimento a cose, persone, città, animali o ignoranti è puramente casuale.
martedì 17 novembre 2009
Benvenuti
Questo in realtà non è un vero e proprio post. E' solo un modo per dare il benvenuto ai nuovi sostenitori. E' un piacere davvero.
Per quanto riguarda invece il blog nella sua essenza, non lo sto trascurando. E' solo che devo trovare il tempo di mettere per iscritto la marea di idee che sta inondando la mia mente.
Baci a tutti... evidenti e non.
Per quanto riguarda invece il blog nella sua essenza, non lo sto trascurando. E' solo che devo trovare il tempo di mettere per iscritto la marea di idee che sta inondando la mia mente.
Baci a tutti... evidenti e non.
venerdì 25 settembre 2009
un Mondo Nuovo
Un paio di sere fa, dopo circa due anni di attesa e inutili richieste da parte mia, abbiamo visto il film Nuovo Mondo di Crialese che, per chi non lo sapesse, affronta il tema dell’emigrazione ai primi del Novecento focalizzandosi prevalentemente sull’aspetto del viaggio e dello sbarco a Ellis Island.
Ora, non per essere scortese, poiché questo post non vuole essere un saggio critico né una recensione del suddetto, chi non lo conoscesse, ma desideroso di ulteriori dettagli, è pregato di cliccare sulla barra in alto un http://www.ilmotorediricercachepreferisce.it/ e cercarsi tutti i dettagli del caso.
Nuovo Mondo, dicevamo. Molti di voi sanno già che il passo che ci accingiamo a compiere ci rende, al momento, molto più vicini ai protagonisti del suddetto film piuttosto che allo skipper del nostro attuale sindaco in carica si spera uscentesenonproprioingalerante.
Inutile dire che sin dal momento in cui Alessandro ha pigiato l’enter del telecomando, io e tutti i miei neuroni ci siamo calati nel personaggio e abbiamo intrapreso quel viaggio assieme a tutti gli attori del film.
Devo dire che un po’ per la mia stessa natura, un po’ per via delle recentissime esperienze immedesimarmi in quelle prime scene focalizzate sul pellegrinaggio alla “marunnuzza” per chiedere consiglio sul da farsi, non è stato un’ardua impresa.
Del resto il 4 Settembre e conseguente pellegrinaggio al santuario di Santa Rosalia (patrona di Palermo e dei suoi abitanti) ci hanno lasciati da poco. Pure io l’ho fatto. A Montepellegrino ci sono andata e mi son portata pure Ale. A onor del vero è un qualcosa che ho fatto spesso nel corso degli anni e non tanto per una questione religiosa, quanto come momento di aggregazione sociale con gli abitanti della mia città…possibilmente i più sfigati. Quest’anno ha assunto però un valore diverso. Primo perché ho convinto Alessandro a fare questa esperienza; secondo, perché la volevo guardare in faccia la mia amica Rosalia per salutarla e invitarla a venirci a trovare a Toronto quanto prima.
In realtà, io già lo sapevo, lei a Toronto ci va ogni anno. I primi di Giugno per l’esattezza, quando il sig. Ferrante, palermitano di Borgo Ulivia diventato torontoniano (è bene che anche voi cominciate a familiarizzare con certi vocaboli!) e proprietario di un Canadian caseificio ( unni si fa un chiiiss, per l’esattezza!), organizza il Festino di Santa Rosalia con tanto di banda, fuochi d’artificio e dolci tutto pagato di suo. Di fatto, una volta entrata nella grotta del santuario mi è sembrato di cogliere uno sguardo di autosufficienza negli occhi di Rosy che, con la tenerezza di chi ti considera un deficiente, mi ha fatto capire che non dovevo preoccuparmi perché lei di sicuro sarebbe venuta a farci visita.
Tornando al film, quindi, è chiaro adesso anche per voi che l’immedesimazione immediata era d’obbligo. La famiglia protagonista parte alla volta di Ellis Island a bordo di una nave, in quarta classe e con nulla se non la speranza di trovare davvero, in quel Nuovo Mondo, alberi che producano denaro e galline gigantesche (ai tempi era fantascienza, oggi è realtà ricorrendo al transgenico, che non è il transessuale!).
