"Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero."
(Giacomo Leopardi)



"In pratica le persone che mi vogliono bene spesso non si accorgono infatti che il loro "ti appoggio" si trasforma in un "mi appoggio"
(Miranda Taten)



giovedì 3 gennaio 2008

Brillante...parte Nona


Dal fondo allo…sprofondo!

“Cos’è il fondo se non una vetta vista dall’alto?
Cos’è una vetta se non un fondo visto dal basso?
Cosa sei tu, Oh Mio Ardor, se non un pacco…
Vuoto?

Tu, tu che di promesse mi facesti dono
Tu, tu che di “brillante” mi facesti decoro
Tu che a camminar per perigliosi lidi
M’invitasti perché al fin la Verità trovassi…
Tu che ti diletti ancor
Ad illudermi che una vetta mi attende or’ or’
Cospargimi dell’aulente alloro del grande dio
E lavoro concedimi che sia di brio.

Verità nasconde sotto le vesti
Colui che sa che dei suoi gesti
Poco importa, se pur brillanti,
se son privi di diamanti…
Cos’è il fondo se non una vetta vista dall’alto?”

Se fossi vissuta qualche secolo fa quando ancora non veniva riconosciuta alla prosa pari dignità letteraria della poesia o del teatro, sicuramente, questi toccanti versi sarebbero potuti appartenere a me.
Nulla di più vero nel dire che “un fondo altro non è che una vetta”. Soprattutto se si tengono in considerazione le mie successive esperienze lavorative.
Se mi chiedessero di tracciare una sorta di grafico che possa, in qualche modo, rappresentare l’evoluzione della mia carriera professionale, direi che ne verrebbe fuori una sorta di ciclo nel quale il punto iniziale e finale, per ovvi motivi, coincidono perfettamente.
Dunque, per comodità letteraria, lasciate che li chiami Punto “P” dove P, ancora una volta sta per “pecorina” e non per il più elegante “Principio”.
Il principio di tutta questa vicenda, invece, può essere considerato quello secondo cui, fatte salve alcune rare eccezioni (contraddistintesi comunque per altre simpatiche peculiarità), ad ogni esperienza corrisponde una “giovane azienda recentemente affacciatasi nel mondo dell’imprenditoria”. In altri termini, si potrebbe parlare d’inserimento in un “simpatico circolo di avvoltoi, molti dei quali giovani al limite nello spirito, disposti ad investire sui propri progetti a spese (nel senso prettamente economico) di altrettanto talentuosi giovani il cui unico neo è quello di non possedere la necessaria quanto bizzarra fantasia imprenditoriale.
Una delle cose che, negli anni, colpì la mia attenzione fu che tra coloro i quali amavano spacciarsi per “giovani imprenditori” (etichetta che, a quanto pare, offre una giustificazione valida al lavoro sottopagato) potevano annoverarsi uomini sull’orlo dell’andropausa e donne di poco più giovani del vecchio amico Matu. Sì, colui che di cognome fa Salemme.
Ho incontrato dunque: la GIOVANE edicolante sessantenne; i GIOVANI titolari di un’agenzia di viaggi dove il più giovane aveva cinquant’anni; il GIOVANE imprenditore di investimenti in arte, pluricinquantenne e in compagnia del direttore generale che, data la tenera età, a questo punto, dovrebbe essere già morto.
A tal proposito, vorrei aprire una piccola parentesi per raccontarvi qualche piccolo aneddoto riguardante gli ultimi due che, per comodità letteraria, chiameremo: Siete e Grandi.
Ad esempio: Grandi, brutta copia di uno dei miei folletti, era un omino piccino piccino. O, quantomeno, lo era diventato a causa di quel simpaticissimo fenomeno grazie al quale, con l’avanzare dell’età, il nostro corpo comincia ad accartocciarsi su se stesso, finendo col reggersi sul naso e sulle orecchie (uniche parti che continuano a crescere).
Io, per esempio, sarò terrificante: una sorta di gomitolo infeltrito (data l’enorme quantità di capelli) con due enormi fessure sporgenti dall’estremità superiore. Le mie narici.
Grandi aveva anche un simpatico peluche accovacciato sulla testa ed era molto curioso osservare, nell’arco della giornata, le diverse posizioni che quel batuffolo di pelo riusciva ad assumere. Soprattutto quando soffiava un forte vento. Mi sembra di ricordare che il suo nome fosse qualcosa tipo Ino Parruch (di origine catalana).
Grandi, inoltre, era affetto da quella malattia che, in genere, sembra colpire la popolazione femminile: la Logorrea.
Per questo motivo, Grandi parlava, parlava, parlava e parlava. Poiché ero pagata per fargli da interprete (era spagnolo), se ne deduce che anche io parlassi, parlassi, parlassi e parlassi.
Tuttavia, i veri problemi cominciarono a sorgere allorché decise d’intrattenere i suoi interlocutori con delle esilaranti barzellette.
A questo punto, va detto che, sempre secondo me, le persone-prosa e le persone-poesia, a loro volta, si dividono in persone-barzelletta e persone-non barzelletta.
Al primo gruppo appartengono milioni d’individui perché se è vero che, tempo fa, dedicarono loro un’intera trasmissione televisiva; è pur vero che, nel caso del secondo gruppo, non si è mai parlato nemmeno nelle trasmissioni mandate in onda alle quattro del mattino.
