Caro Diario di Viaggio,
ti scrivo questa lettera per manifestarti tutto il mio disappunto.
Carnevale è passato da un pezzo. Così il pesce d’Aprile. Dunque, mio caro amico, non mi resta che chiederti cosa ti abbia spinto a metter su una tragicommedia del genere. Scherzo? Parli di scherzo?
Se la tua intenzione era quella di farci ridere, sappi che è stato un flop. Un fallimento.
Certo, col senno di poi, mentre ti scrivo questo accorato appello riesco a sorridere. Non tanto per la tua fantasia, quanto per il famoso principio della Retta della mia vita che, per arcani misteri, più che essere tendente all’infinito sembra puntare sempre e comunque al mio pregiatissimo fondoschiena.
E’ stato abbondantemente apprezzato il tuo tentativo di rendere la nostra vacanza entusiasmante, imprevedibile. Apprezzerò ancor di più il tuo sforzo di recuperare al prossimo viaggio.
Carina. Molto carina la mia congiuntivite del primo giorno. Mi aiutava ad illudere gli altri che fossi sempre scompisciata dalle risate. Risate grasse da lacrime agli occhi.
Certo, il mal d’orecchi del giorno dopo potevi risparmiarmelo: non è carina la sensazione di avere un cono conficcato nell’orecchio e l’esigenza di camminare col capo chino a sinistra per cercare di captare le parole altrui.
So anche che non ti è mai piaciuto applicare due pesi e due misure. Tuttavia, non era necessario far venire la cervicale ad Ale. Quella tosse poi!
Lo sappiamo che sei bravo e che riesci in tutto ciò che ti sta a cuore.
Ma ti sembra carino che un bimbo di due anni debba svegliarsi al mattino senza riuscire a comunicare con il suo occhio destro che fuori il cielo è azzurro e, quindi, potrebbe anche schiudersi?
Povero Bimbo: “Io non ho paura, non sono spaventato. Ho l’occhio appiccicato!”
Buongiorno anche te, Fortuna!
Immagino che facesse parte del tuo scherzo quella pioggerellina incessante, leggera e delicata che ci ha costretti a camminare per le vie del centro ricordando agli altri pedoni il fotogramma di un film tristissimo ambientato alla fine della seconda guerra mondiale.
Un papà pallido e con lo sguardo fisso nel vuoto che spinge (o si appoggia) su un passeggino più simile ad una camera iperbarica dove di un bimbo piangente, lacrimoso e dolorante s’intravedono gli abbozzi di due occhietti un tempo vivaci, non è certo un bello spettacolo.
E quella mamma, poi! Mantenere sul viso un abbozzo di sorriso facendo finta d’ignorare qualsiasi imprevisto, di certo, non dev’essere stata impresa facile.
Ancor più difficile l’escursione presso quell’antico villaggio di alchimisti in cui la tradizione si fonde con la tecnologia e che, per comodità letteraria, chiamerò: Farmacia.
In un tedesco pieno di buoni propositi e povero di vocaboli non è stato semplice far capire alla banconista come potesse essere possibile che un bimbo di due anni avesse “una donna incinta nell’orecchio!”
Sarà stato lo strabuzzamento degli occhi della donna a far comprendere che forse “mal d’orecchi” aveva un altro nome.
Ma “chi ha lingua passa il mare” (dice mia nonna) e, per fortuna, è arrivata in nostro soccorso un angelo vestito di bianco in grado di comprendere e parlare l’italiano.
A dire il vero, tuttavia, mi ha stupito sapere che in italiano il verbo “riscaldare” possa essere tradotto con un “Ahhhh, ahhhh, ahhh” associato al gioco dei mimi.
Ci mancava solo che l’impiegata tornasse con un vibratore in mano da mettere mattina e sera nell’orecchio di mio figlio per alleviare i dolori di quella donna incinta che aveva deciso di affrontare il travaglio nell’orecchio del povero bimbo!
“OTALGAN”. Bastava dire “OTALGAN!”: unico farmaco non tradotto nel passaggio dalle case farmaceutiche tedesche a quelle italiane.
Ma l’importante è che tu ti sia divertito!
E che dire del quarto giorno?Non dimenticherò presto il busto di Ale che, aggiungendosi a una doppia congiuntivite, un triplo mal d’orecchio, la cervicale e la tosse, sembrava uno di quei funghetti tanto carini ma velenosi. Per la prossima volta dei pois neri saranno ben accetti. Il rosso non gli ha mai donato.
