C’è una caratteristica fondamentale che distingue un utente delle poste palermitano da uno del Trentino: un irrefrenabile desiderio di anarchia.
Se vogliamo possiamo ricondurre tutto alla vecchia storia delle dominazioni e, di conseguenza, all’assenza di stabilità.
Il palermitano, infatti, tende a vivere la propria vita come se si trattasse di una costante affermazione dei propri diritti, o un’affermazione della propria esistenza. Sarà per questo che in estate la spiaggia di Mondello alle sei del pomeriggio è più simile allo stadio di San Siro dopo il concerto degli Iron Miden. Non si dica mai che un palermitano non è passato da lì.
Plateale. E’ l’altro termine che mi viene in mente se provo a soffermarmi sui miei concittadini.
Folcloristico, invece, il termine con il quale si tende a camuffare qualsiasi forma di arroganza, invadenza e logorrea. Alcuni gli preferiscono gli aggettivi ospitale e caloroso.
“Tutto il mondo è paese”. Mai assunto è stato più errato se applicato alla mia città. Anche perché “paese” nella prospettiva di un palermitano indica qualsiasi comunità estranea alla propria. Anche se vieni da Londra, da New York o Pechino la domanda di rito sarà: “Quando scendi al paese?” E non si riferirà di certo alla Gran Bretagna, né agli Stati Uniti né, per concludere, alla Cina.
Il Paese, sempre nella prospettiva del palermitano, è quel luogo in cui una comunità presenta un accento diverso dal proprio, dove la gente non sa guidare e che per essere raggiunto ci vede impegnati in un’azione di discesa. Poco importa se vivi sul Machu Pichu.
Questo atteggiamento, tuttavia, non è da considerare offensivo. Il palermitano, infatti, accetta con pacifica benevolenza qualsiasi forestiero ed ha la giusta apertura mentale per comprendere che non tutti sono in grado di parlare con la sua stessa dizione perfetta. Non si spiegherebbe altrimenti il successo politico di chi ha fatto di ogni T una D, o di una P una B. “Bello! Mi biage guesdo esembio!”
Il palermitano odia le regole. Quantomeno, l’unica regola comunemente accettata è che non ci sono regole o se ci sono, vanno considerate quale test da superare per dimostrare la propria furbizia.
Il concetto di Furbizia, tuttavia, cessa di essere la quintessenza dell’intelligenza.
Sin da quando nasciamo dobbiamo dimostrare al mondo intero di essere furbi. Più furbi di tutti i furbi.
E’ per questo motivo che un’azione tanto semplice quanto il pagamento di una bolletta, riesce a trasformarsi in una questione di sopravvivenza.
Alle Poste, per risolvere il problema “furbi”, hanno messo i numeretti che, selezionati da un computer centrale, stabiliscono chi debba essere il prossimo. E’ tragedia.
Una fila composta sta al palermitano, come un paio di mocassini a un barboncino.
Un’attesa numerata sta al palermitano, come la definizione di Vatusso sta a me. Non c’entra un cazzo!
Per tutti i motivi già discussi il voler inviare una raccomandata riesce a trasformarsi in un evento degno di prima pagina. Fila P, numero 46.
Il tabellone indica il numero P 41.
Il signor L 42 è felice perché si vede già davanti lo sportello e, di conseguenza, fuori da quegli uffici.
Il signor P 42 sa che, di lì a poco, sarà il suo turno.
Bip! P 42.
Inutile spiegare al Signor L che non è sufficiente il numero 42 per dargli la precedenza su tutti gli altri.
Inutile dirgli che tra una L ed una P, finanche nell’alfabeto, ci hanno messo tre lettere.
Il signor L 42, quindi, dà inizio ad un vero e proprio show che, in men che non si dica, coinvolge tutti.
La signora A 18, per esempio, si lamenta con la vecchietta B 06 perché avrebbe più senso che la P venisse utilizzata per il ritiro delle pensioni, piuttosto che per l’invio di missive. Il suo ragionamento sarà stato del tipo: “P = Pensione; L = Lettere; A = Ancora soldi mi chiedono!; B = Booooo! Non lo so”
Dal canto suo, la vecchietta B 06 rifiuta di accettare che per pagare il bollettino avrebbe dovuto ritirare il biglietto A.
“E’ da un’ora che sono qui!” dice la vecchietta.
“Sì, signora. Ma non importa. Avrebbe dovuto prendere la A, risponde l’altra.
“A me l’altra volta mi hanno fatto rifare la fila”, interviene il signor L 49.
“E’ da due ore che sono qui” risponde la vecchietta, noncurante del fatto che sono appena passati 30 secondi da quando ha detto che aspettava da un’ora.
Bip. P 43.
