partita per sempre nella terra del
silenzio;
Quando non potrai più tenermi per
mano
né io, pur volgendomi per andare,
restare.
Ricordati di me quando, giorno dopo
giorno,
non potrai più parlarmi
del futuro che avevi pensato per
noi:
solo ricordati di me; sai che sarà
tardi allora
per chiedere consiglio o pregare.
Ma se il mio ricordo dovesse
abbandonarti
per un poco
e poi di nuovo ti tornassi in mente,
non addolorarti,
poiché, se il buio e il
disfacimento
lasciano vestigia dei pensieri che
ho avuto,
è assai meglio che tu dimentichi e
sorrida
anziché ricordare e rattristarti.
(Christina Rossetti)
Original Gay continuava a fissarmi
incredulo: “E dove te ne vai?”.
Nessuno lo sapeva, tanto meno io. Ad
essere più precisi credevo di saperlo...ma...ma...ma...
Quando mi svegliai, una strana
sensazione di appagamento mi pervase. Mà mà mà...mà come mai?
La guancia era in un lago caldo, e come
tutti i laghi, le sue acque non erano salate, ma come l'eccezione che
conferma la regola, putride e un po' melmose! In un sostantivo: la
mia saliva. (La similiatudine dei laghi la dedico ovviamente alla mia coblogger, che approfitto per salutare: Ciao miaaaaa Deeeaaaaaaaa!!!!!!).
Ero ferma. Svampita, come una donna che di certo si
chiama Paloma che è appena uscita dal bagno dell'aeroporto e muove
la testa a scatti in tutte le direzioni perché cerca un volto amico
rassicurante. Quello del marito?
Ero ferma. Ero ferma e i miei occhietti
ancora rincoglioniti provavano a decifrare quei simbolini luminosi.
Lettere? Lettere dell'alfabeto? Aeroporto? Aeroporto. Questa era
l'unica parola sensata che quei stupidini riuscivano a sussurrare al
mio cervello. Il mio cervello anche lui in quel frangente non pareva
brillare e piuttosto che capire preferì tornare a perdersi
nell'oblio. Per rassicurarsi si raccontò che essendo di origine
cinese, quegli occhietti stupidini, di certo avevano interpretato
male. Per fortuna la ragione stava di guardia e subito accortasi di
quelle discrepanze intervenne gridandomi: “Guaaaaaaaaaardaaaaaaaa
l`orolooooooooooogioooooooooooooo!!!”.
In quel momento, come Pinocchio col
Gatto e la Volpe, decisi di seguire subito l'esempio del cervello,
che si sa è il capo, e comunque in società più apprezzato del
cuore, e optai per l'oblio.
La ragione però è una tosta, per cui
mi costrinse a guardare in faccia la realtà...Mi ero addormentata di
nuovo sul treno. Erano le sei di sera ed io ero in viaggio dalle
quattro del pomeriggio, mi ero addormentata, quindi fatto il viaggio
già due volte. A quel punto mi dividevano solo qualcosa come venti o
venticinque minuti dal mio obbiettivo, più il tempo necessario sino
a casa. Dunque se tutto fosse filato liscio sarei arrivata alle
sette.
A quel punto iniziai a tremare
chiedendomi se quando uno diventa pazzo inizi così. Alle sette, a
casa. Io però ero GIÁ stremata...Poi, in un crescendo, qualcosa
iniziò a stringere attorno al collo. Il suono della sveglia
rimbombava già minaccioso nel mio piccolo orecchio: in pratica
sarebbe successo da lì a poche ore DI NUOOOOOVOOOO!! Spiegai a
Ragione che il punto non era solo arrivare a casa, che bisognava
anche farsi la doccia, sfamarsi, quindi cucinare o preparare
qualcosa. Questo naturalmente nel migliore dei casi. Insomma solo se
saturno non fosse stato contro, e altri fenomeni scientifici che
tutti noi ormai conosciamo. Mi chiese allora quando avrebbe suonato
la sveglia: le quattro meno dieci. Rigorosamente del mattino. Ragione
iniziò a piangere e io allora la presi in braccio e le accarezzai i
capelli.
L'indomani agguerrita come Cucciolo ero
alle 4:15, rigorosamente del mattino, già in cammino. Tutto
procedeva bene ed ero riuscita a non addormentarmi sul treno. Certo
c'era solo un po' di freddo e ciò nonostante fosse agosto, ma era
ok. Io poi non sono una che rompe le balle e stressa, anzi mi adatto
benissimo, si, benissiiiiiiiiiiiiiiiiiiimooooooooooooooAAAAAAAAA!!!
Ero caduta. Caduta a terra, stesa con
la faccia a terra. Immobile. Il buio. Il freddo. Il giubbotto mi
teneva stretta. Il cappello di lana era scivolato davanti quei
stupidini cinesi che stavolta non erano stati attenti. Manco
un'anima. Ok forse le anime c'erano, ma con “Ghost” ho imparato
che la maggior parte non riesce a prendere le cose. In quel momento
la COSA che giaceva sul pavimento ero io. Io piccola e blu. L'ironia
della sorte aveva voluto che quel mattino indossassi proprio il
giubbotto blu (da me chiamato “Blu Rivoluzionario” per motivi che
capisco solo io), nonché l'unico che avessi, e che in quel momento
spalmata sul marciapiede faceva di me una ridicola puffetta.
Il gelo, lo stupore o il dolore, o
forse tutti e tre insieme (scusate questa formula la trovo in una
pagina si e una no di un libro si e uno no che leggo: la volevo usare
anche io!!), mi fecero restare là distesa sino a che un
“AAAAAAAAAAARRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRrrrrrrr!” uscì dalla mia
bocca rimbombando ovunque. Mi misi in piedi, e questa volta la
lacrima che uscì dal mio occhi non aveva niente a che vedere con la
ragione.
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