Per fortuna ci erano rimasti due giorni a disposizione. I due giorni che avrebbero fatto la differenza: tra la sfiga e la burla.
Ti ringrazio, innanzitutto, per averci concesso una splendida giornata di sole anche se, secondo il mio modesto parere, avresti potuto sforzarti un po’ di più. Insomma, Mio Caro Amico, diciamocela tutta: perché non darci pure la possibilità di prelevare dallo sportello bancomat?
Era troppo chiederti una giornata di puro diletto? In fin dei conti non chiedevamo nulla di esorbitante. Portare un bimbo al Parco dei Dinosauri non mi sembra una richiesta eccessiva.
Che fossi un burlone l’avevamo già capito e, per questo, non c’era bisogno di farci percorrere quarantacinque chilometri, provare a prelevare con due carte diverse, di due banche diverse e intestate a persone diverse in ben quattro banche. Lasciare che il bancomat ingurgitasse e digerisse la carta di Ale, mentre io e Lorenzo aspettavamo per ben un’ora in un paese sperduto, è stata la tua ciliegina sulla torta?
Non volevi che sperperassimo il nostro denaro? Dici che l’hai fatto solo per il nostro bene? Se è così allora potevi farci trovare tre panini imbottiti sotto il sedile della macchina. Non è carino lasciare che un bimbo, all’ora di pranzo, lontano da casa e affamato, sia costretto a scegliere se pranzare con dieci biscottini, un cioccolato o una merendina. Va bene, mettiamo da parte gli adulti!
Ma dimmi una cosa: hai riso veramente quando il bimbo è stato costretto a salire sulla giostra e simulare che si muovesse perché la sua mamma doveva scegliere se spendere l’ultimo euro per la gioia del figlio o per la sua sopravvivenza psicologica?
Su dai … lì non c’era proprio un cazzo da ridere!
Comunque, Caro Amico, pur non condividendo il tuo scherzetto prendo atto della tua buona fede e ti offro una seconda possibilità: agli amici, quelli veri, si offre sempre!
Ci vediamo a Giugno e, cortesemente, senza scherzi!
ti scrivo questa lettera per manifestarti tutto il mio disappunto.
Carnevale è passato da un pezzo. Così il pesce d’Aprile. Dunque, mio caro amico, non mi resta che chiederti cosa ti abbia spinto a metter su una tragicommedia del genere. Scherzo? Parli di scherzo?
Se la tua intenzione era quella di farci ridere, sappi che è stato un flop. Un fallimento.
Certo, col senno di poi, mentre ti scrivo questo accorato appello riesco a sorridere. Non tanto per la tua fantasia, quanto per il famoso principio della Retta della mia vita che, per arcani misteri, più che essere tendente all’infinito sembra puntare sempre e comunque al mio pregiatissimo fondoschiena.
E’ stato abbondantemente apprezzato il tuo tentativo di rendere la nostra vacanza entusiasmante, imprevedibile. Apprezzerò ancor di più il tuo sforzo di recuperare al prossimo viaggio.
Carina. Molto carina la mia congiuntivite del primo giorno. Mi aiutava ad illudere gli altri che fossi sempre scompisciata dalle risate. Risate grasse da lacrime agli occhi.
Certo, il mal d’orecchi del giorno dopo potevi risparmiarmelo: non è carina la sensazione di avere un cono conficcato nell’orecchio e l’esigenza di camminare col capo chino a sinistra per cercare di captare le parole altrui.
So anche che non ti è mai piaciuto applicare due pesi e due misure. Tuttavia, non era necessario far venire la cervicale ad Ale. Quella tosse poi!
Lo sappiamo che sei bravo e che riesci in tutto ciò che ti sta a cuore.
Ma ti sembra carino che un bimbo di due anni debba svegliarsi al mattino senza riuscire a comunicare con il suo occhio destro che fuori il cielo è azzurro e, quindi, potrebbe anche schiudersi?
Povero Bimbo: “Io non ho paura, non sono spaventato. Ho l’occhio appiccicato!”
Buongiorno anche te, Fortuna!
Immagino che facesse parte del tuo scherzo quella pioggerellina incessante, leggera e delicata che ci ha costretti a camminare per le vie del centro ricordando agli altri pedoni il fotogramma di un film tristissimo ambientato alla fine della seconda guerra mondiale.