“Minchia! Ma dite vero?” urla il signor L 42. “Ma cosa le costa alternare una P con una L?”
Riuscire a spiegare che la sequenza dei numeri e delle lettere non dipende dal povero dipendente delle poste è un’utopia. L’addetto allo sportello, dal canto suo, non mostra alcun segno di cedimento: indicativo del fatto che se per me è un evento degno di nota, per lui è normale routine quotidiana.
Per fortuna, interviene il Signor A 21: “Seeeenta! E’ come la lotteria. I numeri niascinu, ma uno mica u sape quale?”[1]
Bip. P 44.
“Ma stamu babbiannu?”[2] incalza il signor L 42. “Amuninni, camu agghiri a travagghiari!”[3]. Poco importa se lo stesso signore abbia superato da un pezzo l’età pensionabile.
Bip. P45.
Delirio.
Tra la folla, più simile a un gregge di pecore intenzionato a passare contemporaneamente da una minuscola fenditura in una roccia, si innalza la voce di un filosofo: “Meno male che è caduto il governo!”
Purtroppo la sua ironia non viene colta e il signor L42, in procinto di avere le convulsioni, spiega che sicuramente Berlusconi al potere saprà come evitargli quell’inutile attesa.
Mentre provo ad immaginare il cavaliere dalla chioma fluente che, poggiando la spada sulle spalle degli utenti, stabilisce chi sia il più meritevole, arriva una risposta che non fa una piega : “Perché, che fa, se c’è Berlusconi si mette lui a dargli il bigliettino!”
Bip. P 46.
Tocca a me. Preoccupata per l’imminente reazione del signor L42, mi avvicino allo sportello con la massima cautela.
“Miiiiiiiinchiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Una Pi e una Elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. La fa uscire una elle? E’ una questione di LOGICA!
Una Pi e una Elle. E’ LOGICA!!!!!!!!”
A questo punto, nonostante il terrore di un’imminente rissa, non posso trattenere le lacrime.
Dopo aver inviato la mia busta non riuscivo ad andare via per paura di perdere qualche altra battuta esilarante.
Quando mi sono resa conto di non poter trascorrere il resto della mattinata in compagnia di quell’allegra combriccola, nonostante allo sportello 3 fosse uscito il numero A30, la signora B 06 si accingeva a pagare la sua bolletta facendo notare che da tre ore aspettava paziente il suo turno. W Bergson e il flusso di coscienza!
Che fine ha fatto il signor L42?
Non saprei.Bip. P 47.
Se vogliamo possiamo ricondurre tutto alla vecchia storia delle dominazioni e, di conseguenza, all’assenza di stabilità.
Il palermitano, infatti, tende a vivere la propria vita come se si trattasse di una costante affermazione dei propri diritti, o un’affermazione della propria esistenza. Sarà per questo che in estate la spiaggia di Mondello alle sei del pomeriggio è più simile allo stadio di San Siro dopo il concerto degli Iron Miden. Non si dica mai che un palermitano non è passato da lì.
Plateale. E’ l’altro termine che mi viene in mente se provo a soffermarmi sui miei concittadini.
Folcloristico, invece, il termine con il quale si tende a camuffare qualsiasi forma di arroganza, invadenza e logorrea. Alcuni gli preferiscono gli aggettivi ospitale e caloroso.
“Tutto il mondo è paese”. Mai assunto è stato più errato se applicato alla mia città. Anche perché “paese” nella prospettiva di un palermitano indica qualsiasi comunità estranea alla propria. Anche se vieni da Londra, da New York o Pechino la domanda di rito sarà: “Quando scendi al paese?” E non si riferirà di certo alla Gran Bretagna, né agli Stati Uniti né, per concludere, alla Cina.
Il Paese, sempre nella prospettiva del palermitano, è quel luogo in cui una comunità presenta un accento diverso dal proprio, dove la gente non sa guidare e che per essere raggiunto ci vede impegnati in un’azione di discesa. Poco importa se vivi sul Machu Pichu.
Questo atteggiamento, tuttavia, non è da considerare offensivo. Il palermitano, infatti, accetta con pacifica benevolenza qualsiasi forestiero ed ha la giusta apertura mentale per comprendere che non tutti sono in grado di parlare con la sua stessa dizione perfetta. Non si spiegherebbe altrimenti il successo politico di chi ha fatto di ogni T una D, o di una P una B. “Bello! Mi biage guesdo esembio!”
Il palermitano odia le regole. Quantomeno, l’unica regola comunemente accettata è che non ci sono regole o se ci sono, vanno considerate quale test da superare per dimostrare la propria furbizia.
Il concetto di Furbizia, tuttavia, cessa di essere la quintessenza dell’intelligenza.
Sin da quando nasciamo dobbiamo dimostrare al mondo intero di essere furbi. Più furbi di tutti i furbi.
