In attesa di assistere per la terza volta a un concerto di
Bruce Springsteen, inevitabilmente, ho rivissuto molte delle tappe che nel 2007
mi portarono a laurearmi con una tesi prevalentemente concentrata su alcuni dei
suoi testi e sulle scelte che lo portarono a “The Ghost of Tom Joad”.
Un periodo ricco di
emozioni e, di conseguenza, un’attesa ricca di emozioni quella che da Vaughan
mi ha portata al Roger Center di Toronto.
Il biglietto riportava come orario d’inizio le 19:30. Al
nostro arrivo, lo stadio era pressocché
vuoto. Era ovvio che i Torontonians
sapessero benissimo che lo spettacolo sarebbe cominciato almeno una mezz’ora
dopo. Attesa. Un sorriso incontrollabile nel guardarmi intorno e nel cercare di
comprendere quale fosse l’età
media degli spettatori. È
solo un’opinione ma mi pare che, da questa, a un concerto si possano dedurre
tante cose sull’artista stesso.
Un pubblico non giovanissimo attendeva sorridente l’inizio
dello spettacolo. Sebbene un po’ in ritardo, il pubblico composto continuava a
bere birra, scattare foto. Un bel po’ di capelli brizzolati e “rughe
d’espressione”, di jeans dal taglio non proprio moderno e di genitori con figli
ventenni al seguito facevano da sfondo a una simpatica atmosfera che, di tanto
in tanto, mi pizzicava l’anima.
Elegante, simpatico, discreto e travolgente è arrivato sul palco un Bruce
Springsteen il quale ha immediatamente annunciato le sue intenzioni per il
resto della serata: “We’re going to have a party!”
È fuor di
dubbio che lo spettacolo sia stato una vera e propria festa...una di quelle che
riescono talmente bene che alla fine ci si sente soddisfatti, sazi, appagati.
Nessuno si aspettava, ma tutti speravano, che lo spettacolo durasse circa 3 ore
e 40. Ad essere sincera, tenendo conto che Springsteen ha cominciato a correre
e saltare sul palco sin dalla prima canzone, io ero quasi certa che non ce
l’avrebbe fatta a tenere quel ritmo per troppo tempo. Mi sbagliavo.
Il concerto è
stato davvero una festa. A detta di Ale, che qualche mese fa era andato assieme
a Lorenzo ad assistere al concerto di Buffalo (USA), i due spettacoli, pur
appartenendo allo stesso tour, sono stati portati avanti con tensioni emotive
assolutamente differenti. Quello statunitense carico di tensione, una sorta di
“pesantezza” determinata dall’assoluta immedesimazione con i testi delle
canzoni. Chi conosce Bruce Springsteen sa che, nella maggior parte dei casi, ci
si imbatte con il rovescio della medaglia del “sogno americano”.
A Toronto, per quanto vicini di casa degli Stati Uniti
d’America, l’atmosfera era assolutamente diversa. La voglia era evidentemente
quella di divertire e, a mio parere, far rivivere a quella non più giovane schiera di spettatori la
passione per il vecchio e sano rock.
Per quel che mi riguarda, tra i 3 concerti visti , Firenze
2001, Caserta 2006, Toronto 2012, quest’ultimo è stato il più
classico e rock di tutti. Più
di tre ore di concerto, con qualche canzone da me assolutamente sconosciuta
(per esempio, Thunder Crack), hanno
fatto sì che nella mia mente
si profilasse l’opportunità
di andarlo a vedere ancora e ancora.
Per quel che riguarda la mia esperienza canadese, inoltre,
il concerto mi ha offerto un ulteriore punto di osservazione da un punto di
vista prettamente antropologico: il canadese alle prese con il rock.
Il
titolo di un saggio che mai scriverò
sarebbe: “Un popolo e il rock. Storia di un’implosione emotiva con il sorriso
a 32 denti!”