Noi, dal canto nostro, partiremo con l’aereo per il quale non abbiamo ancora prenotato i biglietti. Mancando la quarta classe, infatti, aspettiamo di scoprire se servono spingitori di carrelli, salutatori di passeggeri, chieditori di “caffèotè?” per risparmiare magari sul costo totale. Me l’immagino Maia con la minidivisa arancione catarifrangente mentre carica i bagagli in stiva! E per fortuna, abbiamo imparato dalla storia di Pinocchio che gli alberi di monete non esistono come vorrebbero farci credere il gatto e la volpe…
Raggomitolata su me stessa ho seguito con la dovuta palpitazione ogni attimo della vicenda di quella famiglia di Petralia (a suttana) immedesimandomi (e devo dire che non mi risultava troppo difficile!) nel timore o terrore che trasudava dai loro sguardi. L’unica cosa era che, di tanto in tanto, la visione del film veniva disturbata da uno squillante ridolino alle mie spalle. Maia dormiva già. Lorenzo era già a letto. Ale era troppo impegnato nello stesso processo di immedesimazione. Quindi? Mi volto e chi trovo seduti sul davanzale della finestra alle mie spalle? I FOLLETTI DELLA MIA FANTASIA!!!!!!!
Quanto tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati! Mi guardavano e sghignazzavano, dandosi pacchette sulle miniginocchia e dondolando avanti e indietro i loro minibusti. Ogni qualvolta sembrava stessero per smettere era sufficiente che uno di loro mi indicasse col minindice, perché tutti riprendessero a sghignazzare.
Cercando di comprendere il motivo di sì tanta ilarità ho deciso di chiedere a quello che mi pareva essere il più saggio (in base alla lunghezza dei minidredd che gli scendevano dalla testa) cosa del film li facesse morir dal ridere.
“Zabadelfimmmmmcredituchenoirittttiaaammmo? Matataliatu?” (“Credi che ridiamo per il film? Ma ti sei guardata?”… quello “Zaba” sta per “ma sei davvero così ingenua da pensare che dei folletti con minidredd e pantaloni alla zuava possano essere così idioti da sorridere dinnanzi a un film di questa portata?”). La mia risposta è stata l’unica possibile: “Matutataliatutu?” (“Ma tu ti sei guardato?”)
In definitiva, ciò che è venuto fuori è che fossi io il motivo di tanto diletto e presto mi fu spiegato anche il perché. Ma questa è un ‘altra storia!
(… continua …)
Ora, non per essere scortese, poiché questo post non vuole essere un saggio critico né una recensione del suddetto, chi non lo conoscesse, ma desideroso di ulteriori dettagli, è pregato di cliccare sulla barra in alto un http://www.ilmotorediricercachepreferisce.it/ e cercarsi tutti i dettagli del caso.
Nuovo Mondo, dicevamo. Molti di voi sanno già che il passo che ci accingiamo a compiere ci rende, al momento, molto più vicini ai protagonisti del suddetto film piuttosto che allo skipper del nostro attuale sindaco in carica si spera uscentesenonproprioingalerante.
Inutile dire che sin dal momento in cui Alessandro ha pigiato l’enter del telecomando, io e tutti i miei neuroni ci siamo calati nel personaggio e abbiamo intrapreso quel viaggio assieme a tutti gli attori del film.
Devo dire che un po’ per la mia stessa natura, un po’ per via delle recentissime esperienze immedesimarmi in quelle prime scene focalizzate sul pellegrinaggio alla “marunnuzza” per chiedere consiglio sul da farsi, non è stato un’ardua impresa.
Del resto il 4 Settembre e conseguente pellegrinaggio al santuario di Santa Rosalia (patrona di Palermo e dei suoi abitanti) ci hanno lasciati da poco. Pure io l’ho fatto. A Montepellegrino ci sono andata e mi son portata pure Ale. A onor del vero è un qualcosa che ho fatto spesso nel corso degli anni e non tanto per una questione religiosa, quanto come momento di aggregazione sociale con gli abitanti della mia città…possibilmente i più sfigati. Quest’anno ha assunto però un valore diverso. Primo perché ho convinto Alessandro a fare questa esperienza; secondo, perché la volevo guardare in faccia la mia amica Rosalia per salutarla e invitarla a venirci a trovare a Toronto quanto prima.
In realtà, io già lo sapevo, lei a Toronto ci va ogni anno. I primi di Giugno per l’esattezza, quando il sig. Ferrante, palermitano di Borgo Ulivia diventato torontoniano (è bene che anche voi cominciate a familiarizzare con certi vocaboli!) e proprietario di un Canadian caseificio ( unni si fa un chiiiss, per l’esattezza!), organizza il Festino di Santa Rosalia con tanto di banda, fuochi d’artificio e dolci tutto pagato di suo. Di fatto, una volta entrata nella grotta del santuario mi è sembrato di cogliere uno sguardo di autosufficienza negli occhi di Rosy che, con la tenerezza di chi ti considera un deficiente, mi ha fatto capire che non dovevo preoccuparmi perché lei di sicuro sarebbe venuta a farci visita.