E’ per questo motivo che un’azione tanto semplice quanto il pagamento di una bolletta, riesce a trasformarsi in una questione di sopravvivenza.
Alle Poste, per risolvere il problema “furbi”, hanno messo i numeretti che, selezionati da un computer centrale, stabiliscono chi debba essere il prossimo. E’ tragedia.
Una fila composta sta al palermitano, come un paio di mocassini a un barboncino.
Un’attesa numerata sta al palermitano, come la definizione di Vatusso sta a me. Non c’entra un cazzo!
Per tutti i motivi già discussi il voler inviare una raccomandata riesce a trasformarsi in un evento degno di prima pagina. Fila P, numero 46.
Il tabellone indica il numero P 41.
Il signor L 42 è felice perché si vede già davanti lo sportello e, di conseguenza, fuori da quegli uffici.
Il signor P 42 sa che, di lì a poco, sarà il suo turno.
Bip! P 42.
Inutile spiegare al Signor L che non è sufficiente il numero 42 per dargli la precedenza su tutti gli altri.
Inutile dirgli che tra una L ed una P, finanche nell’alfabeto, ci hanno messo tre lettere.
Il signor L 42, quindi, dà inizio ad un vero e proprio show che, in men che non si dica, coinvolge tutti.
La signora A 18, per esempio, si lamenta con la vecchietta B 06 perché avrebbe più senso che la P venisse utilizzata per il ritiro delle pensioni, piuttosto che per l’invio di missive. Il suo ragionamento sarà stato del tipo: “P = Pensione; L = Lettere; A = Ancora soldi mi chiedono!; B = Booooo! Non lo so”
Dal canto suo, la vecchietta B 06 rifiuta di accettare che per pagare il bollettino avrebbe dovuto ritirare il biglietto A.
“E’ da un’ora che sono qui!” dice la vecchietta.
“Sì, signora. Ma non importa. Avrebbe dovuto prendere la A, risponde l’altra.
“A me l’altra volta mi hanno fatto rifare la fila”, interviene il signor L 49.
“E’ da due ore che sono qui” risponde la vecchietta, noncurante del fatto che sono appena passati 30 secondi da quando ha detto che aspettava da un’ora.
Bip. P 43.
“Minchia! Ma dite vero?” urla il signor L 42. “Ma cosa le costa alternare una P con una L?”
Riuscire a spiegare che la sequenza dei numeri e delle lettere non dipende dal povero dipendente delle poste è un’utopia. L’addetto allo sportello, dal canto suo, non mostra alcun segno di cedimento: indicativo del fatto che se per me è un evento degno di nota, per lui è normale routine quotidiana.
Per fortuna, interviene il Signor A 21: “Seeeenta! E’ come la lotteria. I numeri niascinu, ma uno mica u sape quale?”[1]
Bip. P 44.
“Ma stamu babbiannu?”[2] incalza il signor L 42. “Amuninni, camu agghiri a travagghiari!”[3]. Poco importa se lo stesso signore abbia superato da un pezzo l’età pensionabile.
Bip. P45.
Delirio.
Tra la folla, più simile a un gregge di pecore intenzionato a passare contemporaneamente da una minuscola fenditura in una roccia, si innalza la voce di un filosofo: “Meno male che è caduto il governo!”
Purtroppo la sua ironia non viene colta e il signor L42, in procinto di avere le convulsioni, spiega che sicuramente Berlusconi al potere saprà come evitargli quell’inutile attesa.
Mentre provo ad immaginare il cavaliere dalla chioma fluente che, poggiando la spada sulle spalle degli utenti, stabilisce chi sia il più meritevole, arriva una risposta che non fa una piega : “Perché, che fa, se c’è Berlusconi si mette lui a dargli il bigliettino!”
Bip. P 46.
Tocca a me. Preoccupata per l’imminente reazione del signor L42, mi avvicino allo sportello con la massima cautela.
“Miiiiiiiinchiiiiiiiiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Una Pi e una Elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. Una pi e una elle. La fa uscire una elle? E’ una questione di LOGICA!
Una Pi e una Elle. E’ LOGICA!!!!!!!!”
A questo punto, nonostante il terrore di un’imminente rissa, non posso trattenere le lacrime.
Dopo aver inviato la mia busta non riuscivo ad andare via per paura di perdere qualche altra battuta esilarante.
Quando mi sono resa conto di non poter trascorrere il resto della mattinata in compagnia di quell’allegra combriccola, nonostante allo sportello 3 fosse uscito il numero A30, la signora B 06 si accingeva a pagare la sua bolletta facendo notare che da tre ore aspettava paziente il suo turno. W Bergson e il flusso di coscienza!
Che fine ha fatto il signor L42?
Non saprei.Bip. P 47.