Un papà pallido e con lo sguardo fisso nel vuoto che spinge (o si appoggia) su un passeggino più simile ad una camera iperbarica dove di un bimbo piangente, lacrimoso e dolorante s’intravedono gli abbozzi di due occhietti un tempo vivaci, non è certo un bello spettacolo.
E quella mamma, poi! Mantenere sul viso un abbozzo di sorriso facendo finta d’ignorare qualsiasi imprevisto, di certo, non dev’essere stata impresa facile.
Ancor più difficile l’escursione presso quell’antico villaggio di alchimisti in cui la tradizione si fonde con la tecnologia e che, per comodità letteraria, chiamerò: Farmacia.
In un tedesco pieno di buoni propositi e povero di vocaboli non è stato semplice far capire alla banconista come potesse essere possibile che un bimbo di due anni avesse “una donna incinta nell’orecchio!”
Sarà stato lo strabuzzamento degli occhi della donna a far comprendere che forse “mal d’orecchi” aveva un altro nome.
Ma “chi ha lingua passa il mare” (dice mia nonna) e, per fortuna, è arrivata in nostro soccorso un angelo vestito di bianco in grado di comprendere e parlare l’italiano.
A dire il vero, tuttavia, mi ha stupito sapere che in italiano il verbo “riscaldare” possa essere tradotto con un “Ahhhh, ahhhh, ahhh” associato al gioco dei mimi.
Ci mancava solo che l’impiegata tornasse con un vibratore in mano da mettere mattina e sera nell’orecchio di mio figlio per alleviare i dolori di quella donna incinta che aveva deciso di affrontare il travaglio nell’orecchio del povero bimbo!
“OTALGAN”. Bastava dire “OTALGAN!”: unico farmaco non tradotto nel passaggio dalle case farmaceutiche tedesche a quelle italiane.
Ma l’importante è che tu ti sia divertito!
E che dire del quarto giorno?Non dimenticherò presto il busto di Ale che, aggiungendosi a una doppia congiuntivite, un triplo mal d’orecchio, la cervicale e la tosse, sembrava uno di quei funghetti tanto carini ma velenosi. Per la prossima volta dei pois neri saranno ben accetti. Il rosso non gli ha mai donato.
Per fortuna ci erano rimasti due giorni a disposizione. I due giorni che avrebbero fatto la differenza: tra la sfiga e la burla.
Ti ringrazio, innanzitutto, per averci concesso una splendida giornata di sole anche se, secondo il mio modesto parere, avresti potuto sforzarti un po’ di più. Insomma, Mio Caro Amico, diciamocela tutta: perché non darci pure la possibilità di prelevare dallo sportello bancomat?
Era troppo chiederti una giornata di puro diletto? In fin dei conti non chiedevamo nulla di esorbitante. Portare un bimbo al Parco dei Dinosauri non mi sembra una richiesta eccessiva.
Che fossi un burlone l’avevamo già capito e, per questo, non c’era bisogno di farci percorrere quarantacinque chilometri, provare a prelevare con due carte diverse, di due banche diverse e intestate a persone diverse in ben quattro banche. Lasciare che il bancomat ingurgitasse e digerisse la carta di Ale, mentre io e Lorenzo aspettavamo per ben un’ora in un paese sperduto, è stata la tua ciliegina sulla torta?
Non volevi che sperperassimo il nostro denaro? Dici che l’hai fatto solo per il nostro bene? Se è così allora potevi farci trovare tre panini imbottiti sotto il sedile della macchina. Non è carino lasciare che un bimbo, all’ora di pranzo, lontano da casa e affamato, sia costretto a scegliere se pranzare con dieci biscottini, un cioccolato o una merendina. Va bene, mettiamo da parte gli adulti!
Ma dimmi una cosa: hai riso veramente quando il bimbo è stato costretto a salire sulla giostra e simulare che si muovesse perché la sua mamma doveva scegliere se spendere l’ultimo euro per la gioia del figlio o per la sua sopravvivenza psicologica?
Su dai … lì non c’era proprio un cazzo da ridere!
Comunque, Caro Amico, pur non condividendo il tuo scherzetto prendo atto della tua buona fede e ti offro una seconda possibilità: agli amici, quelli veri, si offre sempre!
Ci vediamo a Giugno e, cortesemente, senza scherzi!
Tua per sempre
Claudia