A quanto pare, fanno più audience i risolutori di problemi di matematica e fisica: simpatici omini, affetti da evidenti disturbi del sonno, cui piace spiegare alle quattro del mattino perché, ad esempio, se il vettore v non s’interseca con il punto d, ci si trova dinanzi ad un chiaro caso di moto vuoto continuo. “Vuoto” come il mio cervello quando, in preda ai morsi della fame notturni e in totale balia di un barattolo di nutella, ha provato a dimostrare loro tutta la sua ammirazione.
Ritornando alla questione barzellette, dunque, risulta ovvio che appartengo al secondo gruppo.
Io, non solo odio con tutta l’anima le storielle “esilaranti”, ma non tollero nemmeno chi le racconta.
Mettiamo il caso che venga invitata a Stoccolma in occasione della proclamazione del nuovo Premio Nobel per la Letteratura. Se questi, per un motivo qualunque, dovesse decidere di cominciare il suo discorso di ringraziamento con parole tipo: “Un americano, un siciliano e un francese si trovano su un elicottero, etc…etc…”, in automatico, si materializzerebbe tra le mie mani una sorta di fionda gigantesca (chiamatela catapulta se lo preferite) e, mentre il mio viso accenna un sorriso, le mie dita si sbizzarrirebbero in lanci di palline infuocate direttamente sul suo viso. Palline infuocate e puntine da disegno.
Io odio le barzellette. Mi hanno fatto più ridere le espressioni di alcuni in occasione di veglie funebri, piuttosto che sapere che “un tizio è stato costretto a mostrare la fotografia del proprio sedere affinché un addetto alle vendite, del reparto sanitari, accettasse di mostrargli i cessi”.
Ma, purtroppo, le barzellette dovetti ascoltarle e raccontarle. Con Grandi, infatti, la situazione era la seguente:
Grandi mi raccontava una barzelletta in spagnolo. Io, ipocrita all’ennesima potenza, abbozzavo un sorriso prima di riproporla, in italiano, agli altri.
In tutto ciò, Grandi continuava a mantenere lo sguardo fisso su di me in attesa della scrosciante risata degli astanti.
Sebbene, in un primo momento, una delle mie più grandi preoccupazioni fosse quella di non riuscire a suscitare le risa di chi, paziente, attendeva le mie esilaranti traduzioni; ben presto, presi coscienza del fatto che, dinanzi al Direttore Generale, chiunque, me compresa, avrebbe riso anche se avessi comunicato che, in realtà, Grandi era il padre di tutti noi.
Che dire di Siete?
Siete lo ricorderò per sempre per il livello di stupidità che non pensavo un uomo potesse raggiungere. Siete non era uno stupido. Era LO STUPIDO.
Ricordo che, a seguito di un battibecco, chiesi ad Ale di ritirare, al mio posto, un assegno giacché non avevo alcuna intenzione d’intavolare una qualsiasi conversazione con quell’esemplare di idiozia.
Non rientrando nella mia natura delegare gli altri, Ale capì che, in quel caso, sarei stata assolutamente irremovibile.
A venti minuti dal loro incontro ricevetti una telefonata di Ale il quale, abbastanza perplesso, mi chiese se fossi a conoscenza della stupidità esponenziale di quell’uomo.
Per meglio comprendere vorrei spiegare che, all’inizio della nostra collaborazione, io e Siete decidemmo che la compagnia mi avrebbe pagato un tot a prestazione, indipendentemente dalle ore lavorative.
Così, ci furono giorni in cui lavorai tre ore e giorni, la maggioranza, nei quali lavorai circa quattordici ore consecutive.
Il problema sorse allorché Siete, assicurandomi di aver fatto le giuste ricerche, mi comunicò che il prezzo pattuito non andava più bene giacché quel tipo di prestazione prevedeva un pagamento calcolato in base alle ore lavorative.
In un primo momento, con estrema dolcezza, cercai di fargli capire che, sicuramente, aveva attinto alle fonti sbagliate. Poiché il mio amico continuava imperterrito ad affermare che io lo stessi truffando, lo invitai a prendere una calcolatrice e fare il conto sulla base delle effettive ore lavorative e, soprattutto, in base alla tariffa che lui diceva di aver trovato.
Il risultato? In poche parole, avrebbe dovuto darmi circa duemila euro in più.
A quel punto Siete mi disse, più o meno, le seguenti cose:
“Non può essere. Dev’essersi rotta la calcolatrice!”;
“Non può essere. Sono sicuro delle tariffe lette. C’è qualcosa che non quadra! (A questo punto avrei dovuto dirgli che quel “qualcosa”, guarda caso, portava proprio il suo nome!);
“Ma non dobbiamo mica contare le cene! Lì hai mangiato e ti sei pure divertita!”
Su quest’ultimo punto, già ampiamente discusso, è inutile aggiungere altro.
Una settimana dopo, Siete consegnò il tanto dibattuto assegno ad Ale. La tariffa, ovviamente, teneva conto della prestazione e non delle ore.
Inutile dire che, da allora, non ebbi più notizie di Siete disintegratosi e dissoltosi con un meteorite a contatto con la mia atmosfera. A me, in compenso, rimasero i buchi!
Grandi, dal canto suo, continuò a scrivermi delle bellissime e-mail nelle quali, dato il mio essere brillante, mi esortava ad abbandonare tutto e tutti per trasferirmi a Madrid e lavorare assieme a lui.
Un giorno, senza alcuna precedente avvisaglia, fu il silenzio.
Si dice che nelle notti di luna piena, dalle parti del Retiro (versione madrilena, ingrandita ed abbellita, del Giardino Inglese di Palermo), altri giovaniimprenditori vedano un batuffolo di pelo vagare, mugolante, alla ricerca del suo amato padroncino.