Tornando al film, quindi, è chiaro adesso anche per voi che l’immedesimazione immediata era d’obbligo. La famiglia protagonista parte alla volta di Ellis Island a bordo di una nave, in quarta classe e con nulla se non la speranza di trovare davvero, in quel Nuovo Mondo, alberi che producano denaro e galline gigantesche (ai tempi era fantascienza, oggi è realtà ricorrendo al transgenico, che non è il transessuale!).
Noi, dal canto nostro, partiremo con l’aereo per il quale non abbiamo ancora prenotato i biglietti. Mancando la quarta classe, infatti, aspettiamo di scoprire se servono spingitori di carrelli, salutatori di passeggeri, chieditori di “caffèotè?” per risparmiare magari sul costo totale. Me l’immagino Maia con la minidivisa arancione catarifrangente mentre carica i bagagli in stiva! E per fortuna, abbiamo imparato dalla storia di Pinocchio che gli alberi di monete non esistono come vorrebbero farci credere il gatto e la volpe…
Raggomitolata su me stessa ho seguito con la dovuta palpitazione ogni attimo della vicenda di quella famiglia di Petralia (a suttana) immedesimandomi (e devo dire che non mi risultava troppo difficile!) nel timore o terrore che trasudava dai loro sguardi. L’unica cosa era che, di tanto in tanto, la visione del film veniva disturbata da uno squillante ridolino alle mie spalle. Maia dormiva già. Lorenzo era già a letto. Ale era troppo impegnato nello stesso processo di immedesimazione. Quindi? Mi volto e chi trovo seduti sul davanzale della finestra alle mie spalle? I FOLLETTI DELLA MIA FANTASIA!!!!!!!
Quanto tempo dall’ultima volta che ci siamo incontrati! Mi guardavano e sghignazzavano, dandosi pacchette sulle miniginocchia e dondolando avanti e indietro i loro minibusti. Ogni qualvolta sembrava stessero per smettere era sufficiente che uno di loro mi indicasse col minindice, perché tutti riprendessero a sghignazzare.
Cercando di comprendere il motivo di sì tanta ilarità ho deciso di chiedere a quello che mi pareva essere il più saggio (in base alla lunghezza dei minidredd che gli scendevano dalla testa) cosa del film li facesse morir dal ridere.
“Zabadelfimmmmmcredituchenoirittttiaaammmo? Matataliatu?” (“Credi che ridiamo per il film? Ma ti sei guardata?”… quello “Zaba” sta per “ma sei davvero così ingenua da pensare che dei folletti con minidredd e pantaloni alla zuava possano essere così idioti da sorridere dinnanzi a un film di questa portata?”). La mia risposta è stata l’unica possibile: “Matutataliatutu?” (“Ma tu ti sei guardato?”)
In definitiva, ciò che è venuto fuori è che fossi io il motivo di tanto diletto e presto mi fu spiegato anche il perché. Ma questa è un ‘altra storia!
(… continua …)
mercoledì 16 settembre 2009
Canada Oh, Canaaaaaaaaaaaaaadaaaaaaaaaa
Dopo 24 mesi e cioè 730 giorni che poi sono 17520 ore, sono stati apposti sui nostri passaporti 4 luccicanti visti con tanto di “Giubba rossa” a cavallo, bandierina e foglia d’acero … i pan cakes non c’erano però!
Devo dire che mi ha fatto uno strano effetto guardare quell’adesivo che a partire da una pagina qualunque del mio passaporto mi, e ci, etichettava quale IMMIGRANT!
Nella vita non bisogna mai “farsi meraviglia”ma, nonostante questa consapevolezza, mai avrei detto che mia figlia di sette mesi potesse essere ancor prima che “toddler” (bimbo che muove i primi passi), immigrante o emigrante a seconda di quale parallelo scegliete come punto di osservazione.
Mia figlia. Direi che il suo passaporto è quello che fa più impressione anche perché, e questo è un atroce dubbio che mi porterò fino al momento dello sbarco in Canada, non è minimamente riconoscibile. La foto, con grande stupore degli astanti, è stata scattata dieci giorni dopo la sua nascita. Le istruzioni inviateci dall’Ambasciata sulle misure e proporzioni che quella doveva possedere erano abbastanza chiare ma, secondo me, non avevano fatto i conti con i nascituri.
Così riuscire a tenere dritta una testolina grande quanto una palla da tennis, fragile come un uovo e rilassata come una bambola di pezza, quel giorno dal fotografo, divenne un’impresa quasi apocalittica. Per non parlare dello sguardo. É risaputo che, eccezion fatta per qualche bimbo particolarmente stressato, la maggior parte dei neonati trascorre il proprio tempo a dormire. Quindi, non solo mia figlia a dieci giorni di vita non era ancora in grado di vedere, né di mettere a fuoco un’immagine, ma nemmeno stava sveglia.
E così, rido ancora se penso a quel pomeriggio di fine Gennaio quando pretendevamo che quel piccolo esserino dormiente spalmato sul mio braccio, il quale a sua volta non doveva essere visibile nella foto, non dico sorridesse, ma almeno guardasse l’obiettivo.
Ma di cose strane ne sono accadute in questi 730 giorni di attesa, a volte snervante molte altre costruttiva. Rimarranno per sempre nel mio cuore le notti trascorse a tradurre, interpretare, leggere, rileggere e compilare quintali di carta stampata sulla quale, dopo una serie di domande allucinanti sulle quali presto tornerò, alla fine di ogni pagina vi era la dicitura: “Se sbagliate la compilazione anche di un solo modulo la vostra pratica verrà automaticamente rigettata”.
Sotto la minaccia di una simile possibilità ci stava pure che avessimo qualche dubbio al momento di dichiarare che Lorenzo, dueenne, treenne e infine quatreenne, non avesse mai preso parte a genocidi e non fosse mai stato leader di un gruppo terroristico. E se nostro figlio ci nascondeva qualcosa? A volte, in preda allo stress, mi è sorto il dubbio che in realtà fosse un agente speciale del gruppo anti immigrazione inviato in incognito dall’ambasciata canadese. Per fortuna poi mi andavo a coricare e la notte, o quel che ne rimaneva, portava un po’ di consiglio.
Di cose strane ne abbiamo dovute dichiarare davvero tante. Per esempio, vi invito a fare questo gioco: “Scrivere in ordine decrescente, indicando mese ed anno e comprese eventuali settimane, tutto ciò che avete fatto a partire dall’età di diciotto anni ad oggi, comprese le settimane in cui siete rimasti a casa”.
Domande su domande. “Indicare il numero civico di casa vostra o, in assenza di quello, descrivere dettagliatamente il percorso da seguire per arrivarvi”.
Nomi, cognomi, mariti, mogli, secondi mariti, seconde mogli, secondi fratelli e seconde sorelle (e lì mi sono sbizzarrita), mogli e mariti di quest’ultimi, fedine penali e casellari giudiziari italiani ed esteri, etc …
Di positivo c’è stato il fatto che, volenti o nolenti, siamo stati costretti a fare un ripasso dei nostri alberi genealogici potendo così scoprire cose strane tipo che la moglie di mio padre, che non è mia madre, ma la mia step mother (matrigna è cacofonico anche se abbastanza azzeccato), da sempre stata tedesca, è polacca; mentre mia madre (per la par condicio) non si chiama Tizia, ma Caia … e, soprattutto, che non è vero (come il mio fratello maggiore ha sempre voluto che io credessi) che sono stata adottata ancora in fasce all’istituto di Padre Messina. Su quest’ultimo punto ho sempre nutrito seri dubbi. Non tanto perché impossibile un così grande gesto d’amore da parte di mia madre, quanto perché dati i risvolti non sempre felici della mia esistenza, ho sempre pensato “cinni vuali ventu in chiasa ma nò astutari i cannili!” (“ce ne vuole vento in chiesa, ma spegnere le candele no!”). È pur vero, tuttavia, che al peggio non vi è mai fine.
Un altro aspetto decisamente positivo riguarda la tempistica. Non mi riferisco solamente ai 730 giorni richiesti dall’intero iter, ma alla poco equa distribuzione di questi tempi. La vera prova, infatti, non avrà inizio al momento del “landing” in Canada, ma è già cominciata due anni fa. Dicevamo, i tempi.
Dunque, dal momento in cui si inviano i primi documenti al primo cenno di vita da parte dell’ambasciata passano circa sei mesi. In questo periodo tu, richiedente, hai a disposizione un numero di matricola che una volta inserito in un data base del sito dell’ambasciata ti “comunicherà lo stato della tua pratica”. Di fatto, è come se ti dessero un cellulare finto di quelli che si vendono nelle bancarelle (bisogna scegliere il più scarso tra quelli più scarsi). In altre parole, ci si ritrova davanti a un display che ostenterà per sempre ( o almeno fino a quando non si staccherà l’adesivo)la stessa dicitura: “colling” (è cinese, non è scritto male!). Nel caso dell’Ambasciata, la dicitura sarà per 730 giorni : “in process”… e sti cazzi!