3 commenti:

Penelope ha detto...

Ciao Claudia! Come va?
Intanto ti comunico che da oggi ti ho inserita tra "Quelli che leggo..." e se non ti spiace, quando hai un minuto di tempo, passa dal blog, perchè c'è una sorpresa per te!

Unknown ha detto...

Claudia, ti comunico che da oggi il tuo blog e' conosciuto anche in Asia. Infatti essendo in Corea per lavoro e non avendo un po' di tempo libero, ho diffuso tra i miei colleghi le tue scritture, chiaramente opportunamente tradotte in lungua locale. Sono rimasti particolarmente colpiti da Mrs Satiri...Khan, che hanno identificato con un loro profeta buddista giocherellone. Un bacio.Antonio

Claudia ha detto...

Che bello! W la Corea!
Sebbene, in questi ultimi giorni, il mio blog sembri versare in stato di abbandono, in realtà è chiuso per "lavori in corso".
Sto scrivendo? No! Lavoro come giocoliere per riuscire a far centrare la bacinella per il vomito a Lorenzo mentre, con l'altra mano, stendo il bucato...
Abbiamo anche provato ad entrare nei "primati" con un cambio di tre lenzuola matrimoniali in 30 minuti, 6 federe in 15 e cinque body in 12 0re!
Ma riusciremo a fare di meglio!
Baci.