Superati i primi sei mesi di attesa e dopo attenta valutazione della tua richiesta, l’Ambasciata ti invia una prima cartella con la richiesta di 8.164.000 documenti, in originale, in traduzione, in traduzione asseverata in tribunale (nella migliore delle ipotesi dovrai spiegare di cosa si tratta a un solo dipendente. Nella peggiore, ossia la nostra, a tutti i dipendenti del tribunale) e, nel frattempo, se fai pure gli esami di lingua nell’istituto che ti dicono loro che purtroppo sono dall’altro lato dello stivale, fai bene. E mi pare pure giusta sì tanta perizia. Dove sta il problema? I TEMPI.
Il signor funzionario si è preso sei mesi per leggere ogni singola riga della tua richiesta, nella prima sono in realtà quasi tutte crocette che dovevano tagliare con delle perfette diagonali i quadratini delle risposte, te ne dà 2 di mesi per produrre tutto il resto. In mezzo, ovviamente, c’è un caldissimo Agosto palermitano.
E così fino alla fine. Fino a quel magico 12 Agosto in cui ci è arrivata un’e-mail con la quale, a distanza di undici settimane dalla visita medica (leggasi: viaggio a Roma per 4, pernottamento a Roma per 4, tasse da pagare per 4. Totale 2000 euro e per fortuna c’è mastru cart)ci sono stati richiesti i passaporti.
Alla fine dell’email non un “congratulation” ma un “hurry up”… “A partire dalla data di ricezione di questa e-mail (12 Agosto a Palermo!!!!!) avete 30 giorni di tempo per farci avere i vostri passaporti con corriere pre datato, pre incaricato, pre pagato A/R con tanto di ricevuta di pagamento delle tasse.” Leggasi, 630 euro. Infine, l’ormai immancabile “se verrà commesso un errore nel pagamento delle tasse, si considererà annullata la vostra pratica.”… e sti cazzi.
Conclusione? Biglietto aereo A/R per Alessandro che con una cassetta di sicurezza, la faccia da 007 e i battiti cardiaci a palla, si è recato in Ambasciata per ricevere i suoi bellissimi 4 soldatini a cavallo che inseguono una foglia d’acero. Totale? 1000 euro… volo, tasse e … una bellissima maglietta clavin klein per la sottoscritta. Non sia mai che arrivi in disordine al momento dell’attesissimo Landing!
Devo dire che mi ha fatto uno strano effetto guardare quell’adesivo che a partire da una pagina qualunque del mio passaporto mi, e ci, etichettava quale IMMIGRANT!
Nella vita non bisogna mai “farsi meraviglia”ma, nonostante questa consapevolezza, mai avrei detto che mia figlia di sette mesi potesse essere ancor prima che “toddler” (bimbo che muove i primi passi), immigrante o emigrante a seconda di quale parallelo scegliete come punto di osservazione.
Mia figlia. Direi che il suo passaporto è quello che fa più impressione anche perché, e questo è un atroce dubbio che mi porterò fino al momento dello sbarco in Canada, non è minimamente riconoscibile. La foto, con grande stupore degli astanti, è stata scattata dieci giorni dopo la sua nascita. Le istruzioni inviateci dall’Ambasciata sulle misure e proporzioni che quella doveva possedere erano abbastanza chiare ma, secondo me, non avevano fatto i conti con i nascituri.
Così riuscire a tenere dritta una testolina grande quanto una palla da tennis, fragile come un uovo e rilassata come una bambola di pezza, quel giorno dal fotografo, divenne un’impresa quasi apocalittica. Per non parlare dello sguardo. É risaputo che, eccezion fatta per qualche bimbo particolarmente stressato, la maggior parte dei neonati trascorre il proprio tempo a dormire. Quindi, non solo mia figlia a dieci giorni di vita non era ancora in grado di vedere, né di mettere a fuoco un’immagine, ma nemmeno stava sveglia.
E così, rido ancora se penso a quel pomeriggio di fine Gennaio quando pretendevamo che quel piccolo esserino dormiente spalmato sul mio braccio, il quale a sua volta non doveva essere visibile nella foto, non dico sorridesse, ma almeno guardasse l’obiettivo.
Ma di cose strane ne sono accadute in questi 730 giorni di attesa, a volte snervante molte altre costruttiva. Rimarranno per sempre nel mio cuore le notti trascorse a tradurre, interpretare, leggere, rileggere e compilare quintali di carta stampata sulla quale, dopo una serie di domande allucinanti sulle quali presto tornerò, alla fine di ogni pagina vi era la dicitura: “Se sbagliate la compilazione anche di un solo modulo la vostra pratica verrà automaticamente rigettata”.
Sotto la minaccia di una simile possibilità ci stava pure che avessimo qualche dubbio al momento di dichiarare che Lorenzo, dueenne, treenne e infine quatreenne, non avesse mai preso parte a genocidi e non fosse mai stato leader di un gruppo terroristico. E se nostro figlio ci nascondeva qualcosa? A volte, in preda allo stress, mi è sorto il dubbio che in realtà fosse un agente speciale del gruppo anti immigrazione inviato in incognito dall’ambasciata canadese. Per fortuna poi mi andavo a coricare e la notte, o quel che ne rimaneva, portava un po’ di consiglio.
Di cose strane ne abbiamo dovute dichiarare davvero tante. Per esempio, vi invito a fare questo gioco: “Scrivere in ordine decrescente, indicando mese ed anno e comprese eventuali settimane, tutto ciò che avete fatto a partire dall’età di diciotto anni ad oggi, comprese le settimane in cui siete rimasti a casa”.
Domande su domande. “Indicare il numero civico di casa vostra o, in assenza di quello, descrivere dettagliatamente il percorso da seguire per arrivarvi”.
Nomi, cognomi, mariti, mogli, secondi mariti, seconde mogli, secondi fratelli e seconde sorelle (e lì mi sono sbizzarrita), mogli e mariti di quest’ultimi, fedine penali e casellari giudiziari italiani ed esteri, etc …
Di positivo c’è stato il fatto che, volenti o nolenti, siamo stati costretti a fare un ripasso dei nostri alberi genealogici potendo così scoprire cose strane tipo che la moglie di mio padre, che non è mia madre, ma la mia step mother (matrigna è cacofonico anche se abbastanza azzeccato), da sempre stata tedesca, è polacca; mentre mia madre (per la par condicio) non si chiama Tizia, ma Caia … e, soprattutto, che non è vero (come il mio fratello maggiore ha sempre voluto che io credessi) che sono stata adottata ancora in fasce all’istituto di Padre Messina. Su quest’ultimo punto ho sempre nutrito seri dubbi. Non tanto perché impossibile un così grande gesto d’amore da parte di mia madre, quanto perché dati i risvolti non sempre felici della mia esistenza, ho sempre pensato “cinni vuali ventu in chiasa ma nò astutari i cannili!” (“ce ne vuole vento in chiesa, ma spegnere le candele no!”). È pur vero, tuttavia, che al peggio non vi è mai fine.
Un altro aspetto decisamente positivo riguarda la tempistica. Non mi riferisco solamente ai 730 giorni richiesti dall’intero iter, ma alla poco equa distribuzione di questi tempi. La vera prova, infatti, non avrà inizio al momento del “landing” in Canada, ma è già cominciata due anni fa. Dicevamo, i tempi.
Dunque, dal momento in cui si inviano i primi documenti al primo cenno di vita da parte dell’ambasciata passano circa sei mesi. In questo periodo tu, richiedente, hai a disposizione un numero di matricola che una volta inserito in un data base del sito dell’ambasciata ti “comunicherà lo stato della tua pratica”. Di fatto, è come se ti dessero un cellulare finto di quelli che si vendono nelle bancarelle (bisogna scegliere il più scarso tra quelli più scarsi). In altre parole, ci si ritrova davanti a un display che ostenterà per sempre ( o almeno fino a quando non si staccherà l’adesivo)la stessa dicitura: “colling” (è cinese, non è scritto male!). Nel caso dell’Ambasciata, la dicitura sarà per 730 giorni : “in process”… e sti cazzi!
Superati i primi sei mesi di attesa e dopo attenta valutazione della tua richiesta, l’Ambasciata ti invia una prima cartella con la richiesta di 8.164.000 documenti, in originale, in traduzione, in traduzione asseverata in tribunale (nella migliore delle ipotesi dovrai spiegare di cosa si tratta a un solo dipendente. Nella peggiore, ossia la nostra, a tutti i dipendenti del tribunale) e, nel frattempo, se fai pure gli esami di lingua nell’istituto che ti dicono loro che purtroppo sono dall’altro lato dello stivale, fai bene. E mi pare pure giusta sì tanta perizia. Dove sta il problema? I TEMPI.
Il signor funzionario si è preso sei mesi per leggere ogni singola riga della tua richiesta, nella prima sono in realtà quasi tutte crocette che dovevano tagliare con delle perfette diagonali i quadratini delle risposte, te ne dà 2 di mesi per produrre tutto il resto. In mezzo, ovviamente, c’è un caldissimo Agosto palermitano.
E così fino alla fine. Fino a quel magico 12 Agosto in cui ci è arrivata un’e-mail con la quale, a distanza di undici settimane dalla visita medica (leggasi: viaggio a Roma per 4, pernottamento a Roma per 4, tasse da pagare per 4. Totale 2000 euro e per fortuna c’è mastru cart)ci sono stati richiesti i passaporti.
Alla fine dell’email non un “congratulation” ma un “hurry up”… “A partire dalla data di ricezione di questa e-mail (12 Agosto a Palermo!!!!!) avete 30 giorni di tempo per farci avere i vostri passaporti con corriere pre datato, pre incaricato, pre pagato A/R con tanto di ricevuta di pagamento delle tasse.” Leggasi, 630 euro. Infine, l’ormai immancabile “se verrà commesso un errore nel pagamento delle tasse, si considererà annullata la vostra pratica.”… e sti cazzi.
Conclusione? Biglietto aereo A/R per Alessandro che con una cassetta di sicurezza, la faccia da 007 e i battiti cardiaci a palla, si è recato in Ambasciata per ricevere i suoi bellissimi 4 soldatini a cavallo che inseguono una foglia d’acero. Totale? 1000 euro… volo, tasse e … una bellissima maglietta clavin klein per la sottoscritta. Non sia mai che arrivi in disordine al momento dell’attesissimo Landing!
mercoledì 9 settembre 2009
Penna altrui
Quello che segue non è frutto della mia tastiera. L'ha scritto Alessandro in risposta alla "delusione" provata da un ragazzo dinnanzi alla realtà canadese. Poiché mi è piaciuto, poiché potrebbe essere introduttivo a ciò che vorrei che il mio blog diventasse, ho deciso di pubblicarlo.
"Prendiamo un marziano o un esse provenite da un'altra galassia. Chiameremo questo essere Luppino.Invitiamo Luppino a sedere su una sedia davanti a noi e gli chiediamo un po' di attenzione. Luppino non sa ancora dove andare a vivere, essendo appena atterrato sul nostro pianeta; lo ha visto dall'alto e quindi non ci ha capito niente ed, essendo capitato per caso dentro il box di mia figlia Maia, ha chiesto a noi di descrivergli un po' i paesi del nostro pianeta, in modo da poter poi scegliere dove andare a fare questa esperienza terrena.Mi limiterò a descrivere a Luppino il Canada e l'europa con particolare riferimento all'Italia, i posti che forse conosco meglio.Canada: è un posto prevalentemente freddo, con temperatura al limite della sopportazione per ogni essere vivente; non ha grandi tradizioni essendo una nazione nuova. vi sono grandi spazi desolati, inabitati. La gente ha bisogno di case accoglienti, calde, comode, macchine affidabili, ogni genere di confort per rendere la loro vita più comoda e dimenticare il freddo. Per questo lavorano tantissimo e quindi quando arrivano a casa vogliono godersela; così la scelgono sempre più grande e confortevole. Ma per pagarla devono lavorare tanto e si torna all'inizio ... Gli abitanti del Canada non sono molto espansivi; forse è il freddo che li fa chiudere dentro ai cappotti, forse è il lavoro, forse sono i conti che si fanno continuamente per pagare le rate delle case e delle loro macchinone, forse è il loro carattere. Hanno tanto spazio e quindi le distanze tra le case, con il lavoro , con il supermercato sono enormi. Le case sono tutte simili e non hanno molta storia da mostrare al viaggiatore: le costruzioni più vecchie hanno 150/200 anni. In molte zone non c'è varietà di paesaggio per migliaia di chilometri; se c'è il mare è quasi sempre troppo freddo per fare il bagno.Europa: è troppo grande e diversa per parlarne brevemente, ti parlerò dell'Italia: gente che parla tanto e con chiunque, quando non ha la bocca piena degli ottimi cibi che la caratterizzano; per il viaggiatore è difficile mangiarli, dato che è costretto a stare con la testa in continua rotazione per ammirare le bellezze storiche, architettoniche e paesaggistiche che occupano ogni centimetro quadrato del suo territorio. Il clima è quasi sempre bello e il cielo un colore unico! In alcune regioni ci si può fare il bagno a mare da maggiio a ottobre; il resto dell'anno, tranne forse un paio di mesi, si può andare tranquillamente in moto e passeggiare senza timore di sentire freddo. C'è grande diversità tra una regione e l'altra, ulteriore arricchimento culturale.Allora Luppino dove vuoi vivere? Luppino è già scappato a chidere la cittadinanza italiana.Non ho fatto in tempo a dirgli che avrà qualche problema a trovare un lavoro, nonostante i suoi titoli, perchè non c'è nessuno che voglia raccomandarlo; non l'ho nemmeno avvisato di stare attento col suo accento, perchè se va più a nord di firenze rischia di non poter entrare nei bar padani; non gli ho detto di stare attento al colore della sua pelle perchè, da Trieste ad Agrigento, può trovare qualcuno che lo spranga in nome dei governanti che agitano lo spauracchio dell'invasione degli immigrati. Non gli ho detto che se identifica i suoi aggressori e li denuncia, non servirà a niente perchè non andranno mai in galera , saranno giudicati tra una decina d'anni e nel frattempo il reato sarà estinto. Ma questo succede anche a noi italiani, non è solo un suo problema.Non gli ho detto di non ascoltare quello che dicono le televisioni perchè p falso o, nella migliore delle ipotesi, omissivo. NOn gli ho detto di cercare la giustizia perchè in Italia la giustizia non esiste. Adesso si vuole fare un bagno a mare, ma non gli ho dato la mappa delle raffinerie e delle industrie che da decenni, impunemente, avvelenano l'acqua. Vuole assaggiare una mozzarella, ma non lho avvisato che proprio sopra il prato in cui vanno a cibarsi le mucche c'è un inceneritore, mentre sotto c'è una discarica abusiva. non gli ho detto che le decisioni politiche, e quindi la sua vita, sono prese da gente irrimediabilmente corrotta, ipocrita, falsa, spesso drogata e troppo influenzata dalle volontà della chiesa. Per evitare che torni indietro a lamentarsi me ne scappo in Canada".
venerdì 28 agosto 2009
Eccoci...
L’ultimo post risaliva al 31 Dicembre del 2008. Da allora ne sono accadute di cose. La più importante nella mia vita è stata la nascita della nostra principessa Maia avvenuta il 16 Gennaio 2009.
Un cristallo di neve che, tuttavia, ha rappresentato la nostra Primavera, la nostra rinascita, il nostro volere a tutti i costi ritornare alla vita forti più di prima e uniti più che mai. E’ un post diverso questo. E’ un post a metà tra il malinconico e il rammaricato. E’ come se fosse una delle centinaia di pagine di diario personale che, negli ultimi anni, mi sono rifiutata di riempire. Troppe cose. Troppi accadimenti. Delusioni, rabbie, incertezze e certezze, frustrazioni e nuove speranze che si sono susseguite incessantemente senza mai dare la sensazione che per un attimo, un solo secondo, si potesse bloccare il tempo tra le mia dita. Si potesse afferrare per permettermi di contemplarlo, osservarlo, analizzarlo … e chiedere.
Per poter scrivere con la dovuta lucidità, onde evitare di parlare a se stessi, bisognerebbe raggiungere un certo distacco emotivo dall’argomento trattato. Ma io oggi non voglio essere né distaccata né lucida. Io voglio che le parole escano da me cariche come le percepisco io. Voglio scrivere parole urlate, voglio scrivere senza pensare alla punteggiatura, alle virgole o ai corsivi. Voglio scrivere oggi proprio come se stessi scrivendo sul mio diario, sul mio taccuino in un moto di pubblico e innocuo egoismo. Queste parole sono il piercing al naso di un adolescente incazzato, sono le parole dello stolto che nel suo mondo di saggezza oggi voleva a tutti i costi convincermi di essere il presidente più importante del mondo “documenti alla mano”. Sono le parole di chi vuol ricordare come ci si sente a non essere diplomatici, almeno per un istante; le parole di chi sa di non possedere quelle giuste, quelle azzeccate, quelle che chiunque vorrebbe pronunciare e nessuno vorrebbe leggere. Sono le mie parole che, in un moto d’orgoglio e dopo mesi di controfigure, vengono allo scoperto e sfilano lentamente dinnanzi ai miei occhi. RaBBia. PaUrA. StUpOrE. CeRtEzzA … AmArEzzA … AmiciZIA… e poi DolCeZZa e TeneREzzA. TriSteZZa. OppReSSioNe. ConClusioNE. VinCente. PeNsAnTe…
Lentamente, lentamente rinsavisco e rivedo una fine che è solo un inizio e so, o forse spero, ma più credo, che oltre la vetta di quella montagna comincia una distesa di verdi brillanti. Lì correrò asciugandomi il sudore o forse solo e soltanto le lacrime di stanchezza e di gioia nello scoprire che nella vita nulla è vano e che ai miei tesori, Lorenzo e Maia, ho donato quel principio antico che merita, a tutti i costi merita, di esser salvato.
Buonanotte a chi vuol dormire. Buongiorno a chi preferisce credere.
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